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→  febbraio 15, 2008

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di Francesco Verderami

Walter Veltroni ha dato il via a un’autentica rivoluzione. Da quando è diventato segretario del Pd ogni suo atto ha segnato una rottura con il passato. La decisione più importante è legata alla scelta di aprire il dialogo con Silvio Berlusconi. Quella mano tesa verso «il nemico» ha un valore che travalica i confini della politica, e se vuol essere il primo colpo di piccone al Muro italiano, se davvero vuol portare verso la riconciliazione nazionale, è necessario un ulteriore atto di coraggio. L’ultimo. Il leader democratico contribuisca a rompere il tabù che ha segnato la storia del nostro Paese, s’impegni per mettere definitivamente al bando le vecchie tesi discriminatorie della cultura di sinistra che impongono ancora a intellettuali, economisti, cattedratici, di non collaborare con l’altra parte, pena l’emarginazione e il dileggio. È l’ultima rupture, la più difficile, più complicata della formazione di un governo di larghe intese. Giorni fa sul Sole 24 Ore un intellettuale come Franco Debenedetti – già senatore dell’Ulivo – ha scritto che se il centrodestra vincesse le elezioni «anche la sinistra dovrebbe aiutare la destra» nella progettazione e nelle idee, così come fece il socialista Marco Biagi, a cui si deve la riforma del mercato del lavoro, e che fu osteggiato dal suo stesso mondo, colpevole di lavorare con il governo Berlusconi. Veltroni nel circuito della cultura di sinistra ha forte influenza, usi il suo carisma per farsi ascoltare. Organizzi nuovi girotondi, non più ostili ma dialoganti. Sarebbe l’ultimo atto di una felice rivoluzione.

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Anche da sinistra un aiuto alla destra
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2008

Elezioni e promesse dei leader
di Luca Ricolfi – La Stampa, 18 febbraio 2008

→  novembre 13, 2007

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Partecipazioni

di Federico De Rosa

MILANO — Tornano in alto mare le nomine al vertice di Telecom Italia. Il nuovo giro d’orizzonte fatto da Mediobanca e Intesa Sanpaolo dopo l’incontro di mercoledì scorso tra Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli non avrebbe prodotto risultati. L’accoppiata Gabriele Galateri di Genola-Franco Bernabè, su cui sono orientati i sondaggi, continua a incontrare resistenze sia dentro sia fuori Telco, e per uscire dall’impasse i soci della cassaforte avrebbero iniziato a valutare altre alternative.
Ma la possibilità di scelta sono ridotte e al momento non si vede ancora una via d’uscita. Anche l’unico punto fermo, almeno così sembrava finora, quello di Galateri alla presidenza, è tornato in discussione e si sta facendo sempre più largo l’ipotesi di confermare Pistorio fino alla fine del mandato. Una scelta gradita a Intesa Sanpaolo e condivisibile per Mediobanca. Da sola, tuttavia, non basterebbe a sbloccare l’impasse. Manca infatti il nome dell’amministratore delegato che, vuoi per i giochi di posizione vuoi per i veti, difficilmente potrebbe essere sempre Bernabè. Fonti vicine al dossier parlano di sondaggi in corso su Paolo Dal Pino. Il nome dell’ex amministratore delegato di Wind, in passato numero uno di Telecom in America Latina, era già circolato nelle scorse settimane incontrando, secondo le voci, resistenze da parte di Intesa Sanpaolo, più orientata a cercare un accordo su Bernabè. Ora sarebbe stato riproposto in ticket con Pistorio.
Tra le possibili alternative è circolata anche quella di ampliare le deleghe dell’attuale presidente e di superare l’impasse sull’amministratore delegato facendo crescere i due manager interni, Luca Luciani e Stefano Pileri, Lo schema, tuttavia, non convince soprattutto chi tra i soci di Telco ritiene sia necessario un segnale di discontinuità con il passato. E tra questi ci sarebbero gli spagnoli di Telefonica, che pur non avendo formalmente voce in capitolo sulle nomine seguono con grande attenzione le mosse dei compagni di cordata. Per la società spagnola, d’altra parte, la partita Telecom è fondamentale. Proprio ieri il direttore generale Julio Linares ha parlato di possibili sinergie con la società milanese per 500 milioni l’anno, rivelando che i due gruppi ne stanno parlando già da tempo, «sono in corso dall’inizio dell’anno discussioni esplorative con Telecom per identificare le potenziali aree e il loro ammontare», e che insieme «abbiamo identificato fino a 500 milioni le sinergie annue per entrambe le compagnie. Ora, dopo che si è finalizzato l’accordo, si andrà più in profondità».

