Sul mercato un’impresa politica

marzo 23, 1994


Pubblicato In: Varie


intervista di Loris Campetti

«La disturba il fumo? Questo è un sigaro più che progressista: è un sigaro cubano». Non sarà il fumo a dividerci dall’ingegner Franco De Benedetti, candidato per il polo progressista nel colle­gio Torino 1 (centro). Fedele al suo cognome, di mestiere fa l’imprenditore e candidandosi si è dimesso dalle cariche che ri­copriva, presidente della Sasib e vicepresidente della Sogefi: «Non per incompatibilità di ruoli ma per evitare possibili in­compatibilità di tempo e impe­gni». Cita Pannunzio, ricorda Adriano Olivetti e il laboratorio degli anni Sessanta.

Come si co­niuga (sul piano politico) lo stemmino di Ad che porta al­l’occhiello della giacca con il si­garo cubano che stringe tra i denti? Perché un lettore del ma­nifesto dovrebbe votarlo? «Per­ché sono una persona intellet­tualmente onesta. Perché le mie priorità sono le vostre, occupa­zione e sviluppo, diritti di cittadinanza, difesa delle conquiste ottenute, compreso il servizio sanitario nazionale. E se chiede­remo sacrifici, lo faremo offren­do una politica di equità. Le ba­sta?». Con l’aria che tira, per ora può bastare. «Cosi non mi ac­contento io: chiedo un voto per, non di turarvi il naso».

Ingegner De Benedetti, la prima domanda è d’obbligo: perché un imprenditore sceglie di fare il candidato progressista?

Molti imprenditori aderiscono al nostro progetto. Con ciò, nessuno di noi pensa a uno stato consocia­tivo: vogliamo costruire unifican­do, senza la pretesa di accantona­re la dialettica sindacale, piena­mente compatibile con una politi­ca di ricostruzione che coinvolga tutti nel rispetto dei ruoli di cia­scuno. Con un po’ di toyotisino, se mi consente una battuta: servo­no idee, teste, partecipazione più che braccia. C’è chi ha profuso molte energie nel confutare il modello berlusconiano, rischian­do di perdere di vista la positività del nostro pro­gramma costruito da tut­te le forze progressiste, dalla cultura di Adriano Olivetti e l’annunzio a quella dell’estrema sini­stra. La risposta positiva sta nella scelta di forma­re un asse di governo progressista. Non sarò certo io, se vinceremo le elezioni, a chiedere l’e­sclusione di Bertinotti dal governo.

Che cosa risponde a chi conte­sta Il diritto della sinistra a go­vernare il paese?

Alla sinistra si chiede sempre qualcosa in più. E’ faticoso ma è giusto, è un pedaggio che dev’es­sere pagato se ci si presenta come sinistra di governo. Il monarca Berlusconi che promette un mi­lione di posti di lavoro mi mette nei pasticci ma non posso eludere il nodo cruciale dell’occupazione. Dobbiamo essere onesti e fare i conti con la situazione data, fa­cendo attenzione a non risolvere tutto ribadendo le compatibilità economiche. Io che non sono comunista, io imprenditore sensibi­le alle compatibilità di sistema aggiungo che senza fantasia progetti di medio periodo, che vanno perse­guite perché non ce ne sono di mi­gliori. Ma a breve termine dobbia­mo trovare soluzioni, magari par­ziali, incomplete. I commercianti di Porla Palazzo (il mercato di To­rino) dicono che a certe condizio­ni potrebbero assumere, mentre con le attuali normative non se ne parla. Non scegliamo il mercato selvaggio, ma una soluzione del problema dei commercianti dob­biamo trovarla. lo un quadro di mercati globali in cui i tassi di in­teresse sono determinati dalle at­tese di inflazione e di deficit una risposta keynesiana non è più nel­le cose. D’altro cauto, c’è una gran quantità di opere pubbliche ap­provate, finanziate e ferme per paura che ci si rubi sopra: non possiamo farci paralizzare dalla paura dei ladri. Un altro esempio: se è vero che la formazione è la strada per portare l’Europa fuori dalla stagnazione, cosa aspettia­mo a poi bare la scuola dell’obbli­go da 14 a 16 anni?

E cosa ci dice sulla battaglia dl una parte del progressisti per la riduzione dell’orario?

La mia critica a Bertinotti sulla ri­duzione d’orario a parità di sala­rio non si fonda tanto sulla incom­patibilità di questa proposta con l’Europa data, quanto sul fatto che essa guarda a un lavoro tradizio­nale prestato in luoghi deputati, scandito da ritmi misurati a tem­po. Invece, sempre di più nuovi lavori sostituiranno i vecchi, sem­pre più conta il modo in cui essi vengono erogati. Per loro natura sono lavori a tempo parziale per cui la misurazione oraria diventa inadeguata. Penso all’assistenza agli anziani che oggi viene delega­ta a ospedali pieni di lungodegen­ti, alle banche dati, alle bibliote­che universitarie. Lo sa che non sono riuscito neppure a sapere quanti sono gli abitanti del mio collegio? Dobbiamo introdurre la flessibilità nella nostra testa oltre che negli strumenti.

Non si rischia di confondere le linee di tendenza con la situa­zione esistente? O lei pensa, come insegna la Fiat, che gli imprenditori debbano occu­parsi di vincere la sfida della competitività mentre alla col­lettività compete la gestione degli effetti sociali delle crisi e delle ristrutturazioni?

Nella situazione data, è chiaro che dalla Fiat dobbiamo pretendere che faccia bene il suo mestiere re­cuperando quote di mercato, ma­gari criticando i ritardi nell’uscita dei modelli e rivendicando il con­trollo pubblico da parte degli azionisti sul management.

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