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→  ottobre 16, 2011


La risposta è una: più mercato

La crescita: richiesta da Francoforte, attesa dai mercati, ripetuta per cercare di dare un senso a questa desolante fase politica. Nelle quattro giornate del convegno della Banca d’Italia a Roma sulla storia economica dell’Italia nei 150 anni dall’Unità, il tema era sempre presente, esplicito o sottotraccia: un percorso, il nostro, complessivamente di crescita, ma discontinuo, con accelerazioni che ci portano quasi a raggiungere i migliori, seguito da stasi, come questa che dura da quasi vent’anni. Perché adesso questa incapacità a crescere, questa produttività bloccata? E’ cambiato qualcosa in noi, oppure è cambiato il contesto, e l’importanza relativa di certe nostre caratteristiche, positive o negative, rendono più difficile adattarcisi?

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→  ottobre 13, 2011


Lettera di Raffaele Bonanni

Caro Direttore, le tormentate vicende della Banca Popolare di Milano chiamano in causa il dibattito sul modello di «corporate governance» dell’ impresa e su quale deve essere il ruolo dei lavoratori e dei sindacati in una moderna democrazia economica. Confronto tanto più acceso poiché la Bpm è l’ unica banca popolare nella quale l’ Associazione degli azionisti dipendenti esprime, storicamente, la maggioranza del consiglio d’ amministrazione. La Cisl, dalla sua nascita, ha un pensiero forte in proposito: il superamento dell’ antagonismo può trovare nell’ azionariato diffuso, a partire da quello dei lavoratori, i titoli giuridici per la partecipazione alla proprietà dell’ impresa. Le banche popolari rappresentano, sotto questo profilo, la forma più compiuta di partecipazione al governo dell’ impresa: il voto capitario, il tetto al possesso azionario, i limiti nelle deleghe di voto configurano la forma più avanzata di democrazia economica. Non credo, infatti, che possa dirsi compiuta una democrazia che arresta i suoi istituti sulla soglia dell’ impresa. A maggior ragione nel contesto globale del nostro tempo, laddove numerose imprese multinazionali vantano fatturati di gran lunga superiori ai Pil di molti Stati nazionali, decidendo il destino degli investimenti, dell’ occupazione, del reddito, del consumo, della coesione o dell’ imbarbarimento sociale. Ciò non toglie che il modello partecipativo della Bpm, che noi continuiamo a sostenere, abbia contribuito ad acutizzare le anomalie gestionali e le difficoltà della banca perentoriamente richiamate dall’ ispezione della Banca d’ Italia. Perché è accaduto? Un primo fattore è riconducibile al primato dell’ Associazione degli azionisti dipendenti nel governo della banca. All’ inizio un successo importante per tutti i lavoratori. Nel tempo, tuttavia, quel primato è stato contaminato da processi involutivi e degenerativi che sono venuti alla luce quando, a metà settembre, alcuni organi di informazione hanno rivelato l’ esistenza di un accordo «segreto» sulle carriere riservate ai vertici sindacali della Bpm. Quell’ accordo, che segnala l’ esistenza, da tempo, di politiche clientelari e spartitorie nella gestione del personale, è incompatibile con la tutela uguale e universale dovuta a tutti i lavoratori. La Cisl, come è noto, a differenza di altre organizzazioni sindacali, è intervenuta attraverso la Fiba, la federazione di categoria, con la massima determinazione, convinta della necessità di essere rigorosi con se stessi, prima di esserlo verso gli altri. Occorre voltare pagina. Vogliamo restituire la Banca, dopo la perentoria censura dell’ ispezione della Banca d’ Italia, alla sua vocazione originaria di banca della piccola e della media impresa, delle sue economie e delle sue comunità di riferimento. Bisogna chiudere irreversibilmente l’ epoca delle clientele, delle cordate, delle spartizioni, offrendo a tutto il personale pari opportunità di carriera, equità dei criteri di valutazione del merito, partecipazione ai risultati. Ma nello stesso tempo, occorre difendere il modello di «governance duale» in quanto architettura istituzionale ottimale per separare i compiti di indirizzo strategico e di controllo tipici dell’ azionista, dalla gestione che compete al top management. Lo si può fare rafforzando le competenze e i poteri del consiglio di sorveglianza, troppo limitati nell’ attuale ipotesi di Statuto, associandone l’ esercizio a maggioranza qualificata. La Cisl si batterà per un efficace riposizionamento strategico della Banca, per far crescere la produttività, con la massima attenzione ai livelli occupazionali e al reddito dei lavoratori. Questa è la strada per salvare l’ inestimabile valore sociale e di partecipazione del patrimonio cooperativo che Bpm ha costruito nella sua lunga storia.

→  settembre 29, 2011


Si poteva trasformare la banca in un’azienda “normale” in cui chi mette i soldi sceglie il management.

Soluzione gattopardesca: BPM adotta la governance duale, ma ad avere il controllo con circa il 4% del capitale è sempre l’associazione che può contare sui voti dei dipendenti. Sono loro che nominano il Consiglio di Sorveglianza e quindi indirettamente il Consiglio di Gestione. Il Consiglio di Sorveglianza non può dare indicazioni strategiche, ma solo pareri non vincolanti. Quanto vincolanti invece continueranno ad essere le indicazioni degli “Amici” su ciò che più conta, promozioni e carriere, il comunicato pudicamente non dice: non è il caso di parlare di quello che non cambia. Valeva la pena discutere fino a mezzanotte?

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→  settembre 25, 2011


“Inevitabile”. Quando si muovono critiche a una delle tante varianti di imposta patrimoniale – ultima arrivata quella del “prelievo forzoso” di littoriana memoria- ci si sente rispondere che sì, gli argomenti sono giusti, ma anche inutili, perché la patrimoniale ormai è “inevitabile”. Ma è proprio se tutti la pensano inevitabile, che non sarà evitata: chi respinge le critiche fa dunque un ragionamento analogo a quello che i logici chiamano performativo, per cui ciò che si afferma si verifica.

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→  settembre 20, 2011


Al direttore

Tra fini e mezzi, almeno uno dei due dovrebbe essere giusto. Invece nello scambio “prestito forzoso contro privatizzazioni”,
ipotizzato da Fitoussi e Galateri sul Corriere e ripreso da Rebecchini sul Foglio, fini e mezzi sono intercambiabili, entrambi essendo finti: il prestito è una patrimoniale camuffata, la vendita uno stratagemma per non vendere.

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→  settembre 19, 2011

Relazione di Francesco Forte

1.E’ molto strano che si sostenga che è necessario vendere un a parte rilevante del nostro patrimonio immobiliare pubblico e privatizzare le imprese pubbliche statali e sopratutto locali per abbattere il debito pubblico e, nello stesso tempo, si sostenga che per risanare i nostri conti pubblici occorre una imposta patrimoniale. Chi dovrebbe comperare gli immobili pubblici e le azioni delle imprese pubbliche privatizzzate , se popi rischia di pagarci una imposta patrimoniale?. E a quale prezzo si pensa di vendere questo patrimonio, se si preannuncia che il suo valore di mercato sarà intaccato da una patrimoniale ? Forse non si vogliono fare queste dismissioni di patrimoni pubblici.
Grosso modo , ci sono, sul campo , tre proposte di tassazione patrimoniale

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