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→  giugno 9, 2013


Caro Direttore,

Per “far sopravvivere alla crisi un capitalismo moderno e moderato”, bisogna “regolare seriamente la finanza”, sostiene Salvatore Bragantini (Corriere della Sera, 6 Giugno 2013). La finanza sarebbe all’origine della catena causale che rischia di portarci al disastro.

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→  giugno 7, 2013


Intervista di Federica Meta a Tommaso Valletti

L’economista: “La Cassa non è in grado di gestire lo spin off, soddisfa solo gli appetiti della politica”. E sull’operazione: “Se mal fatta può avere effetti disastrosi”

La separazione della rete Telecom, in teoria, può avere effetti benefici sull’azienda e sul comparto Tlc. Ma se “mal fatta” ne può avere altrettanto di disastrosi. Tommaso Valletti, ordinario di Economia all’Imperial College London e all’università Tor Vergata di Roma, membro della Competition Commission britannica, evidenzia luci e ombre dell’operazione di spin off.

Entriamo nel dettaglio degli effetti su Telecom Italia e sul mercato.
In via di principio lo scorporo potrebbe avere un buon effetto. Una rete totalmente separata dai servizi garantisce più equità e annulla le asimmetrie tra i concorrenti. Il settore delle Tlc – i consumatori in particolare – potrebbero beneficiarne e gli investimenti potrebbero finalmente ripartire. A livello industriale, però, Telecom perderebbe un asset strategico a causa di motivi finanziari – l’eccessivo debito – e politici – il possibile “appetito” della politica di tornare in pista, nelle utilities ad esempio. In questo contesto tutto dipenderà da come si farà la separazione: se mal fatta può essere disastrosa per tutti. E comunque – questo va ricordato – non ci sono purtroppo evidenze empiriche rilevanti a livello internazionale per giudicare gli effetti dello spin off sulla base di esperienze altrui.

Lei dice che dipende molto da come si fa l’operazione, quindi dalle regole. A suo avviso quale sarebbe il quadro regolatorio più propizio?
Facciamo un passo indietro. Se la regolamentazione di open access fosse efficace, che bisogno ci sarebbe di dover separare la rete se non per i motivi politico-finanziari detti sopra? Di fatto open access ha funzionato solo parzialmente. Di recente Telecom Italia è stata multata dall’Antitrust per abuso di posizione dominante nelle forniture dei servizi all’ingrosso agli operatori alternativi. I dettagli della regolazione non sono ancora noti e non posso pronunciarmi senza conoscerli. Sento dire, però, che Telecom voglia tenersi le componenti attive della rete, per cui continuerebbe a gestire i servizi all’ingrosso e gli abusi potrebbero continuare. Vedremo quello che succederà, ma oggi affermare di essere favorevoli o contrari all’operazione è decisamente prematuro così come trovo sterile il dibattito su cosa sia meglio – stato o privato.

Quale ruolo può giocare la Cassa Depositi e Prestiti?
La Cdp sembra essere uno dei pilastri di questa operazione. Ma, personalmente, non vedo in essa le competenze tecniche per gestire e comprendere un’operazione di tale portata. La Cassa Depositi e Prestiti appaga, invece, pienamente la ricerca di posizioni di potere della nostra classe politica. Il mio è un giudizio negativo, ma spero di sbagliarmi.

→  giugno 6, 2013


di Salvatore Bragantini

«Il capitalismo ha i secoli contati», s’intitola un libro di Giorgio Ruffolo, ma se esso non smette certi tratti inaccettabili la profezia si avvererà più in fretta. Le cause reali della crisi che viviamo dall’agosto ’07 sono gli sbilanci commerciali (per l’ingresso di grandi Paesi prima inesistenti per i commerci) e l’eccesso del risparmio sugli investimenti reali. Grandi fette di valore aggiunto si sono infatti spostate dal lavoro (che consuma e sostiene la domanda) al capitale (che risparmia ma non trovando investimenti produttivi crea bolle). Negli Usa il reddito reale dei dipendenti calava ma essi rimediavano indebitandosi con le banche. Queste li finanziavano grazie ai denari di chi si stava appropriando dei guadagni di produttività, fin lì divisi con il lavoro.

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→  giugno 2, 2013


After the music stopped. The financial crisis, the response, and the work ahead.
Alan S. Blinder,
The Penguin Press New York,
pagg. 476, $ 29,95


«Abbiamo bisogno di conoscere la storia dello storico per comprendere la versione che ci mette dinnanzi». Cade a proposito l’osservazione di Julian Barnes, quando la storia è quella della Grande Recessione e a darne la sua versione è Alan S. Blinder: professore a Princeton dal 1971, membro del Council of Economic Advisors del presidente Clinton, vicepresidente del Board of Governors alla Fed, Democratico, keynesiano pragmatico (senza premio Nobel, per intenderci), Blinder è figura di rilievo di quel mondo accademico – regolatorio – politico a cui appartengono anche coloro, nella Fed di Washington e di New York, al Tesoro e al Congresso, che di questa storia sono stati protagonisti. È per la sua storia personale se le sue coordinate di riferimento sono i rapporti politici, quelli interni al Congresso e alle sue commissioni, come quelli tra esecutivo e opinione pubblica; se le pagine più vivaci sono i resoconti delle riunioni del Comitato di Mercato Aperto della Fed, o degli incontri tra Tesoro, Fed e banchieri al culmine della crisi.

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→  maggio 26, 2013


È solo la punta dell’iceberg il problema della liquidità, quando si parla di finanziamenti alle Pmi. C’è anche la difficoltà nel trasmettere all’eurozona la politica monetaria della Bce: tant’è che il tema era nell’agenda della riunione di giovedì dei 23 membri del board della Banca centrale. Ci sono le difficoltà delle aziende, e non solo quelle e specifiche di quelle italiane: tant’è che ne parlava la Frankfurter Allgemeine Zeitung del 16 Maggio in uno “speciale” di 8 pagine dedicato alle difficoltà che sta incontrando il Mittelstand, colonna portante del sistema industriale tedesco. Chi guarda solo alla punta dell’iceberg, considera il finanziamento alla stregua della cassa integrazione, cioè uno strumento per sopravvivere. Chi pensa al ghiaccio che sta sott’acqua, guarda alla crisi in un modo diverso: invece di essere ansioso su “come fare” per arrivare alla fine della crisi, è preoccupato di “come essere” quando inizierà la ripresa. You never let a serious crisis go to waste, per citare Rahm Emanuel.

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→  maggio 8, 2013


Di vendere la rete telefonica fissa si parla almeno da quando si è privatizzata la Stet.

Prima era per ragioni antitrust: i concorrenti “mobili” sostenevano che solo quando le vecchie società telefoniche privatizzate avessero venduto le loro reti, ci sarebbe stata la “neutralità” della rete. Grazie un po’ a regolamentazioni più severe, un po’ a tecnologie sostitutive, oggi questo problema è meno acuto.

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