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→  novembre 3, 2009

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In Senato si discute una legge sullo sfruttamento dell’«oro del futuro»

di Dacia Maraini

Ci sono poche notizie sui giornali e nessuna in Tv sulla privatizzazione dell’acqua. Eppure proprio in questi giorni si decide del nostro futuro. Si sta discutendo infatti in Senato la nuova legge che esclude ogni gestione pubblica delle acque. Non si tratta di un dilemma solo nostro. Tanti Paesi del mondo si stanno chiedendo, su stampa e televisione, fino a che punto sia lecito privatizzare un bene comune, di cui tutti dovrebbero disporre.
Il fatto è che l’acqua è in procinto di diventare l’oro del futuro e c’è chi pensa di guadagnarci sopra. Da qui la fretta di alcune grandi multinazionali per accaparrarsi i diritti di erogazione. Ho già scritto sull’ argomento. E c’è chi mi ha risposto sostenendo che le mie preoccupazioni sono esagerate perché la proprietà delle sorgenti e delle reti resterà comunque pubblica nonostante la cessione alle ditte private. Ma il diritto all’acqua si esplica solo se questa sgorga dal rubinetto e se è potabile. Il cittadino non va con il secchio al pozzo o alla sorgente o si mette in fila all’ acquedotto.
Il diritto all’acqua potabile si esercita solo attraverso la gestione e l’erogazione. In quasi tutta Europa d’altronde la privatizzazione si è bloccata o addirittura, come succede in Francia, è in atto un processo di ripubblicizzazione. La Svizzera ha dichiarato l’acqua e le reti idriche monopolio di Stato, non suscettibile di privatizzazione. Il Belgio ha fatto una legge per cui tutti i rubinetti vengono gestiti da Spa «in house», ovvero il cui pacchetto azionario è tutto in mano ai Comuni. Gli Stati Uniti rifiutano di privatizzare la gestione delle reti idriche locali che restano salde in mano ai Municipi. In tutta l’America latina poi e in atto un grande laboratorio sui beni comuni. In Uruguay, Bolivia, Ecuador e ora in Cile i parlamenti cambiano addirittura le Costituzioni per affermare tali principi. Da ricordare che in Cile la privatizzazione è avvenuta appena Pinochet è andato al potere. Oggi il governo cileno sta tornando alla proprietà pubblica. Ma perché preoccupa tanto la gestione privata delle acque? Il fatto è che quando un bene così importante passa nelle mani dei privati, la prima conseguenza è la diminuzione dei controlli, la seconda è che aumentano i prezzi (è successo a Latina dove la cessione alla multinazionale Veolia ha portato all’aumento delle tariffe del 300%) e spesso vi si infila pure la mano della criminalità organizzata (cosa accaduta in Sicilia e in Calabria).
La Lega che era contraria alla privatizzazione, da ultimo ha cambiato idea. Perché? Oggi firma una legge Fitto-Calderoli che propone addirittura di fare scendere al 30% la partecipazione dei Comuni per le società di gestione già quotate in borsa. Ai senatori e ai parlamentari chiediamo che riflettano prima di approvare una legge che arricchirà le grandi aziende private (quelle piu favorite oggi sono straniere) e impoverirà le nostre amministrazioni pubbliche.

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→  ottobre 20, 2009

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Tante le sfide da vincere

di Maurizio Lupi

C’è una parola che, negli ultimi anni, è diventata centrale nel dibattito politico italiano. È la parola «anomalia». Anomalo è, secondo studiosi e intellettuali, Silvio Berlusconi. Al punto che dal 1994, con cadenza più o meno regolare, gli stessi ci preannunciano la sua fine. Il ragionamento è chiaro: un’anomalia non può durare in eterno anzi, proprio perché si tratta di un evento eccezionale, è naturalmente portato a esaurirsi.

