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→  marzo 26, 2014


Intervista di Alessandro Plateroti

Vito Gamberale (foto) si sente prossimo non alla terza età, ma alla terza gioventù. Prossimo ai 70 anni, l’ex manager di Telecom Italia, di Autostrade e del fondo infrastrutturale F2i ha deciso di cambiare vita, ripartendo proprio da dove l’esperienza professionale era cominciata: da Telecom Italia. Non come top manager, come alcuni hanno sospettato per mesi prima di avere la conferma, pochi giorni fa, dell’inserimento del suo nome nella lista di minoranza della famiglia Fossati per il consiglio di Telecom Italia in qualità di presidente.

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→  marzo 18, 2014


di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Se Matteo Renzi fosse un ciclista giudicheremmo il suo inizio in questo modo. È partito, si impegna, pedala con entusiasmo, ma per ora è in pianura. Le salite devono ancora arrivare. Non è chiaro che cosa riuscirà a fare, perché con le montagne il ciclista Renzi non si è ancora cimentato. E in questa corsa ci saranno tante salite e avversari difficili.

La prima è la riforma del mercato del lavoro. Renzi ha proposto varie semplificazioni dei contratti a tempo determinato e dell’apprendistato: bene, ma era relativamente facile. La salita arriverà quando si dovrà decidere se abolire l’articolo 18 per i nuovi assunti. Ovvero, se si vorrà adottare il modello proposto da Pietro Ichino: un contratto uguale per tutti, senza differenziazione fra lavoratori a tempo determinato e indeterminato, e che consenta alle aziende di licenziare con costi crescenti, ad esempio facendo pagare loro una quota del sussidio di disoccupazione tanto più elevata quanto maggiore era l’anzianità del lavoratore licenziato. Come osservava Maurizio Ferrera (Corriere , 14 marzo), il sussidio dovrà essere esteso a tutti, sostituire la cassa integrazione e prevedere regole chiare che costringano i disoccupati a cercare ed accettare nuovi lavori. Con più del 40 per cento di disoccupazione giovanile, e imprese che non assumono perché attanagliate dall’incertezza, questa maggior flessibilità non può che far bene all’occupazione. Limitarsi a spostare l’applicazione dell’articolo 18 al terzo anno successivo all’assunzione significa solo rinviare il problema, come notava Franco Debenedetti (Corriere , 15 marzo).

La Cgil si opporrà a una vera riforma del mercato del lavoro, che pure consentirebbe a tanti giovani di uscire dall’incubo dei contratti a tempo determinato. Evidentemente i giovani interessano poco alla Cgil, i cui iscritti sono per circa una metà pensionati. Ma riuscirà Renzi a superare in questa salita la Cgil, o rimarrà indietro?

Seconda salita: come finanziare la riduzione delle imposte sul lavoro e sui redditi più bassi e il sussidio di disoccupazione universale. Riuscirà Renzi a imporre tagli di spesa adeguati? Per ora non è chiaro. Il suo silenzio può voler dire due cose. Che ha ben chiaro che fare, ma non lo vuole rivelare troppo presto per non dare un vantaggio a chi si opporrebbe a qualunque taglio, in primis gli alti funzionari pubblici e i membri del suo stesso partito. Lo farà, ma senza dirlo prima, e quindi senza compromessi. L’altra ipotesi e che non sappia da che parte cominciare. Insomma, o il ciclista Renzi ha una strategia per la salita della montagna «spesa pubblica», ma strategicamente la tiene nascosta ai suoi avversari, oppure sta arrancando ed è già senza fiato.

Terza salita: la tassazione delle rendite finanziarie. Renzi ha preso una scorciatoia: l’aumento dell’imposta su alcuni titoli, continuando a privilegiare i debiti dello Stato rispetto a quelli di famiglie e imprese. Ma le scorciatoie sono spesso poco lungimiranti. Come suggerivamo in un editoriale del 21 febbraio, la delega fiscale che il Parlamento ha appena approvato offre un’occasione unica per rivedere in modo complessivo il nostro sistema impositivo. Prendendo spunto dai migliori esempi esteri come Gran Bretagna e Stati Uniti. Tassare il reddito da lavoro in modo progressivo e quello da capitale in modo proporzionale (indipendentemente dall’aliquota) è ingiusto. Le montagne si scalano con metodo e determinazione. Scorciatoie e accelerate improvvise mettono solo a rischio il risultato finale.

