→ agosto 14, 2020
Il presidente di Open Fiber, Franco Bassanini, Corriere della Sera del 9 agosto, torna sul suo tema preferito: rete telefonica unica e pubblica. Il 13 twitta un ringraziamento a Beppe Grillo che questa preferenza aveva da tempo espresso ed ora riconferma. Ci si chiede: unica perché pubblica o pubblica perché unica? La vogliono pubblica e per questo sarà unica, o unica perché così sarà anche pubblica?
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→ dicembre 27, 2018
È naturale che, come scrive Franco Bassanini (Il Sole 24 Ore, 21 Dicembre 2018), “molte disposizioni del nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche tendano a favorire investimenti nelle infrastrutture di tlc di ultima generazione”. Però esso preserva il principio della neutralità tecnologica, le autorità nazionali non possono discriminare tra tecnologie. Per il consumatore quello che conta, più del punto di arrivo, è il transitorio: quanto tempo? quanti soldi? chi paga? Dipende da politiche fiscali, di competenza degli stati sovrani, non della Commissione. I nostri vicini europei intendono effettuare il passaggio alla rete tutta ottica con gradualità (2025 – 2030): per Deutsche Telekom la copertura universale FTTH a breve nel Paese sarebbe impossibile, costerebbe €70 mld; il Presidente Macron ha rivisto il piano FTTH del precedente governo aprendo a tutte le tecnologie d’accesso. Esclusa la Spagna (dove i cabinet non esistono, i cavi in rame sono interrati in trincea) l’Italia è l’unico Paese dell’Europa Occidentale ad aver dichiarato di voler realizzare una copertura FTTH «universale»; gli altri per ora prevedono di accelerare i collegamenti a 100 Mbit/s e la predisposizione di connessioni FTTH per utenti affari e pubblica amministrazione e per le stazioni radio del futuro sistema 5G. I molto citati casi di passaggio diretto dal rame a FTTH hanno tutti motivazioni specifiche: in Giappone le linee sono aeree e le interferenze elettromagnetiche non consentono altro mezzo; in Corea FTTH è usato nei condomini delle tre più grandi città (quasi l’80% della popolazione); altrove si usa il rame potenziato su rete esistente rinunciando alla rete tutta ottica subito, quindici anni fa obiettivo del governo.
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→ agosto 9, 2017
Certo, non c’è il due senza il tre. Certo, omne trinum est perfectum. Ma la Santissima Trinità delle reti proprio no. Più che una bestemmia, è un’eresia: la rete telefonica non potrà mai “procedere” da quella elettrica e del gas, per la sostanziale natura che da quelle la differenzia. Infatti, mentre l’energia elettrica è prodotta in centrali, il gas viene estratto da pozzi, e l’una e l’altro trasportati agli utilizzatori finali, in una rete telefonica i prodotti – voce e dati –sono creati dai clienti che se li scambiano tra loro. La rete fisica – rame, cavo, fibra, ponti radio, centraline- è una cosa distinta dalla rete logica che, tramite calcolatori e programmi software, assicura che la comunicazione sia spacchettata all’origine, convogliata e reimpacchettata a destinazione senza errori.
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→ ottobre 8, 2013
Al direttore.
Chi assicura la sicurezza? E’ contraddittorio chiudere una discussione sulla sicurezza per ragioni di sicurezza. Dicendo che, per la nostra sicurezza, deve essere assicurato il controllo nazionale della rete telefonica, senza spiegare dettagliatamente perché, si propagano notizie che, se non sono false e tendenziose, ledono la sicurezza pubblica. Da quali pericoli dobbiamo proteggere la nostra rete? Le intercettazioni ci sono dall’epoca di Stay Behind, con Prisma siamo alla perfezione. Quanto al sabotaggio, credo che esista da qualche parte una legge che lo vieta, e il governo dispone dell’esercito.
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→ novembre 19, 2008
Caro direttore,
Leggo sul Riformista del 18 novembre una lunga lettera di Franco Debenedetti (“Villari sì e Bassanini invece no”), zeppa di critiche e di insinuazioni velenose nei miei confronti. Le critiche sono tutte legittime quando non sono basate su una manipolazione dei fatti. Ma è invece ciò che fa Debenedetti fingendo ignorare che nel Consiglio d’amministrazione della Cassa depositi e prestiti non sono stato nominato da Prodi (come lui afferma falsamente) ma dagli azionisti di maggioranza, 66 Fondazioni bancarie non classificabili in termini di schieramenti politici.
E fingendo di ignorare che alla stessa presidenza della Cassa (come due anni fa alla vicepresidenza) sono stato designato dai medesimi azionisti di minoranza, e non dal Governo: anche se naturalmente la cosa è stata da essi trattata e concordata con Tremonti, nell’ambito di una riforma della governance della Cassa che affida all’amministratore delegato Varazzani tutti i poteri per la gestione dell’azienda e fa del presidente un organo di garanzia e di raccordo con gli azionisti e le istituzioni (Regioni, enti locali, commissione parlamentare di vigilanza).