E saranno Cesar Alierta e Linares a occuparsene. I due manager, rispettivamente numero uno e due di Telefonica, sono infatti appena entrati nel consiglio di Telecom, sebbene con qualche difficoltà «tecnica». Il loro arrivo ha costretto gli altri soci di Telco a regolarsi di conseguenza per le nomine. Con due dei migliori manager mondiali del settore nel board, infatti, chi guiderà Telecom dovrà essere all’altezza e tener testa agli spagnoli. Cosa non facile, soprattutto dopo aver visto i numeri di Telefonica che, unica tra le società telefoniche europee, ieri ha rivisto al rialzo i target per l’intero anno dopo aver annunciato 7,9 miliardi di utile nei primi nove mesi, con una crescita del 51% grazie soprattutto all’effetto Endemol, a fronte di 42 miliardi di ricavi (+8,6%).
I soci di Telco hanno dunque la necessità di trovare interlocutori «autorevoli». Non solo per Telefonica, ma anche per gestire le altre partite che il nuovo vertice si troverà di fronte. A partire dallo scorporo della rete. Proprio ieri il presidente dell’Authority per le comunicazioni, Corrado Calabrò, ha esortato dì nuovo Telco a fare in fretta: Telecom «deve uscire dall’attuale guado in cui si trova perché siamo arrivati al capolinea», ha detto Calabrò, spiegando che adesso che si è concluso il confronto tecnico «servono le scelte politiche che solo il management della società può fare».

ARTICOLI CORRELATI
Telecom a governance duale
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 13 novembre 2007

→  ottobre 31, 2007

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Intervista al senatore Franco Debenedetti

ROMA — «Necessità di adeguare la legge alla realtà dell’attività economica e dell’amministrazione della giustizia c’erano: ma la voglia di rivincita ha prodotto una riforma giacobina ». Il disegno di legge sul falso in bilancio non piace a Franco Debenedetti, voce critica del capitalismo italiano, ex senatore Ds.

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→  aprile 12, 2007

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Caro Romano,
per risolvere il problema della rete telefonica, adesso si parla molto della soluzione inglese, e si cita Openreach. Fino a poco tempo fa, anche autorevoli commentatori pensavano che quella adottata dalla Gran Bretagna fosse una separazione societaria, e sembrava pedanteria replicare puntigliosamente che si tratta invece di una separazione funzionale, che riguarda il cosiddetto ultimo miglio e non tutta la rete.

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→  febbraio 6, 2007

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di Salvatore Bragantini

Prima due articoli di Francesco Giavazzi, poi una lettera di Franco Debenedetti hanno criticato sul Corriere la nascita di F2i, il fondo per le infrastrutture promosso dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e da altre banche; se Giavazzi riconosce i meriti del capitalismo di Stato nella rinascita postbellica—ricordati da Barry Eichenberg nel suo “The european economy since 1945” — entrambi temono che rinasca l’Iri.
Il capitalismo di Stato è il passato, non il futuro; su alcuni punti, tuttavia, è bene tornare. Aveva ragione l’allora presidente Iri, Prodi, a cercare di togliere ai privati il controllo di Mediobanca, giacché esso era esercitato grazie a un accordo impresentabile, e perciò nascosto. Definito da Cesare Merzagora un pasticcio di allodola e cavallo, esso conferiva ai privati un peso sproporzionato alle poche lire da loro investite; era il tipico prodotto di un mondo del quale nessuno — certo non Giavazzi o Debenedetti — ha nostalgia.

