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→  agosto 16, 2008

Riscoperto da Tremonti, è stato un mariuolo, un guitto o il primo comunista della storia?
Palalexus, Cortina D’Ampezzo

Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e la sua Robin Tax hanno riportato in auge l’eroe inglese Robin Hood che, secondo la leggenda, “ruba ai ricchi per dare ai poveri”. Anche se nell’Italia del Terzo Millennio si parla di social card e l’Inghilterra del XII secolo è assai lontana, rimane il solito problema: condannare o assolvere?
A dare vita al processo in piazza organizzato da Cortina Incontra, ci pensano Franco Debenedetti nei panni del Pubblico Ministero, Piero Sansonetti come avvocato difensore, Enrico Cisnetto in qualità di Presidente del Tribunale e Federico Della Rosa, ovvero Robin Hood.

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L’intervento in PDF

→  agosto 3, 2008

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Mantenere il controllo nelle mani di pochi e dare potere a chi li puntella: é questa la “difesa dell’italianità”

Un liberista né deluso né rassegnato si sente provocato dall’intervista che Cesare Geronzi ha dato al Sole 24 Ore. Il perché è presto detto. Quindici anni fa si incominciò a smontare il sistema delle Partecipazioni Statali, con Amato, poi con Dini, Ciampi e Prodi. Oggi si stanno ricreando, con un minore impiego di capitale pubblico, assetti proprietari stabili, benedetti o sponsorizzati o perfino garantiti dallo Stato.

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→  luglio 21, 2008

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di Massimo Giannini

Non c’è bisogno di aver letto Carl Schmitt sul ruolo della banca centrale tedesca ai tempi di Weimar, per capire quanto contino, in una democrazia degna di questo nome, le autorità indipendenti. Per comprendere quanto pesino, in uno Stato ad economia liberale, i cosidetti «poteri neutri». Eppure qualche lettura colta non farebbe male ai leader del centrodestra che oggi guidano l’Italia all’insegna della dottrina (schmittiana anche questa) dello «Stato governativo». Si eviterebbero mostruosità come quella che hanno appena compiuto ai danni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Passato quasi sotto silenzio, ad eccezione di poche e isolate grida d’allarme, il blitzkrieg notturno con il quale la Lega ha azzerato i vertici dell’Authority, con un banale ma micidiale emendamento alla manovra, è un «atto sedizioso». Così l’avrebbe chiamato Guido Carli.

Con la scusa di un apparente ampliamento dei poteri dell’istituto alle attività di «concessione, autorizzazione o convenzione per l’avvio della produzione di energia nucleare», è stato ridotto da 5 a 4 il numero dei membri, ed è stato rimosso il presidente in carica. Guarda caso, proprio quell’Alessandro Ortis che si era «permesso» di sollevare dubbi sulla possibile «traslazione» sui consumatori della Robin Hood Tax, e che aveva «osato» proporre la separazione proprietaria di Snam Rete Gas dall’Eni. Il governo non aveva gradito. Scajola aveva bacchettato il grand commis: «Non travalichi le sue competenze istituzionali». Colossale fesseria ministeriale: è esattamente nei poteri delle Authority suggerire soluzioni tese alla migliore efficienza dei mercati su cui sono chiamate a vigilare. Ma il rimbrotto non era bastato. E così è arrivato il siluro.

Non si era mai vista una purga staliniana ai danni del presidente di un’autorità amministrativa indipendente a due anni dalla scadenza del suo mandato. Stupisce che gli economisti e i commentatori liberali non se ne siano accorti, ma è un precedente di una gravità inaudita. Alla fine anche i «colbertisti» l’hanno capito. E così, a quanto pare dalle cronache parlamentari, lo scempio leghista è stato riparato in Commissione, con uno stralcio inserito all’ultimo minuto nel maxiemendamento alla stessa manovra. Ma l’incidente rimane agli atti. E la dice lunga, purtroppo, sulla cultura politica di questa maggioranza. A quando un bel repulisti anche alla Banca d’Italia o alla Consob, come lucidamente si chiede Franco Debenedetti sul sito lavoce.info? La domanda è tutt’altro che retorica.

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Un colpo all’indipendenza delle autorità
di Franco Debenedetti – La Voca, 15 luglio 2008

→  luglio 21, 2008

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di Sergio Romano

Siamo abituati agli atti d’accusa che coinvolgono numerose persone e alle sentenze, soprattutto in Appello e in Cassazione, che riducono considerevolmente il numero e le responsabilità degli imputati. Nel procedimento che concerne dal 2005 Telecom, Pirelli e il responsabile dei loro servizi di sicurezza, Giuliano Tavaroli, sembra che stia accadendo esattamente l’opposto. Durante lo «scandalo dei dossieraggi» (un gigantesco mercato di controlli telefonici e spionaggio informatico che coinvolse, come vittime e clienti, parecchie migliaia di persone) avemmo tutti l’impressione che le indagini avrebbero inevitabilmente trascinato sul banco degli accusati il presidente e l’amministratore delegato dell’azienda, rappresentati come registi dell’intera operazione. Ebbene, no. Dopo tre anni di indagini, la Procura della Repubblica di Milano starebbe per incriminare una trentina di persone, fra cui Tavaroli, e per rinviare a giudizio le società Telecom e Pirelli, ma avrebbe implicitamente scagionato Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora. Il «teorema», come direbbe Berlusconi, è stato smontato. Ma questo non è accaduto alla fine di un sofferto tragitto giudiziario, costellato di sentenze e di appelli.

