→ settembre 5, 2017
L’analisi di Franco Debenedetti
Commento di Franco Debenedetti sul paper “Market-based Lobbying: Evidence from advertisement spending in Italy” a firma di Stefano della Vigna, Ruben Durante, Brian Knight, Eliana La Ferrara e pubblicato da American Economic Journal: Applied Economics 2016, 8 (1) pp 224-256.
Oltre al lobbying classico, in cui il danaro fluisce direttamente dall’azienda al politico, esiste il market-based lobbying: una strategia che porta a finanziare il politico indirettamente, aumentando l’utile di un’azienda da lui posseduta, comperando in maggior quantità i suoi prodotti. Questo è avvenuto, vogliono dimostrare gli autori, per la pubblicità comperata da Mediaset (rectius, prima del 1996, da Fininvest), cresciuta, nei periodi in cui Berlusconi era al governo, soprattutto da parte di aziende regolate, che evidentemente si aspettavano di ricavarne vantaggi diretti. Il risultato è stato un aumento del profitto di Mediaset di oltre 1 miliardo di euro. Il fatto che in 9 anni si siano succeduti periodi in cui Berlusconi è stato primo ministro e periodi in cui è stato all’opposizione, offre un’occasione rara per studiare le correlazioni.
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→ luglio 15, 2012
L’Italia delle elitè
L’Italia è un Paese con una forte tradizione di realismo politico, da Machiavelli a Mosca. La teoria delle élite ne è forse la più compiuta testimonianza. E nello stesso tempo l’Italia è un Paese che ha un rapporto di odio e amore con le proprie classi dirigenti, di cui Carlo Galli identifica un tratto essenziale nella«riluttanza», intesa come «cinismo, apatia, mancanza di cultura, sottovalutazione del ruolo necesario della politica o della sua funzione universale». Delle élite che non vogliono più essere tali è stato garante Berlusconi. In questa nuova motivazione per condannare il berlusconismo sta l’originalità del libro.
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→ ottobre 26, 2011
di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
Una svolta per la crescita
In extremis il premier annuncia un intervento sulle pensioni. Ma le ipotesi valutate finora per far riprendere la crescita sono pannicelli tiepidi per un malato che rischia l’arresto cardiaco. I provvedimenti fiscali di mezza estate ridurranno il deficit di un ammontare pari a sei punti di prodotto interno lordo (pil) sull’arco di un triennio, intervenendo quasi esclusivamente con maggiori imposte.
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→ ottobre 25, 2011
Al direttore
Vorrebbero un altro al posto di Berlusconi, un altro al posto di Bini Smaghi. E un aiutino per Bpm?
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→ ottobre 24, 2011
di Franco Venturini
Non è stato bello, per un italiano, assistere ieri a Bruxelles alla conferenza stampa congiunta di Merkel e Sarkozy. Non è stato bello per un italiano, poco importa se berlusconiano o antiberlusconiano oppure ancora, come noi, semplice cronista. Perché per tutta la durata dell’incontro della cancelliera tedesca e del presidente francese con la stampa internazionale il capo del nostro governo, che all’estero piaccia o non piaccia ci rappresenta tutti, è stato deriso (letteralmente, con una sonora risata e gli occhi al cielo dei due), indicato come inadempiente sulle misure nazionali da adottare contro la crisi dei debiti sovrani, messo tacitamente sullo stesso piano della Grecia (Sarkò ha enumerato in un separato elenco Irlanda, Portogallo e anche Spagna), accettato a fatica come interlocutore (e soltanto a questo titolo definito degno di fiducia dalla Merkel).
Se si calcola che nel palazzo del Consiglio europeo regnano di norma linguaggio diplomatico e moderazione di comportamenti, diventa facile capire perché Francia e Germania — certamente decisive per riuscire a galleggiare nello tsunami dell’euro — siano riuscite a irritare buona parte dei loro partner comunitari.
Ma detto degli eccessi della Merkel e di Sarkozy, come non chiederci se e quanta ragione avevano? Il governo Berlusconi è in effetti inadempiente e non ha portato a Bruxelles quel decreto sviluppo che già da tempo avrebbe dovuto varare. Così facendo Berlusconi mette a rischio l’intera manovra anticontagio che sarà varata mercoledì. E non sono serviti a nulla, finora, gli avvertimenti che sono stati fatti pervenire a Roma sulla tagliola che Sarkozy ha di nuovo ribadito ieri: per chi non fa la propria parte di lavoro, niente aiuti di solidarietà dal Fondo salva Stati.