Basterebbe questo dato, per vero, a smentire la ricostruzione critica di Debenedetti, il suo ricorso alla categoria del “collaborazionismo” (come un Franco Monaco qualsiasi!) e le illazioni sulla “valenza” della mia nomina (rectius elezione) per il Pd. Ma non si può non notare che anche Debenedetti (come, per vero, molti altri) sembra prigioniero di una cultura iperpoliticistica e ultrapartitocratica, per la quale qualunque cosa, e dunque anche le scelte del variegato mondo delle Fondazioni bancarie andrebbero ricondotte a logiche e convenienze di partito, e andrebbero su queste misurate. È peraltro la stessa distorsione culturale che ha spinto in passato lo stesso Debenedetti a contestare il ruolo e l’autonomia delle Fondazioni bancarie, come espressione della società civile («organizzazioni delle libertà sociali» secondo la felice formula usata da Zagrebelsky nella sentenza della Corte costituzionale che ne ha sancito la natura privata e l’incomprimibile autonomia), e che lo ha indotto a bollarle come insopportabilmente «autoreferenziali», perché non lottizzate dai partiti (almeno nella maggior parte dei casi). Ed è forse proprio questa una delle chiavi utili a capire le ragioni profonde della sua astiosa polemica.
Quanto alla intervista a Cazzullo sul Corriere, forse Debenedetti ignora che ci sono anche interviste (e intervistatori) non pilotati.
Cazzullo mi ha fatto le domande che voleva, e io gli ho dato risposte sincere. Per chi è convinto, come me, che le grandi riforme e le coraggiose innovazioni di cui il Paese ha bisogno richiedono, se non una grande coalizione, almeno un rapporto costruttivo e dialogico tra maggioranza e opposizione, era impossibile sottrarsi alla domanda sull’unica situazione politica che avrebbe consigliato una soluzione alla Merkel, il sostanziale pareggio elettorale del 2006. È peraltro una tesi che sostengo da anni, che ho illustrato nella prefazione all’edizione italiana del rapporto Attali (scritta con Mario Monti), che dunque nulla ha a che fare con la presidenza della Cdp.
Idem sul piano Rovati. È Cazzullo che ha notato qualche convergenza su quanto gli avevo appena detto e il piano Rovati. E Debenedetti, che riceve le newsletter di Astrid, sa perfettamente che da molto tempo andavamo riflettendo su quelle ipotesi (delle quali, all’inizio di quell’estate, avevo discusso con Bernabè, Colao, Parisi, Paola Manacorda, Francois de Brabant). La cena ferragostana con Prodi e Rovati è andata esattamente come ho riferito. Per ciò, pur giudicando intempestiva e inopportuna l’iniziativa di Rovati, l’avevo allora sostanzialmente condivisa nel merito e gli espressi all’epoca la mia solidarietà. So bene che ora questa ipotesi trova consensi nel centrodestra (ma non solo). E allora? Vogliamo porci il problema sostanziale, per il Paese, che è sottesa a quella discussione, o invece di privilegiare le peggiori logiche partitiche? Vogliamo capire chi può finanziare la ristrutturazione in fibra ottica del local loop della rete Tlc, che richiede non meno di 15 miliardi di nuovi investimenti? L’ipotesi di un intervento pubblico in una rete che (almeno per ora) è in regime di monopolio naturale, seguendo l’esempio del Giappone, della Corea (e della Francia), merita la pregiudiziale ideologica avanzata da Debenedetti? O non è questione (opinabile) da affrontare laicamente, confrontando soluzioni alternative?
Cordiali saluti
Franco Bassanini
Dallo statuto consultabile sul sito della Cassa non risulta che i soci che hanno più del 15% del capitale, cioè le Fondazioni, oltre al diritto di presentare una propria lista di consiglieri, abbiano quello di nominare né un vicepresidente né il presidente: con Prodi o con Tremonti, a essere “sovrano” è sempre il Tesoro. Se proprio si vogliono usare parole forti, “manipolazione” è indurre a credere il contrario. Parola forte è anche
“collaborazionismo”: non tocca all’autore difendere titoli e occhielli su cui non mette verbo, ma a Bassanini è sfuggito che, essendo messo al plurale, aveva senso affatto diverso. Quanto alle Fondazioni (bancarie, se è lecito precisare), è vero che la Corte ha sancito la loro natura privata, ma è altrettanto vero che la maggior parte dei membri degli organi di governo sono “nominati” direttamente o indirettamente dal pubblico.
È la differenza tra l’essere e il dover essere. Come al solito.
Franco Debenedetti
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Villari sì e Bassanini invece no
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 18 novembre 2008