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→  febbraio 3, 2007

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Caro Direttore,

La presenza della Cassa Depositi e Prestiti (CdP) nel Fondo Infrastrutture Italiane (F2I) è finanziariamente rilevante e strategicamente decisiva. La CdP ha il 14,3% del capitale (senza contare, per evitare di parlare del sesso degli angeli, la Cassa di Previdenza dei Geometri e le Fondazioni bancarie). Il fondo é presieduto dall’ex presidente della CdP stessa e per presentarlo ai mercati si sono scomodati il Ministro Padoa Schioppa e il Viceministro Pinza.

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→  gennaio 27, 2007

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di Francesco Giavazzi

I fondi che investono in infrastrutture (autostrade, porti, aeroporti, ma anche ospedali, reti elettriche e per la distribuzione del gas) sono sempre più numerosi. Solo negli ultimi mesi ne sono nati 5 o 6, ad esempio quello lanciato dalla società americana Carlyle, con una dotazione iniziale di oltre un miliardo di dollari. I fondi dell’australiana Macquarie (che in Italia possiede il 44,5% degli Aeroporti di Roma) investono nel mondo un totale di circa 40 miliardi, abbastanza per costruire otto ponti sullo Stretto di Messina.

In Italia accade raramente che opere pubbliche siano finanziate ricorrendo a questi fondi: il motivo per cui esse non decollano è l’incertezza regolamentare. Esemplare è il caso Autostrade: dopo aver firmato una concessione trentennale, oggi il governo ha deciso di riscriverla. E’ vero che quella concessione era forse troppo favorevole ai privati, ma lo Stato avrebbe dovuto pensarci prima: rinnegare un contratto firmato ha effetti deleteri e tiene alla larga gli investitori. E quando ciò accade, per finanziare opere pubbliche non rimane che ricorrere alle tasse dei cittadini.
La scorsa settimana il governo ha creato un fondo per le infrastrutture nel quale investiranno la Cassa depositi e prestiti, le nostre banche maggiori e le fondazioni bancarie. Ce n’era davvero bisogno? E perché le banche, anziché creare un proprio fondo, come Macquarie o Carlyle, ne sottoscrivono uno la cui regia è saldamente in mano al governo e la cui guida è affidata a Vito Gamberale, già manager delle Partecipazioni statali, poi passato dalla parte dei «cattivi rentier » di Autostrade e ora redento?

Il motivo contingente che ha indotto a creare il nuovo fondo è la decisione dell’Antitrust che impone alla Cassa depositi e prestiti di cedere o la partecipazione in Enel o quella in Terna, la società che possiede la rete elettrica. Per non perdere il controllo né dell’una né dell’altra, Terna sarà trasferita al nuovo fondo e quindi rimarrà nella sfera pubblica. Ma a che prezzo avverrà la cessione? Se fosse troppo basso ci perderebbero i contribuenti, se fosse troppo alto a perderci sarebbero gli azionisti delle banche che partecipano al fondo. Per garantire entrambi ci vorrebbe una gara aperta ai fondi internazionali. Ma di gare non si parla.

Senza gare e finanziato da banche amiche (ora si capisce perché il governo ha applaudito alla nascita di Intesa-San Paolo) il fondo crescerà: dopo Terna, acquisterà la partecipazione dell’Eni in Snam Rete Gas, poi la rete fissa di Telecom Italia, secondo il principio che le reti devono essere separate dai gestori dei servizi. Questo è giusto. Ma non c’è ragione che siano anche pubbliche. E così, grazie alla tenacia di Prodi, il piano di settembre del suo (ex) consigliere Rovati — che prevedeva appunto la nazionalizzazione della rete fissa di Telecom — arriverà in porto.
Vent’anni fa Prodi, allora presidente dell’Iri, cercò di togliere ai privati il controllo di Mediobanca. Non ci riuscì. La nuova Mediobanca nasce oggi, sotto l’ala protettiva di Palazzo Chigi e degli azionisti bresciani di Intesa-San Paolo. Non mi sorprenderei se il prossimo passo fosse la nomina all’Antitrust e all’Autorità per l’energia di qualche commissario perbene, che tuttavia nutre dubbi sulle proprietà taumaturgiche del mercato. Autorità amiche non obietteranno a canoni un po’ più alti per l’accesso alle reti possedute dal nuovo fondo. Le risorse del fondo cresceranno e così i suoi orizzonti, per arrivare ad altre mete più ambiziose. Può darsi che tutto ciò sia nell’interesse del Paese ma è legittimo chiedere che un passo tanto importante sia preceduto da una grande e libera discussione.

