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Archivio per il Tag »Eni«

→  febbraio 5, 2014


Al direttore.

Finmeccanica, Salini, Todini, Ansaldo, Eni (possibilmente), Expo, Alitalia (of course), il credito, le fondazioni. Intercettato il “Letta viaggiatore”: “Abbiamo un’altra Cdp!”.

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→  novembre 27, 2011


di Roger Abravanel

La vicenda Finmeccanica ha dato una nuova prospettiva al dibattito sulle privatizzazioni. C’ è chi dice che la privatizzazione di Finmeccanica ridurrebbe le occasioni per ulteriori «fondi neri» e chi (come questo quotidiano) sostiene che privatizzarla non servirebbe a molto perché il privato utilizzerebbe la leva della corruzione della committenza pubblica esattamente come fa una azienda a controllo statale. La realtà è che la privatizzazione incide poco su questo tipo di problemi perché la Finmeccanica opera in un settore (difesa, sicurezza) dove la trasparenza è scarsa, le pratiche commerciali a volte ai limiti della legalità e l’ interferenza della politica significativa per definizione. Il cancro della corruzione in questi settori non si combatte con le privatizzazioni, ma con una committenza pubblica piu trasparente e un’ azione giudiziaria internazionale più incisiva e coordinata. La vera ragione per ridurre ulteriormente il ruolo dello Stato come azionista di Finmeccanica (come committente è impossibile) è un’ altra: creare valore proprio attraverso quello «spezzatino» tanto osteggiato dal fronte anti-privatizzazione. In Finmeccanica esistono business globali molto competitivi e in posizione di leadership: gli elicotteri (Agusta-Westland), l’ avionica (Selex-Galileo) legati alla committenza militare in Italia e nel mondo, e altri come l’ Ansaldo Energia e l’ Ansaldo Sistemi, più connessi al mercato privato mondiale dell’ energia e dell’ industria. Questi business competitivi (veri e propri «gioielli») convivono con altri che sopravvivono grazie alla committenza pubblica italiana – la Alenia e la «sicurezza» (la «famigerata» Selex-sistemi integrati) – e con altri che da sempre restano nell’ orbita pubblica per ragioni di salvaguardia dell’ occupazione (l’ Ansaldo Breda). Ora bisogna decidere cosa cedere e cosa tenere in orbita pubblica (e come farlo), con tre obiettivi: proteggere e rendere ulteriormente competitivi i «gioielli» a fronte della crisi finanziaria globale che porta a forti contrazioni degli investimenti pubblici in tutto il mondo in ogni settore (in particolare in quello della Difesa), generare un po’ di cassa e risolvere una volta per tutte il problema delle attività che sopravvivono solo grazie alla committenza dello Stato italiano o alla sua protezione. Per questo una privatizzazione tout court non è possibile senza una chiara strategia che dev’ essere impostata dal nuovo governo e affidata come mandato al cda e al presidente (attuale o futuro). Il fronte anti-privatizzazioni porta però avanti da mesi un’ altra argomentazione contro tutte le privatizzazioni: la cosiddetta «svendita dei gioielli di famiglia» ovvero alcuni business di Finmeccanica e poi l’ Enel e l’ Eni. Ma oggi lo Stato italiano non è in una situazione molto diversa da quella di una famiglia che deve svendere i propri gioielli per evitare il fallimento. Peraltro non è certo che si tratti di una «svendita». Gli anti-privatizzazioni sostengono che «lo Stato non può rinunciare ai 2 miliardi di dividendi dell’ Enel e dell’ Eni». Ma se questi dividendi in passato hanno reso il 7-8%, un vero affare quando il debito costava il 3%, oggi con un costo marginale del debito del 6-7% a causa dell’ esplosione degli spread la situazione è cambiata. E l’ incasso di almeno 30 miliardi (la vendita dei «gioielli») vale una manovra di uno Stato che tenta disperatamente di non fallire. In altre parole lo Stato italiano deve vendere perché il costo di tenersi i «gioielli» è oggi pari alla loro cessione; e comunque non può più permetterseli. Peraltro, non solo Finmeccanica beneficerebbe di una privatizzazione divenendo più competitiva e creando valore per gli azionisti e i lavoratori. Anche per Enel e Eni una minor presenza dello Stato sarebbe salutare. Dai tempi della loro parziale privatizzazione, queste aziende hanno fatto passi da gigante in termini di competitività, qualità del top management e della governance (Consiglio di amministrazione) che, per molti aspetti, può anche essere considerata oggi migliore di quella di molte aziende italiane quotate dove l’ azionista di riferimento sono le famiglie italiane. Ma la crisi mondiale in corso e le nuove sfide globali richiedono che i vertici perseguano sforzi ancora maggiori nel taglio dei costi e nelle cessioni/alleanze internazionali, difficilmente compatibili con una forte presenza dello Stato. Queste nuove strategie devono essere approvate da cda informati ed attivi che appoggiano vertici pronti a impegni coraggiosi. In Italia, spesso i vertici costruiscono da soli le strategie e semmai le concordano con l’ azionista pubblico che sceglie anche l’ amministratore delegato con minimo coinvolgimento del consiglio e del suo presidente (che alla fine conta abbastanza poco). Ciò è consentito dalle loro pratiche di governance che ormai non sono più in linea con i tempi: i cda di queste aziende scadono tutti assieme e non hanno mandati in scadenza dei singoli consiglieri come nelle migliori pratiche mondiali che invece consentono al cda e al suo presidente di nominare l’ amministratore delegato. In sintesi quindi, l’ invito per il governo Monti è di accelerare le privatizzazioni delle aziende «ex-pubbliche», più facili da realizzare che la vendita del patrimonio immobiliare e delle caserme e con più potenziale di contribuire alla ulteriore crescita di imprese globali che creano posti di lavoro e valore per i loro azionisti.