L’incontenibile e ostentata irritazione franco-tedesca, dunque, non è priva di motivazioni. Si dice anzi che in forme più morbide parecchi altri soci europei la condividano. Ed è evidentemente questa la circostanza più grave alla quale il governo dovrebbe se possibile dedicare la sua tardiva attenzione. Anche se, nella sala stampa di Bruxelles, il nostro disagio ci è parso poter essere quello di tutti gli italiani.
La prova d’appello, che riguarderà stavolta l’intera Eurolandia, è attesa per dopodomani. E si spiega certamente con questa accelerazione l’apparente paradosso che ha accompagnato i lavori di ieri: mai era accaduto che tanto ottimismo circondasse un vertice andato malino. Non tanto male da trasformare la battaglia per l’euro in guerra fratricida e da impedire che mercoledì vengano raggiunte le intese necessarie. Ma male abbastanza per alzare al massimo livello la posta politica, per «costringere» Merkel e Sarkozy a trovare un accordo che tamponando la crisi li salvi dall’ignominia.
Perché sono stati loro, la cancelliera tedesca e il presidente francese, a fissare una stringente maratona di incontri e di negoziati ristretti.
E sono perciò loro, adesso che arriva la venticinquesima ora, a dover prendere atto (volentieri) di un comune interesse politico: quello di non fallire, di non diventare gli affossatori dell’euro e dell’Europa, di non trasformare in boomerang la responsabilità di guida che le due «locomotive» si sono assunte. Non a caso ieri Merkel e Sarkozy, tra un siluro e l’altro contro Berlusconi, hanno dato praticamente per sicuro il raggiungimento di intese «comuni, ambiziose e durevoli » da portare al G-20 di Cannes dei primi di novembre.
I mercati daranno già oggi un primo giudizio sulla strategia franco-tedesca. Ma nei confronti dei rispettivi fronti interni, e in definitiva nell’interesse generale dell’eurozona, viene comunque utile a Angela Merkel e a Nicolas Sarkozy il trovarsi con le spalle al muro e le ore contate, sull’orlo di quel baratro che l’Europa ha spesso dovuto vedere per trovare la forza di allontanarsene. Resta da verificare, beninteso, l’efficacia delle formule che Berlino e Parigi sceglieranno, in particolare per accrescere la «capacità di fuoco» del Fondo salva Stati (Efsf). Le banche non saranno contente di dover più che raddoppiare le loro perdite sui bond greci, malgrado le ricapitalizzazioni. Si dovrà appurare — ecco che il pensiero torna all’Italia — se le misure anticontagio otterranno davvero la fiducia necessaria per riuscire.
E rimane, comunque vada a finire, la consapevolezza di un grande ritardo di reazione davanti alla crisi, anche da parte di francesi e tedeschi (soprattutto tedeschi) a riprova dell’assenza in Europa di statisti davvero in grado di guidare e convincere. Quello di mercoledì è dunque un appuntamento per cominciare un cammino, non per concluderlo. Al G-20 si tenterà, hanno detto Merkel e Sarkozy concordi, di far passare la tassa sulle transazioni finanziarie. E in Europa si lavorerà a una nuova governance unitaria. Il che potrebbe riempire di gioia gli europeisti più convinti.
Ma attenzione, perché l’unione fiscale che ha in mente la signora Merkel è un sistema che controlla in anticipo le finanze di ogni Stato membro dell’eurozona e affida a un futuribile organismo di Bruxelles il compito di comminare sanzioni automatiche in caso di violazione anche minima delle regole concordate. Cambiare i Trattati non sarà facile, ma l’Italia è avvisata.
→ ottobre 20, 2011
Appello finale a Berlusconi per una potente frustata all’economia
Onorevole presidente del Consiglio, la “storica frustata per lo sviluppo”, da Lei stessa annunciata a gennaio sul Corriere della Sera, è – ora più che mai – improcrastinabile. La premessa per tornare a “fare”, però, è innanzitutto la fuoriuscita dal paradigma fatalista e catastrofista che deprime gli spiriti animali di imprenditori e lavoratori e costringe la politica economica nel sonno dell’immobilismo.
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