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→  giugno 6, 2014


Da quando è stata pubblicata la traduzione inglese di “Le Capital au XXIe Siècle”, le recensioni, i convegni, gli inviti hanno proiettato Thomas Piketty a livelli di notorietà inusuali per un economista. Ragion per cui, quando il Financial Times spara la notizia che ci sono errori nei suoi numeri e nel modo di usarli, il botto è proporzionato al successo. Gli entusiasti tutti dietro a Paul Krugman, a scagliarsi contro i pignoli incompetenti che avevano osato attaccarlo, i critici (quorum ego) a sorridere: che vi dicevo? Thomas Piketty ha scritto 1.000 pagine (dell’edizione originale) corredate da 115 tra grafici e tabelle, sintesi di 15 anni di lavoro accademico, una formidabile cintura protettiva intorno alla tesi che il capitalismo produce diseguaglianza. “Dimostrare” una tesi con una massa intimidente di dati: è il pikettismo. Ragionare sul rapporto tra scelta della tesi e raccolta dei dati: è il metapikettismo.

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→  giugno 1, 2014


by Per Krusell, Tony Smith

Thomas Piketty’s new book has been widely praised for its empirical contribution, but his prediction of rising inequality rests on economic theory. This column argues that Piketty’s pessimistic forecast is based on an extreme – and unrealistic – assumption about households’ saving behaviour. According to standard theory, the wealth–income ratio would increase only modestly as growth falls, so declining growth would not be a powerful force for generating high inequality.

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→  maggio 20, 2014


Thomas Piketty
Le Capital au XXIème siècle
SEUIL, 2013


Alcune delle formule che hanno cambiato il nostro modo di capire il mondo sono semplici e compatte: quella di Einstein dell’equivalenza di massa ed energia, quella che definisce l’entropia, che Planck scrisse sulla tomba di Blotzmann. La formula della “diseguaglianza fondamentale”, che “in un certo senso riassume la logica complessiva” del lavoro di Thomas Piketty, quanto a compattezza è imbattibile imbattibile: “r>g”. Ma che sia la legge bronzea che spiega il funzionamento del “capitale del XXI secolo” è tutto da vedere.

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→  maggio 12, 2014


Stephen D. King
Quando i soldi finiscono
La fine dell’abbondanza in Occidente
Fazi editore, 2014


Quando i soldi finiscono è solo un gioco di parole, scrive Stephen D. King a proposito del titolo che ha dato a questo suo libro: ovvio, finché c’è una banca centrale disposta a stamparli i soldi non finiscono mai. Ma può finire la fiducia, e senza di essa la società finisce per disintegrarsi.

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→  maggio 3, 2014


di Francesco Forte

Il libro di Thomas Piketty, “Capital in the Twenty-First Century”, soprattutto dopo la sua pubblicazione in lingua inglese, ha suscitato un dibattito interessante. La sua impostazione metodologica, consistente nel mettere insieme dati plurisecolari sulla diseguaglianza dei redditi, mi insospettisce. Ciò ancorché egli sembra essere stato aiutato in tale compito da un economista competente come Anthony Atkinson. Infatti quando per il mio libro “L’economia italiana dal Risorgimento ad oggi” del 2010 ho cercato di ricostruire serie omogenee dei dati macro economici della nostra economia nei 150 anni, mi sono reso conto di quante lacune ci siano nelle fonti statistiche di un singolo paese. E non capisco come si riesca a omogeneizzarli fra una ventina di paesi, come fa Piketty. In attesa di studiare tali banche dati, esprimo molti dubbi sulla tesi di fondo per cui la elevata concentrazione della ricchezza dipenderebbe dal fatto che “r”, il tasso di remunerazione del capitale, ha la tendenza a eccedere “g”, il tasso di crescita del pil, per colpa del modo “patrimoniale” in cui è organizzato il sistema economico capitalistico.

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→  maggio 3, 2014


di Marco Valerio Lo Prete

Se negli Stati Uniti l’elisir dell’egualitarismo va a ruba, come dimostra lo straordinario successo mediatico e di vendite del saggio sul Capitale dell’economista Thomas Piketty, dipende anche dal fatto che la divaricazione dei redditi nelle società occidentali esiste e cresce. Tutto sta però, secondo l’economista Luigi Zingales, a non cedere “alla convergenza tra élite ideologicamente anti mercato e diseredati comprensibilmente arrabbiati”, non foss’altro perché “non è con la visione illuministica e statica dei primi che si possono attutire le differenze di reddito che affliggono i secondi. Meglio sarebbe, piuttosto, nutrire un sano populismo pro mercato che, almeno negli Stati Uniti, ha radici storiche”, dice l’economista dell’Università di Chicago parlando con il Foglio.

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