→ Iscriviti
→  giugno 25, 2010


di Antonio Polito
Uno passa buona parte della sua età adulta a sostenere che il berlusconismo non è un fenomeno criminale ma politico, che il Cavaliere ha successo perché ha un messaggio e non soltanto un mezzo (televisivo), che vince le elezioni perché incarna un’idea e una speranza e non perché l’Italia è fatta di una maggioranza di corrotti e di evasori che si identifica con lui.

Uno passa gli anni a dire che il berlusconismo va compreso e non demonizzato, che perfino nelle sue menzogne c’è del vero. Che, certo, lui si fa le leggi per salvarsi dai processi, ma anche i processi che gli fanno non sono proprio tutti a prova di bomba. Che, di sicuro, non si può permettere di insultare la magistratura e di contestare l’autonomia costituzionale del potere giudiziario, ma che a vedere come si comportano certi magistrati e come talvolta usano la loro indipendenza si capisce che la Giustizia italiana ha comunque urgente bisogno di una radicale riforma.

Uno ci mette la faccia e ci rimette anche qualche rapporto di amicizia per spiegare che perfino l’immunità pro-tempore per il capo del governo non è in sé una bestemmia, che anzi in alcuni paesi è prevista, e che comunque esiste la necessità di proteggere l’esercizio del mandato popolare.

Poi Berlusconi, con il favore delle tenebre, senza dire niente a nessuno, nomina l’amico, sodale e imputato Aldo Brancher ministro del nulla, e Aldo Brancher attua immediatamente – invece del federalismo – il legittimo impedimento per evitare il suo processo. E ti chiedi dove hai sbagliato.

ARTICOLI CORRELATI
Il caso Brancher segna il tramonto del Cavaliere
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 06 luglio 2010

→  ottobre 13, 2008

il_riformista
La crisi americana e i fascistelli italiani

di Antonio Polito

C’è un nesso tra gli editoriali dei giornali che annunciano la fine del secolo americano, dell’egemonia americana, della leadership americana, e la masnada di fascistelli italiani che salutano romanamente allo stadio di Sofia? Ovviamente no. Ma potrebbe esserci presto. Questo mondo “multipolare” che dovrebbe nascere dal grande disordine mondiale, di cui tutti ci annunciano gongolanti l’avvento, c’è già stato, prima della Grande Guerra e tra le due guerre, e ha prodotto in Europa i peggiori rigurgiti nazionalisti, populisti, razzisti, xenofobi, e infine fascisti e nazisti. Anni in cui non c’era egemonia americana. Anni in cui la crisi economica ha liberato le forze più oscure che si agitano nel petto degli uomini. Se vogliamo cercare le radici di questo nuovo fascismo pop, più moda che ideologia, più comportamentale che politico, talvolta violento e talvolta solamente esibizionista, dobbiamo dunque cercare nel mainstream della cultura nazionale, e non nei campi hobbit e nemmeno nelle convulsioni finali del partito che una volta lo rappresentava, e che è scioccato anche più di noi dal risorgere di un fenomeno da cui i Fini, i La Russa, gli Alemanno credevano di essersi finalmente liberati.

Primo: io non credo alla fine del secolo americano. Anzi, mi sembra che la crisi stia clamorosamente confermando la permanente centralità dell’America. Nessuno di voi va a guardare al mattino come ha aperto la Borsa di Shangai, ma alla sera sappiamo tutti come ha chiuso Wall Street. È vero che l’America è l’epicentro del terremoto, ma di conseguenza è anche il luogo dove sta nascendo ciò che verrà dopo. Se ogni crisi è trasformazione e opportunità, si può star certi che la trasformazione avverrà prima là e l’opportunità, se mai ce ne sarà una, scaturirà da là. Quali sarebbero questi nuovi poli che possono sostituire l’America nell’arco della nostra vita? La Cina, il cui socialismo di mercato fondato sulla burocrazia del partito unico distribuisce latte al veleno a decine di migliaia di bambini? La Russia, la cui Borsa va più a rotoli di Wall Street mentre i soldati marciano in Georgia? L’Europa, la cui ambizione culturale e politica è naufragata di fronte all’emergenza finanziaria, sollevando il velo su 27 paesi in ordine sparso, i cui leader fanno un vertice a settimana, si trovano d’accordo sul loro disaccordo, e poi tornano a casa e ognuno fa a modo suo con i suoi soldi e le sue banche e i suoi elettori? L’America ha commesso grandi errori in questi ultimi anni. Errori di arroganza e di “greed”, di avidità. Greenspan ha largheggiato col credito e Bush con le armi intelligenti. Però se alla fine di questa storia se ne uscirà con il capitalismo – un capitalismo magari diverso e con meno derivati – c’è solo un paese che può esserne il traino, e quello è l’America. Soprattutto perché, tra venticinque giorni, avrà di nuovo un leader.