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la risposta di Vito Gambarale, 27 gennaio 2007

→  gennaio 26, 2007

… a proposito di F2i -Fondo Italiano per le Infrastrutture

di Vito Gamberale

Ho letto con la solita attenzione l’articolo del Senatore Franco De Benedetti, riportato sul Sole 24 Ore di oggi, a proposito di “F2i -Fondo Italiano per le Infrastrutture”.
Rispetto pienamente le opinioni espresse. Ci tengo però a precisare talune assunzioni frutto senz’ altro di un’eccessiva ermeticità nel mio speach di presentazione a Milano, durante la conferenza stampa.
I parametri del Fondo, che saranno tendenzialmente al di sotto della media del mercato, riguardano esclusivamente il management fee ed i pacchetti retribuitivi del management.
Sono due aspetti già dibattuti sia in Italia che sui mercati finanziari occidentali. Infatti, gli investitori nei Fondi, vista la liquidità disponibile, tendono a pagare commissioni di gestione inferiori alla forchetta di 1,5–2 per cento, che è la media del mercato.
Le retribuzioni dei manager, negli ultimi tempi, hanno fatto scalpore, e non solo in Italia, per taluni eccessi.
Il fondo F2i guarderà con attenzione a questi due aspetti, mantenendosi, come detto, al di sotto dei relativi standard, contenendo, quindi, i costi sia per gli investitori che per la Sgr.
Di sicuro, invece, non potrà essere al di sotto del mercato la resa che verrà offerta agli Investitori. Questa non potrà che riflettere le attese del mercato, con l’impegno convinto di poterle soddisfare al meglio. E proprio perchè si potesse parlare di effettivo mercato, non si è voluto limitare l’ammontare del Fondo al pur importante globale apporto degli Sponsors (per circa 1 miliardo di euro).
Si andrà a fare placing sui mercati internazionali, principalmente del nord America ed Europa. E’ stato scelto un placement Agent, selezionato anch’esso in un opportuno contesto competitivo. Il commitment per l’Agent sarà di raccogliere un importo perlomeno uguale agli apporti degli Sponsors (e cioè un altro miliardo di euro).
I mercati nazionali ed internazionali, non possono investire se non attratti da normali, e forse più incoraggianti, prospettive di rendimento.
Ho voluto precisare questi aspetti perchè il dibattito e le riflessioni possano svilupparsi su quelli che saranno i reali punti cardinali del fondo F2i.

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Capitalismo di stato
di Francesco Giavazzi – Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2007

→  gennaio 26, 2007

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Mentre i giornali devono ricorrere alla grafica perché i lettori riescano ad orizzontarsi tra le varie “lenzuolate” di liberalizzazioni, rischia di non ricevere adeguata attenzione una iniziativa che, per quanto è dato saperne, sembra andare in una direzione diametralmente opposta. Mentre Bersani e Rutelli, in santa e meritoria concorrenza, propongono misure volte ad eliminare l’ingerenza dello Stato nelle attività di barbieri e benzinai, nella vendita di giornali e di assicurazioni, promettono di restituirci libertà anche leggere, quali lo sceglierci la targa della nostra automobile, martedì scorso il Governo ha dato vita a una iniziativa assai pesante, che sembra trasportarci agli anni della pianificazione, ai non rimpianti tempi delle partecipazioni statali. A Milano, officiante il Ministro dell’Economia in persona, si è tenuto a battesimo F2I Sgr, Fondo Italiano per le Infrastrutture.

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→  gennaio 11, 2007

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da Peccati Capitali

I conti dello Stato nel 2006 sono andati molto meglio del previsto. Ad Aprile, Giulio Tremonti prevedeva un fabbisogno a fine anno di 66 miliardi; Tommaso Padoa Schioppa l’aveva fatto lievitare a 70, a conclusione della due diligence sui conti ereditati dal suo predecessore: ed erano già erano noti inusitati aumenti del gettito tributario. A luglio, lo ridusse a 59; a settembre a 47,5: chiuderemo l’anno a 35,2, un punto di PIL in meno.
In politica, più che i fatti contano le interpretazioni.

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→  novembre 22, 2006


di Gad Lerner

Nell’ establishment italiano funziona così. Di fronte a un libro imbarazzante che denuncia la presenza anomala di imprenditori e banchieri nella proprietà dei giornali, in particolare del Corriere, e forse addirittura una degenerazione spionistica della contesa in atto per il suo controllo, figuriamoci, tutti quanti plaudono al coraggio dell’ autore. Salvo poi precisare sottovoce: sia ben chiaro che non ci si può far nulla.

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