→  marzo 18, 2014


di Antonio Pilati

Entro marzo un comitato di 11 esperti, presieduto da Gertrude Trumpel-Gugerell e incaricato di studiare le modalità di attuazione dell’impegno di rientro ventennale sotto soglia assunto con il trattato fiscal compact dai Paesi che superano la quota del 60% nel rapporto debito/Pil, dovrà presentare al Presidente della Commissione Ue Barroso le sue proposte operative. Il comitato di esperti, dove non ci sono italiani, sta lavorando su una proposta, avanzata dal German Council of Economic Experts, che prevede di costituire un Redemption Fund dove confluiscono le porzioni di debito degli Eurostati che eccedono la soglia del 60%: il Fondo, in quanto dispone di una garanzia europea, potrà collocare titoli a tassi – è da ritenere – piuttosto bassi. Ritorna l’idea degli eurobond, lanciata da Tremonti e Juncker, poi ripresa e allargata da Prodi e Quadrio Curzio: in apparenza una buona notizia per chi, come l’Italia, sfiora il 133% nel rapporto debito/Pil e quindi potrebbe conferire al fondo europeo di redenzione una quota pari al 73%. In realtà l’idea degli esperti è a doppio taglio e la seconda lama fa molto male all’Italia: è infatti previsto che dal gettito fiscale degli Stati partecipanti si attui ogni anno un prelievo automatico pari a1/20 del debito apportato al Fondo. Nel progetto le risorse raccolte dal fisco nazionale passano in via diretta, tagliando fuori le autorità degli Stati debitori, alle casse del Fondo.

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→  marzo 14, 2014


Review by Ferdinando Giugliano

Nearly five years on from the start of the eurozone crisis, even its most strenuous critics have to admit that things are looking better for the currency union. Bond yields in troubled countries have fallen sharply from the levels reached in 2011. True, public debt is still rising and unemployment, particularly among the under-30s, is still worryingly high. But as the recovery gathers pace, the hope is that the fiscal outlook will improve and companies will resume hiring.

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→  marzo 14, 2014


di Tito Boeri

Possibilità di infinite proroghe per tre anni al contratto di lavoro a tempo determinato. Anche una alla settimana o al mese. Con gravi rischi. È quanto previsto dal decreto legge uscito dal Consiglio dei ministri. Da cambiare al più presto
Il decreto legge uscito dal Consiglio dei ministri di mercoledì apre la possibilità di infinite proroghe di un contratto a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro: tutte “le proroghe sono ammesse” nei primi tre anni. In principio si possono fare 365 x 3 contratti rinnovati di giorno in giorno. Di fatto il periodo di prova nel quale si può essere licenziati senza preavviso, indennità e alcuna giustificazione viene esteso a tre anni. Ogni discriminazione è possibile: ad esempio, alla notizia della maternità di una lavoratrice, il datore di lavoro potrà semplicemente non rinnovare il suo contratto.

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→  febbraio 19, 2014


di Giuliano Ferrara

Fabrizio Barca è il numero 279 della nomenclatura. Conta un cazzo. Nessuno gli ha mai chiesto di fare il ministro dell’Economia. E’ stato un funzionario bravino in Bankitalia, poi con Ciampi al Tesoro, poi con Tremonti e Berlusconi (buona performance sui fondi europei), poi ministro di un coesivo Nulla coccolato da Monti. Poi lo splash. E’ tornato a fare il funzionario del Tesoro. E fin qui, passi. Ma il giovanotto, privo di discernimento politico ma non di ambizione, è stato insignito di una immagine pubblica totalmente ridicola: uscito dal governo dei tecnocrati, dove non si era certo segnalato per alcunché di rilevante, tampoco in senso politico, è diventato grazie alla curatela di Repubblica (editore Carlo De Benedetti, direttore Ezio Mauro, fondatore Eugenio Scalfari) e alla sua scia giornalistica lunga lunga, un capo addirittura della sinistra italiana. Roba da matti. Ieri con la bella Fornero, oggi con il Vendola e con pretese su un Pd ma ben bene di sinistra, e come si diceva nel vecchio gioco del Monopoli, “senza passare dal via”. Cose ’e pazzi.

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