→  febbraio 21, 2010

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Spa a capitale pubblico

Caro Romano, una spa a totale capitale pubblico, come la Rai o l’Eni sarebbe dovuta diventare la Protezione civile, si legge sul Corriere della Sera del 16 febbraio. Con questo ossimoro mi viene data una soddisfazione postuma: infatti, proprio in relazione alla vendita di una tranche di azioni Eni (o forse era Enel?) decantata come «privatizzazione» su cartelloni e giornali, feci un esposto all’Antitrust per pubblicità ingannevole. L’esposto non fu accolto e non migliore fortuna ebbe il disegno di legge che depositai nel 2003.

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→  ottobre 29, 2007

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L’Eni di ieri e quella di oggi

“I nuovi Mattei”: era il nome che avevo dato ai nuovi manager messi a capo delle grandi aziende ancora da privatizzare, ENI, Enel, Stet. Nei giorni passati, commentando l’iniziativa di Paolo Scaroni in Kazakistan, qualcuno l’ha visto come il continuatore dell’opera del mitico fondatore dell’ENI, anche lui alla ricerca di risorse energetiche in posti geograficamente e politicamente difficili. Scaroni come nuovo Mattei?

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→  luglio 15, 2006

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Intervento

Basta che si profili l’ipotesi di un’OPA ostile estera su Enel, e subito scatta il piano di “soccorso”. Quello al momento più in voga passa attraverso la fusione ENI-Enel, lo scambio delle rispettive attività nel gas e nella generazione elettrica, per consentire al Governo di vendere la partecipazione che ancora detiene in Enel, mantenendone indirettamente il controllo e, di passaggio, quello in Snam Rete Gas. (Christian Martino e Giuseppe Oddo, Il rischio di OPA apre la strada a ENI-Enel, Il Sole 24 Ore del 4 Luglio).

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→  gennaio 24, 2006

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Emergenza Gas

Più rigassificatori e che non siano di chi ha già posizioni dominanti, cioè ENI ed Enel. E poi, via il Cane a sei zampe dalla proprietà dei gasdotti. Quanto più il Gas rischia di diventare risorsa scarsa, tanto più l’Italia deve liberalizzare questo nodo. Franco Debenedetti, senatore del gruppo Ds-Ulivo è molto preoccupato. Teme che si approfitti delle paure sull’approvvigionamento del gas per chiedere che si freni o addirittura si faccia marcia indietro nella liberalizzazione del mercato.

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