Se il capitalismo di Stato non ha futuro, ciò non comporta che lo abbia invece un altro capitalismo, spesso relazionale, familista e teso ad estrarre dalle imprese i benefici privati del controllo, più ostile al mercato di quello di Stato. La sagacia dei grandi gruppi del cortile domestico nel costruire buoni progetti industriali spesso sonnecchia, come Omero. Si pensi al fiasco del reimpiego degli indennizzi per le imprese elettriche prima, o al sonno tranquillo di Fiat come azionista di Telecom poi: c’è voluta la ruspante razza padana, con la sua inclinazione per le scorciatoie legali, per scoprire quale miniera si nascondeva lì sotto.

In verità i nostri due capitalismi, di Stato e privato, sono sempre andati a braccetto. Ciò vuol dire che non possiamo puntare sui privati? Certo che dobbiamo farlo, però pregando la divina provvidenza, ove pensi a tali minuzie, di far crescere, alfine, il medio capitalismo italiano: quello che miete successi in giro per il mondo, sempre schiacciato dal capitalismo di relazione. Questo, peraltro, ci pensa da solo a sparire: si vedano le grandi imprese che sono sparite nell’oblio, quando non affondate negli scandali.

Quanto a F2i: nascono tanti fondi per infrastrutture nel mondo, perché non dovrebbe nascerne uno in Italia, che di infrastrutture moderne ha gran bisogno? Se il rischio d’impresa per esse è più basso, i fondi possono trovare soldi prospettando rendimenti inferiori a quelli usuali nel private equity. Se ciò avvicina i fondi più ai bond a lungo termine che alle azioni, che c’è di male? I fondi pensione avranno fame di questi asset. Era indispensabile che in F2i ci fosse, con la Cassa, denaro pubblico? No, ma se partecipano Intesa San Paolo, Lehman e Unicredit, perché non può farlo, in minoranza e senza patti d’antan, una banca pubblica? F2i stimolerà, non impedirà, la nascita di fondi simili.
La partecipazione di Cdp in Terna non sarà venduta a F2i, perché una legge lo impedisce, a tutela degli investitori. Ci volle infatti una legge “speciale” per consentire ai gestori di fondi immobiliari di cedere immobili ai “propri” fondi. Ne beneficiò Pirelli Re, insieme a qualche ente pubblico; non si ricordano molte proteste. C’è pericolo che F2i compri a poco prezzo cespiti senza gara, facendo concorrenza sleale, o al contrario paghi care le reti di società decotte, a favore delle banche creditrici? Quando accadrà ci ribelleremo: farlo ora è un processo alle intenzioni, senza presupposti di fatto. Se poi F2i acquistasse infrastrutture dal settore pubblico, il peso di questo nella nostra economia scenderebbe, liberando risorse per scopi più consoni.
Certo, a pensar male spesso ci si prende, e F2i potrebbe deragliare dalle intenzioni dichiarate, ma il rischio che esso avvii la riscossa del capitalismo di Stato mi pare inferiore a quello di una nuova era glaciale. Non si vede, infine, perché il denaro pubblico, che non ha fatto voto di castità, debba precludersi, anche in piccola parte, l’accesso alle sensuali delizie della leva finanziaria, così beatamente godute dagli oligopolisti privati.

ARTICOLI CORRELATI
Sotto quel fondo moderno c’è molto di antico, l’Iri
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 26 gennaio 2007

Capitalismo di stato
di Francesco Giavazzi – Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2007

… a proposito di F2i -Fondo Italiano per le Infrastrutture
la risposta di Vito Gambarale, 27 gennaio 2007

→  febbraio 3, 2007

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Caro Direttore,

La presenza della Cassa Depositi e Prestiti (CdP) nel Fondo Infrastrutture Italiane (F2I) è finanziariamente rilevante e strategicamente decisiva. La CdP ha il 14,3% del capitale (senza contare, per evitare di parlare del sesso degli angeli, la Cassa di Previdenza dei Geometri e le Fondazioni bancarie). Il fondo é presieduto dall’ex presidente della CdP stessa e per presentarlo ai mercati si sono scomodati il Ministro Padoa Schioppa e il Viceministro Pinza.

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