Oppure non è così, io sono un inguaribile filo-americano e il mondo che verrà non avrà mutui a tassi bassi, carte di credito per tutti, accesso facile a Internet e tv satellitare. E allora, se così sarà, potete star sicuri che ci saranno molti più fascisti. Consapevoli e inconsapevoli. Del resto il nostro dibattito politico già trabocca di pensiero autoritario. Il premier preferisce ormai apertamente il Cremlino alla Casa Bianca. Il ministro del Tesoro ci ha avvisato che il suo motto è “Dio, patria e famiglia”. I fantasmi di Maurras e di De Maistre già si aggirano nell’arena pubblica. I pestaggi ai neri non nascono di là, ovviamente; ma sono l’equivalente di tanti piccoli casi Dreyfus, il solidificarsi di un sentimento popolare che individua nelle demo-plutocrazie la colpa dei mali, nella concorrenza dello straniero la causa dell’impoverimento, nell’establishment dei banchieri e degli uomini d’affari quel demonio che l’arte di Weimar dipingeva con tanta grottesca efficacia mentre covava l’uovo del serpente nazista, e che oggi è raffigurato nelle fiction di Annozero. Non dico che da questa crisi si uscirà nel modo vergognoso in cui l’Europa uscì da quella del ’29, a loro Roosevelt e a noi Hitler e Stalin e Franco e Salazar. Ma prego Iddio che l’America conservi la sua leadership e che il secolo che è appena cominciato resti almeno per un po’ americano. Perché se così sarà, allora possiamo star tranquilli che per la terza volta nella storia saprà svuotare di senso i nostri fascistelli allo stadio, i nostri teppistelli di Tor Bella Monaca, i nostri razzistelli mafiosi di Castelvolturno, con la forza del benessere, di Hollywood, delle Visa e di Google, diffondendo i valori democratici dell’everyman, dell’uomo attivo e laborioso che prova a vincere la sua lotta per l’esistenza nel tanto vituperato mercato, invece che nella guerra dell’odio col vicino di casa. E allora forse, ma solo allora, si riaprirà una prospettiva per questa vecchia sinistra europea, che ha già perso tutto, ma che se si lascia incantare dalle sirene del populismo post-americano perderà presto anche l’onore.

ARTICOLI CORRELATI
Non è colpa di Santoro se ormai il vero coincide con il bello
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 14 ottobre 2008

SÈ l’anno zero dell’informazione
di Antonio Polito, Il Riformista, 11 ottobre 2008

→  ottobre 11, 2008

il_riformista
Quante balle in TV

di Antonio Polito

Non vedo molta tv. Sono al lavoro quando comincia il prime time. Però l’altra sera ho visto Anno zero. Vi confesso che a me Santoro piace. È uno che sa fare televisione, come si dice in gergo. Solo che quella televisione non ha più alcun rapporto con l’informazione. Volete chiamarla fiction, docu-drama, infotainment? Chiamatela come volete, ma non è informazione. Però la gente che guarda è indotta a credere che lo sia. E qui nasce un problema serio. Quando parlano di politica, e magari massacrano Berlusconi, chi se ne frega. La politica è chiacchiera. Ma quando parlano di mercati, dei soldi della gente, delle banche? Se mentre le autorità di tutto il mondo implorano i risparmiatori di non vendere, per evitare il disastro comune, la tv alla sera ti dice che i tuoi soldi sono in mano a dei banditi che li usano per scopi personali, il risultato è che il servizio pubblico diffonde il panico, e istiga a vendere. Diventa un attore della crisi, invece che un osservatore che informa sulla crisi.

Davanti alla tv. La puntata di giovedì sosteneva questo: i banchieri sono dei truffatori seriali, i banchieri amici di Berlusconi sono più truffatori degli altri. Banche come Unicredit fregano i loro clienti mollando loro consapevolmente titoli spazzatura per pura avidità, facendosi firmare contratti capestro che poi stracciano per eliminare le prove del misfatto. C’è un Grande Vecchio, indicato in Geronzi, che sulla piazza di Londra ordisce colossali speculazioni per regolare i suoi conti personali con Profumo, provocando lo sconquasso che è sotto i nostri occhi. Sono tesi ardite, spesso complottarde, sempre senza contradditorio, comunque legittime. Ma l’informazione è tale se dimostra le tesi con fatti. I fatti di Anno zero sono conversazioni con fonti anonime, ma trasformate in piccoli sketch dove al posto della fonte anonima compare un attore, che parla con la sua voce e la sua faccia, cosicché lo spettatore è indotto a pensare che si tratti di un’intervista vera con persona informata dei fatti, mentre quello sul video è un attore pagato che ripete voci non dimostrate e spesso indimostrabili. Siamo al di fuori di ogni deontologia professionale. Se un mio cronista scrivesse un’intervista falsa, sarebbe una giusta causa di licenziamento. Ad Anno zero è un titolo di merito professionale.

Al Quirinale. La visione notturna di Santoro mi è tornata in mente ieri mattina, mentre ascoltavo al Quirinale il presidente Napolitano che ricordava ai giornalisti il loro dovere professionale e civile: Non alimentate un allarmismo che in questo campo può diventare immediatamente fattore di aggravamento della crisi. E mi sono chiesto che fa la Rai. Intendiamoci: giù le mani da Santoro, nessuno tocchi Caino, basta con gli editti bulgari; ma, diamine, imponetegli almeno delle regole di deontologia professionale, ricordategli che ci vuole una fonte attendibile e identificabile per dare del malfattore alla gente, e soprattutto proibite le finte interviste televisive con attore, che sono la depravazione finale del giornalismo televisivo.

ARTICOLI CORRELATI
Non è colpa di Santoro se ormai il vero coincide con il bello
di Franco Debenedetti – Il Riformista, 14 ottobre 2008

Se tramonta l’egemonia degli Usa, rinasce l’uovo del serpente
di Antonio Polito, Il Riformista, 13 ottobre 2008

→  agosto 13, 2003

il_riformista
b>Lettera ad Antonio Polito, direttore de Il Riformista

Caro Direttore,

me lo lasci dire con la solita franchezza: più ci ripenso e meno sono d’accordo con il suo editoriale sulla sentenza IMI-SIR. La sua tesi è che quella è stata – se lo è stata – una vicenda di privati che comprano giudici grazie ai buoni uffici di “studi legali” provvisti delle necessarie conoscenze; una corruzione per così dire “ordinaria”, e quindi ancora più grave di Tangentopoli, questione invece politica, dove il finanziamento dei partiti era il fiume principale, e gli interessi privati i canali derivati.

leggi il resto ›