La mia impressione è che ad essere anomala sia tutta questa discussione. Da 15 anni quest’uomo continua a governare il paese e a godere della fiducia degli elettori. Impossibile non domandarsi: perché? Io credo che ci sia anzitutto un motivo storico. Dopo la fine della prima repubblica il sistema politico italiano ha imboccato la strada della semplificazione. Via via sono andate affermandosi aggregazioni politiche forti, guidate da leadership riconosciute e consacrate dal voto di milioni di cittadini. Le tre cose sono profondamente legate: non può esistere aggregazione stabile in grado di governare se non guidata da una personalità forte in cui gli elettori si riconoscono. Per capirlo basterebbe guardare cosa sta accadendo nel Pd dove, dopo mesi, si è ancora alla ricerca di un leader. E questo ha prodotto, come risultato immediato, un calo di consensi.

Fondamentale però, affinché chi guida sia politicamente credibile, è che si presenti non contro qualcuno, ma con una proposta, con dei contenuti. Il fallimento di tutti i governi di centro-sinistra degli ultimi anni ne è la dimostrazione concreta.

C’è poi un altro elemento che, secondo me, sta alla base del successo di Berlusconi, ed è l’aver capito prima di altri che una forza come la Lega, che dopo la fine della prima repubblica raccoglieva il malumore di una parte importante del paese, potesse governare dentro l’alleanza con un partito di dimensione più nazionale. Questo ci ha permesso di rispondere in maniera efficace ai bisogni del Nord senza dimenticare le esigenze del Sud. Non è un caso che oggi, anche i nostri avversari, si interroghino su come riuscire ad essere una forza nazionale e, allo stesso tempo, federale.

Infine la sfida più grande vinta da Berlusconi è stata sicuramente quella di ricomporre la distanza tra politica e cittadini. Come? Traducendo ideali, valori e programmi in fatti e azioni concrete. Avendo sempre ben chiaro che questa “moralità del fare” vive non sulla centralità dello stato, ma sulla capacità di puntare sulla persona e sulla sua libertà. Questi elementi mi fanno dire che Berlusconi incarna in maniera perfetta l’evoluzione del sistema politico nazionale. Un’evoluzione che è stata fortemente voluta dai cittadini. Non si tratta quindi di un’anomalia, ma della risposta a una domanda del paese che è ancora viva, oggi più che mai.

Per capirlo basterebbe un dato: in questi 15 anni il consenso intorno alla sua figura e al centro-destra è cresciuto esponenzialmente. Anche adesso che è al governo, nonostante le campagne mediatiche e gli assalti giudiziari, non si registrano significative flessioni. E siccome la fine di una leadership non la decidono né gli intellettuali né i politologi, mi sembra che il rischio di una prematura conclusione dell’esperienza berlusconiana sia da escludere categoricamente.

Certo, sappiamo bene che il consenso non è tutto. Quando questa maggioranza si è presentata alle urne nel 2008 lo ha fatto cosciente che ciò che l’attendeva era una sfida: riuscire a far ripartire una paese fermo sulle emergenze quotidiane che rischiava di essere spazzato via dalla crisi economica. Oggi quel compito non è esaurito, tutt’altro. Nei primi 18 mesi (appena 18 mesi di governo!) sono state messe in cantiere riforme importanti come il federalismo fiscale, la giustizia civile, la scuola o quelle delineate nel libro Bianco redatto dal ministro Sacconi, ma ancora tanto resta da fare. Servono, come scriveva Giuliano Ferrara alcuni giorni fa sul Foglio, «palesi atti di liberalizzazione istituzionale, politica, economica e sociale».

Ma non è la sola sfida che attende Berlusconi. Se da un lato bisogna continuare a camminare decisi lungo la strada delle riforme, dall’altro occorre portare a compimento il progetto del Pdl come partito dei moderati, sintesi delle grandi tradizioni politiche del nostro paese (socialista, liberale, cattolica e della destra moderata), che, primo e unico nella storia della seconda repubblica, è riuscito a raccogliere il consenso di quasi il 40% degli elettori. Questi sono i compiti che attendono Silvio Berlusconi. Con buona pace di chi, da 15 anni, preannuncia la sua fine.

