Archivio per il Tag »censura«
→ gennaio 22, 2021
In risposta a Luciano Floridi sulle regole dei social network
La decisione presa da Twitter e da Facebook di bloccare gli account di Donald Trump che, durante l’assedio a Capitol Hill, buttava benzina sul fuoco incitando i suoi sostenitori con la falsa affermazione che le elezioni erano state truccate, ha aperto discussioni e suscitato prese di posizioni.
Per sostenere che gli Stati debbano “riprendersi la sovranità digitale”, ad Angela Merkel bastano poche parole (come quando con il “wir schaffen das” autorizzò l’ingresso in Germania di 2 milioni di siriani). Luciano Floridi, l’illustre filosofo di etica del digitale, lo spiega in un’intervista ad Adele Sarno su HuffPost del 13 gennaio: che si presta a osservazioni anche radicali.
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→ settembre 13, 2019
Fake news, hate speech, interferenze sulla sicurezza nazionale: quando i Big Tech fanno male. Ma una regolamentazione privata dei contenuti è preferibile a una pubblica
Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che proibiscano di professarla liberamente, o che limitino la libertà di parola o di stampa, o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti”.
Il Primo Emendamento della Costituzione americana sancisce l’inviolabilità della libertà di parola; parola è la “materia” di cui sono fatti i social media. Questa intersezione, tra il pilastro su cui si fondano la società e la cultura americana e il nuovo prodotto dell’industria e della tecnologia americana, è stata cruciale per il formarsi dei social media e per le decisioni su come regolamentarli; consente anche di capire il diverso sviluppo che essi hanno avuto in Usa e nell’Unione europea.
Oggi i social media sono al centro di molteplici accuse: di favorire una parte politica rispetto a un’altra, di essere strumento di interferenze straniere nelle elezioni, di non eliminare messaggi che diffondono odio e falsità, di intrappolare i loro utenti in bolle cognitive. Donde le richieste che un intervento governativo ne regolamenti i contenuti. John Samples, in un paper per il Cato Institute (“Why the Government Should Not Regulate Content Moderation of Social media, Policy Analysis”, Cato Institute, 9 aprile 2019, nr. 865) approfondisce le implicazioni giuridiche del testo costituzionale, e ne deriva una conclusione che suona eretica nel nostro discorso politico: che è preferibile il controllo privato della parola, e che i tentativi di un controllo pubblico normalmente falliscono; per cui è bene che a controllare i contenuti siano soggetti privati e non funzionari pubblici.
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→ novembre 7, 2017
Al direttore.
Per una volta non sono d’accordo col mio direttore. Ho letto il tuo pezzo sui pilastri del nuovo processo mediatico: il meccanismo per cui social media e intercettazioni sono un pericolo per la democrazia sarebbe lo stesso, cioè il diritto allo sputtanamento. Invece, secondo me, meccanismo a parte, le differenze sono sostanziali. Differenze di sostanza: i social sono una bacheca su cui tutti possono scrivere, le intercettazioni sono ordinate da un giudice e diffuse da giornali che hanno un direttore responsabile.
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→ novembre 29, 2009
di Massimo Mucchetti
Il Tribunale di Milano si prepara a emettere una sentenza che potrebbe costituire una pietra miliare nel diritto di Internet e costringere il re della rete, Google, a correggere il suo modello di business aperto e, oggi, irresponsabile. Mercoledì 25 novembre i pm Francesco Cajani e Alfredo Robledo hanno pronunciato la requisitoria. Il processo ha origine dalla querela depositata il 9 novembre 2006 dall’Associazione Vivi Down in merito a un video che riprendeva le umilianti angherie di alcuni ragazzi contro un compagno di scuola handicappato.
Il filmino è apparso sul sito htpp://video.google.it nella sezione «video divertenti». Le immagini sono rimaste online abbastanza a lungo da essere visualizzate 5.500 volte ed entrare così nella classifica dei 100 video più scaricati, al 29esimo posto, prima di essere rimosse. La censura è stata fatta da Google, ma solo su ordine della polizia avvisata dall’ Associazione a sua volta mobilitata da un cittadino, Alessandro D’ Amato, che prima aveva invano segnalato la cosa allo stesso Google e poi ne aveva scritto sul suo blog. Questa clamorosa violazione della privacy fa emergere l’ ambiguità di una multinazionale che reagisce raccontandosi in modi diversi a seconda dell’ interlocutore. Al popolo degli internauti Google si mostra come il campione del mondo free, dove tutto è libero e gratuito. Alla stampa e alla Borsa come un motore di ricerca attrezzato per contrastare gli abusi, nel rispetto delle leggi di ogni Paese.
Agli inserzionisti come un editore innovativo che, con il programma AdWords, consente di raggiungere il cliente potenziale con costi legati alla performance. Ma di fronte alla magistratura Google nega l’ interesse economico di Google Video per non doversi riconoscere editore con le conseguenti responsabilità, salvo dover ammettere il fine del lucro davanti alle evidenze. E cerca di disconoscere la giurisdizione italiana a carico dei legali rappresentanti di Google Italy. Fanno tutto a Mountain View, ripete: ci si informi per rogatoria e magari ci si giudichi in base alla legge californiana. Quattro verità sono troppe per essere tutte buone.
A naso la più credibile è quella legata al quattrino. Le altre sembrano di comodo. E allora non si capisce perché in un giornale, in una tv o anche in un sito registrato debbano rispondere sul piano penale e civile delle violazioni della legge sia l’ autore del servizio che il direttore responsabile coperti dall’ editore, mentre su Google Video, piattaforma editoriale di autori vari e un padrone solo adattata ai diversi Paesi, non debba rispondere nessuno. Certo, controllare costa. Non basta la persona a ciò preposta a Dublino. Google spende molto in uomini e mezzi per scannerizzare i libri e fare la Biblioteca universale dai cui si attende adeguati ricavi.
Potrebbe farlo anche per evitare che gli imbecilli o i malvagi usino i suoi servizi per colpire i più deboli. Guadagnerà meno? Pazienza. Il Tribunale di Milano può porre un vincolo che aiuterà Google a diventare migliore. Come tanti anni fa la legge sulla giornata di lavoro di 8 ore costrinse le industrie a reinventarsi per recuperare quanto avevano dovuto sacrificare alla civiltà.
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di F.G. – Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2009
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di Leonardo Maisano – Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2009
Telecom: colosso senza strategie
di Alessandro Penati – La Repubblica, 12 dicembre 2009
Labour’s digital plan gets in the way of real progress
di John Kay – Financial Time, 25 novembre 2009
→ dicembre 4, 2003
Irriverenza e servizio pubblico
Satira o comizio? Non ho visto la trasmissione di Sabina Guzzanti – e come potrei, dato che non guardo quasi mai la TV? – non ne ho quindi la minima idea. Ma non credo che sia questo l’interrogativo giusto. Fosse pure una girotondata, un condensato del “meglio” di Luttazzi e di Travaglio, di Piazza Navona e del Palavobis, perché – ancor più dato che siamo fuori da ogni campagna elettorale- non lo si può mandare in onda? Forse perché la share risulta troppo bassa? o perché scontenta i pubblicitari? o perché i costi di produzione sono eccessivi?
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