È accaduto grazie a una Procura che, occorre riconoscerlo, non ha fatto nulla, nella fase calda dello scandalo, per alimentare sospetti e supposizioni. Forse è giunto il momento di chiedersi come e perché l’Italia sia particolarmente vulnerabile a questo tipo di vicende. Quando esplodono, gli scandali italiani cadono su un terreno pronto ad accoglierli. Una parte importante della pubblica opinione è convinta che la sua classe dirigente (politici, imprenditori, finanzieri) sia avida, corrotta, profondamente immorale, instancabilmente indaffarata ad arricchire se stessa e a derubare i suoi connazionali. La battuta di Giulio Andreotti («a pensare male s’indovina») è diventata un motto nazionale. In molti Paesi la possibilità che una truffa o un complotto siano stati orditi da personalità eminenti suscita generalmente sorpresa, sconcerto, incredulità. Da noi suscita una specie di trionfale compiacimento e ribadisce convinzioni diffuse. Le assoluzioni, quando arrivano, dimostrano soltanto che anche la giustizia, in ultima analisi, è al servizio dei potenti. Il sospetto che diventa una patologia nazionale crea un ingranaggio inarrestabile, un ciclo continuo, difficile da interrompere. Non è necessario costruire teoremi. Esistono già, depositati nel profondo della diffidenza e della sospettosità nazionali. Attenzione, non vorrei essere frainteso. In un Paese afflitto da corruzione, conflitto d’interessi, spirito mafioso e criminalità organizzata, gli scandali, purtroppo, sono spesso reali. Ma se è sciocco negarne l’esistenza, è altrettanto sciocco pensare che tutti gli amministratori pubblici siano ladri e tutti gli imprenditori sospettabili delle peggiori nefandezze. Il Paese, nonostante tutto, è molto meglio di quanto pensino i suoi cittadini.

Esiste naturalmente una responsabilità dei mezzi d’informazione. La stampa, nel senso più largo della parola, è lo specchio che riflette i sentimenti, gli umori e le idiosincrasie della società. Ma quella italiana non si limita a registrare gli umori del Paese. In molti casi li amplifica e li rilancia. Le ragioni sono in parte antiche e in parte nuove. Là dove non esiste una netta distinzione tra stampa d’informazione e stampa popolare, il giornale è spesso condannato a essere contemporaneamente l’uno e l’altro per cercare di raggiungere il maggior numero possibile di lettori. Questa ambivalenza tende a diventare ancora più evidente in una fase in cui i giornali sono insidiati da nuovi mezzi d’informazione, moderni, aggressivi e destinati a conquistare una parte crescente della società. Esiste la concorrenza, beninteso, ma vi sono circostanze in cui costringe i concorrenti a rincorrersi verso il basso piuttosto che verso l’alto. Temo che nella vicenda dei dossier illeciti l’informazione abbia avuto, quasi senza eccezioni, le sue responsabilità. Per «servire» il lettore e non restare indietro rispetto alla concorrenza, ha finito per somministrargli ogni giorno una dose crescente di sospetti. E ha dimenticato che certe vicende, anche quando sono destinate a ridimensionarsi, possono avere conseguenze micidiali per la sorte dei protagonisti dello scandalo. Nel Sole 24Ore di ieri Franco Debenedetti ha intravisto una relazione tra lo scandalo dei dossier e le sorti di Telecom nei mesi successivi. Per Debenedetti in questa vicenda vi sarebbe anche lo zampino della politica. Può darsi. Ma vi è certamente una responsabilità della informazione di cui noi tutti dobbiamo essere consapevoli.

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Tronchetti-Telecom, se la politica rovina le aziende
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 20 luglio 2008

Telecom, Tavaroli dà la colpa a Tronchetti Provera
di Oreste Pivetta – L’Unità, 22 luglio 2008

→  luglio 20, 2008

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Dopo tre anni di inchieste, Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora non sono più oggetto di indagine: non saranno rinviati a giudizio per la vicenda del dossieraggio economico e politico compiuto da manager della sicurezza di Telecom Italia. Restano indagati, oltre ai responsabili della security di Giuliano Tavaroli, le società Telecom e Pirelli.

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→  luglio 20, 2008

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“Alzi la mano chi non sarebbe pronto a sottoscrivere quote dell’Alitalia!” aveva chiesto sorridendo divertito Silvio Berlusconi ai Giovani di Confindustria a Santa Margherita: e loro avevano risposto tenendo le braccia rigorosamente conserte. Le loro quote, “basse o simboliche”, secondo La Stampa del 14 Luglio, confluiranno in una “sub-newco”, mentre nella “newco principale ci saranno gli azionisti più  importanti (Benetton, Gavio, Ligresti) con quote a tre cifre”.

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