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di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2009

→  ottobre 19, 2009

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di Sergio Romano

Il caso del regista Roman Polanski è davvero molto penoso.
Sul piano umano, è triste che una persona di 76 anni venga perseguita per un reato che ha commesso trent’ anni prima. Sul piano sociale, la mobilitazione del mondo del cinema a difesa di un suo appartenente evidenzia, se mai ce ne fosse bisogno, come gli atteggiamenti di critica sociale che il cinema pretende di esprimere guardino non all’ etica ma al botteghino. Infine, il più penoso di tutti è l’ atteggiamento che si esprime nell’ assunto: gli stupratori non sono tutti uguali. Se si considera che in Italia è stato condannato a due anni un uomo reo di avere messo le mani sulle natiche di una donna appare chiaro il paradosso di difendere chi ha abusato di una ragazzina tredicenne.

Francesco Deambrois

Anche a me non è piaciuto lo spirito con cui alcuni intellettuali, uomini politici e rappresentanti del mondo dello spettacolo sono accorsi alla difesa di Roman Polanski. Lo hanno fatto con spirito di corporazione e, implicitamente, con la convinzione romantica che il genio abbia diritto alle sue sregolatezze: un atteggiamento che in questa vicenda mi è parso completamente fuori luogo.
Debbo confessarle tuttavia che altri aspetti di questa storia mi sono piaciuti ancora meno. Non mi è piaciuta ad esempio l’ improvvisa insistenza del procuratore californiano in un caso che, a giudicare dalle circostanze, era stato per molti anni informalmente archiviato. Non mi è piaciuto che la magistratura svizzera abbia tenuto in prigione sino al ricovero in ospedale, prima di pronunciarsi sulla richiesta di estradizione, un uomo che risiede nella Confederazione e avrebbe potuto facilmente ottenere gli arresti domiciliari. In un articolo apparso sul Riformista del 1° ottobre Franco Debenedetti osserva che la Svizzera è sempre stata «terra d’ asilo» e si chiede se l’ atteggiamento assunto verso Polanski non abbia qualche rapporto con le difficoltà della Confederazione dopo l’ offensiva del Tesoro americano contro i conti segreti di una delle maggiori banche svizzere.
Non mi è piaciuto infine che un vecchio reato venga giudicato oggi con criteri alquanto diversi da quelli che prevalevano nel periodo in cui fu commesso. Sarebbe giusto ricordare che gli anni Settanta furono quelli della «liberazione» sessuale, dell’ amore libero, dei «figli dei fiori», delle battaglie per la legalizzazione della droga. Sarebbe giusto osservare che la vittima, a quanto pare con l’ assenso della madre, frequentava registi e produttori cinematografici nella speranza di un provino. Un articolo recente del New York Times ricorda che in «Manhattan», un film del 1979, una ragazza dice all’ uomo di cui è l’ amante da qualche anno (Woody Allen nella parte di un quarantaduenne sceneggiatore televisivo): «Oggi ho compiuto 18 anni. Sono legale eppure mi sento ancora una ragazzina». Si potrà osservare che la Lolita di Woody Allen, a differenza della tredicenne di Polanski, era consenziente. Per questo appunto Polanski, se non fosse fuggito, avrebbe passato in prigione 41 giorni. Oggi, tuttavia, non se la caverebbe probabilmente con meno di cinque anni. È questa la ragione per cui esistono (e dovrebbero essere restaurate là dove sono state soppresse) le prescrizioni. Anche la morale è soggetta alle mode, agli umori del tempo, alle correnti di opinione. Noi stiamo attraversando oggi, a dispetto di certe libertà e licenze conquistate negli ultimi trent’ anni, un periodo particolarmente puritano. E la sentenza di Polanski, se venisse estradato, sarebbe puritana. Ma ciò che appare giusto oggi non sarebbe stato giusto 33 anni fa.

