Al direttore.
Avvicinandosi la fine della guerra, Thomas Mann, nel “Doctor Faustus”, scriveva: “Tutto muove e precipita verso la fine, il mondo sta sotto il segno della fine, almeno per noi tedeschi la cui storia millenaria, smentita, portata ad absurdum, sciaguratamente fallita e resa manifestamente erronea dal suo esito, termina nel nulla, nella disperazione, in una bancarotta senza precedenti, in una discesa all’inferno circondata da una ridda di fiamme assordanti. La spessa parete di quella camera delle torture in cui un potere indegno ha trasformato la Germania è crollata e la nostra vergogna è svelata agli occhi del mondo. E’ forse pura ipocondria dire a se stessi che ogni aspetto del carattere tedesco, anche la cultura tedesca, il pensiero tedesco e la parola tedesca sono stati colpiti e messi profondamente in discussione da questa infamante messa a nudo? Siano maledetti, maledetti quei portatori di distruzione che hanno iscritto alla scuola del male una specie umana in origine onesta, piena di senso della giustizia, solo un po’ troppo studiosa. Un po’ troppo incline a vivere di teorie! Ci furono anni in cui noi, figli del carcere, sognammo un anno di giubilo – il Fidelio, la Nona Sinfonia – per festeggiare il giorno della liberazione della Germania, della sua liberazione da se stessa. Adesso solo `l’Apocalypsis cum Figuris’ il frutto del patto diabolico di Adrian Leverkühn può esserci utile, solo quest’opera può sgorgarci come un canto dell’anima, il lamento del figlio dell’inferno, il più spaventoso lamento dell’uomo e di Dio che mai sia stato intonato su questa terra, un lamento che muove dall’individuo e si dispiega sempre più fino ad abbracciare per così dire l’intero cosmo”.
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