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di Franco Debenedetti – Il Riformista, 1 ottobre 2009

→  ottobre 12, 2009

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di Giacomo Vaciago

OUT: 35 ORE
Il concetto cui possiamo con serenità dire addio è quello relativo alle 35 ore. E’ un’idea che oramai appartiene al passato e che non può essere presa più in considerazione. Per anni si è ritenuto che questa fosse la durata massima della settimana lavorativa. I francesi ci hanno fatto sopra anche una legge. Oggi invece è quanto di più vecchio si possa ipotizzare e il motivo è semplice: con l’avvento della crisi, è finita l’idea che la ricchezza sia a disposizione di tutti e che si possa anche lavorare meno.

IN: CAMBIAMENTO
Prima la “rupture” di Sarkozy, poi il “Yes, we can” di Obama. Il futuro, in politica come in tutti gli altri ambiti, è segnato dalla voglia di discontinuità, dal bisogno di cambiamento su tutti i fronti. I prossimi anni saranno segnati dall’urgenza della trasformazione: non a caso i due uomini politici hanno vinto proprio facendo leva su questa necessità. E come dice il Papa nella sua vecchia enciclica Caritas in Veritate, il “nuovo” che uscirà dalla crisi – grazie al discernimento e alla nuova progettualità – avrà bisogno di etica per il suo corretto funzionamento.

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FRANCO DEBENEDETTI
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2009

→  ottobre 12, 2009

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di Ferdinando Targetti

OUT: CICLO A W

Il Ciclo a W è un rischio che le economie di tutto il mondo stanno correndo. Significa che dopo una breve ripresa, leconomia subisce un tracollo. E’ un fenomeno che si presentò negli anni Trenta. Oggi può succedere se le autorità monetarie e fiscali dei principali paesi sbagliano la “exit strategy”.
Se è troppo presto i boccioli della ripresa vengono gelati, se è troppo tardi si rischia un aggravarsi della spirale del debito pubblico e l’insorgere dell’inflazione, soprattutto da materie prime, a causa della grande liquidità nei mercati.

IN: G20
La crisi ha insegnato una cosa importante, che le sorti economiche dei paesi sono talmente intrecciate nel bene e nel male che è necessaria una forte azione di coordinamento delle politiche economiche, quella che si chiama una “Governance mondiale”.
Rispetto al passato si ampliano gli ambiti di “governance” alla regolazione dei mercati finanziari e al riequilibrio delle cosiddette “macroimbalances” e si ampliano i paesi coinvolti negli accordi degli otto paesi del G8, alle economie emergenti dei Bric.

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FRANCO DEBENEDETTI
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2009

→  ottobre 12, 2009

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di Pietro Reichlin

OUT: CARTOLARIZZAZIONI
Molti economisti ritengono che, quando tornerà la calma sui mercati, le cartolarizzazioni torneranno importanti come prima della crisi. Non dimentichiamo i benefici: maggiore accesso delle imprese al capitale, minori costi di intermediazione, migliore allocazione del rischio e maggiore liquidità per le banche. Tuttavia il modello ha molti difetti. Le banche d’affari cartolarizzano crediti di cui è difficile valutare il rischio sottostante, il modello originate-and-distribute è caratterizzato da rischio morale, la valutazione del rischio di obbligazioni complesse si basa su modelli statici incapaci di valutare il rischio sistemico. Per il momento, e forse per anni, la parola cartolarizzazioni manterrà un’accezione negativa.

IN: BRIC
La crisi finanziaria ha coinvolto le economie sviluppate, mentre quelle dei principali paesi emergenti hanno resistito in modo inaspettato. La Cina non ha solo evitato una grave crisi economica, ma ha anche contribuito ad attutirne gli effetti mediante un gigantesco piano di stimoli ed il sostegno al dollaro. Il superamento degli squilibri mondiali dipende da una domanda interna dei Bric. Le soluzioni ai problemi economici (e politici) del mondo dipendono sempre meno dalla volontà dei governi europei e sempre più dai paesi emergenti. La vecchia Europa potrà ancora insegnare agli altri qualcosa sui temi della sicurezza sociale e delle politiche contro la disuguaglianza, ma la sua leadership è a rischio.

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FRANCO DEBENEDETTI
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 12 ottobre 2009