Sul falso in bilancio è sbagliato dire no

settembre 26, 2001


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Sono economici gli interessi a cui di solito ci si riferisce quando si parla di conflitto di interessi. Esisto­no però, accanto a questi, anche conflitti di interessi politici. Non quelli della normale dialettica politi­ca tra maggioranza e opposizione, ma quelli che sorgono quando a contrapporsi sono due interessi ge­nerali: come nel caso del falso in bilancio, inserito nella legge delega per la riforma del diritto societario, che questa settimana riceverà la de­finitiva approvazione in Senato. Da un lato c’è l’interesse generale di dare certezza agli operatori e pro­muovere lo sviluppo dell’economia, dall’altra l’interesse di salvaguarda­re il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato, che tra l’altro, riducendo i Costi di transazione, è condizione per lo sviluppo e l’efficienza.

Questa fiducia si basa anche sul presup­posto che chi governa non usi il consenso degli elettori e della maggioranza in Parlamento per ricavare vantaggi personali, quali quelli che arreca al presidente del Consiglio l’articolo 11 come è stato approvato dalla Camera. Esso derubrica il reato di falso in bilancio, di cui all’articolo 2621 del Codice civile, da reato di pericolo in reato di danno; rispetto al testo della Commissione, Mirone, riduce le pene massime previste; quindi abbrevia i termini di prescrizione in procedi­menti in cui Silvio Berlusconi è imputato. Sussiste dunque un conflitto di interessi in capo alla maggioranza tra il bene pubblico di adeguare le norme legislative allo sviluppo dei rapporti economici, e i vantag­gi personali che esse apportano al suo capo. Ma conflitto di interessi anche per l’opposizione, tra i propri legittimi obietti­vi di lotta politica a quelli, altrettanto legit­timi, degli operatori economici. Sempre per l’opposizione, c’è poi anche un altro conflitto, questa volta di opportunità politi­ca, tra l’appropriarsi del merito del lavoro svolto nella passata legislatura e il restare fedeli a una posizione di principio.

Se non fosse per gli  effetti che l’articolo 11 ha sulla posizione processuale di Silvio Berlusconi la nuova formulazione del falso in bilancio dovrebbe a mio avviso essere approvata anche dall’oppo­sizione (quanto alla legge nel suo com­plesso sarebbe necessario ragionare an­che della seconda delle due modifiche di rilievo introdotte dalla maggioranza, quello che riguarda le cooperative). La legge raccoglie decenni di apporti scien­tifici, anni di lavoro dei giuristi della commissione Mirone durante i Governi del centrosinistra, affronta una serie di questioni che gli operatori attendono da lungo tempo; quanto al reato di falso in bilancio, esso è nettamente preferibile al regime di perseguibilità del 2621 Codice civile attualmente vigente, e questo per molte ragioni, alcune delle quali qui bre­vemente ricordo:

  1. il falso in bilancio non lede un bene pubblico, ma interessi privati: degli azioni­sti attuali e di quelli potenziali, dei credito­ri, dei fornitori (che possono voler fornire o no), dei dipendenti (che possono decide­re di restare o di cambiare lavoro). Ma se nessuno è danneggiato, chi viene offeso?
  2. Abbiamo adottato in campo societario principi e istituti mutuati nei Paesi anglo­sassoni; la nostra legislazione si è venuta modellando su quella vigente nei maggiori mercati mobiliari, logico che a essa ci si adegui anche per la parte penale.
  3. In questa direzione stanno andando gli altri Paesi dell’Europa continentale: an­che in Spagna il falso in bilancio oggi è un reato di dolo, perseguibile su querela del danneggiato, con pene fino a tre anni.
  4. Se il reato non viene fatto consistere nel danno arrecato, ma nella Verità offe­sa, si apre lo spazio ad arbitrarietà, co­me comprovato da molteplici procedi­menti rimasti aperti per anni e finiti con l’ archiviazione.
  5. Bizzarra è poi la tesi secondo cui la derubricazione del falso in bilancio ren­derebbe più difficile alla giustizia perse­guire reati più gravi — la corruzione, o il finanziamento occulto della politica — o di diversa natura — i reati fiscali. Non è il rischio di contravvenzioni al Codice stradale a fermare chi vuole as­saltare una banca.

Accanto a queste ragioni, la formulazio­ne uscita dalla Camera dei deputati è in realtà preferibile allo schema Mirone nella parte più delicata, cioè là dove essa abbas­sa i tetti di pena. E questo per il principio generale, di cui sono fortemente convinto, che la trasparenza societaria vive del gioco contrapposto degli operatori nel mercato anziché del tintinnio di manette. Ma accan­to a queste ragioni che raccomandano l’ ap­provazione della legge, sta il fatto che essa arre­ca un importante immediato beneficio a chi la propone al Parlamento; sta l’aggravante che que­sta è una delle due sole modifiche di qualche significato apportate al te­sto elaborato durante i Governi del centrosini­stra; sta il fatto che, audace nel “migliorare” il testo là dove esso arreca benefici al presidente del Consiglio, la maggioranza non ha mostrato altrettanto coraggio nel “migliorarlo”, ad esempio, nella parte riguardante la costituzione del­le sezioni specializzate in materie societa­rie presso le Corti d’appello, che i prece­denti Governi non erano riusciti a far pas­sare per la resistenza delle corporazioni. Conflitto dunque di interessi “classico” nel­la maggioranza, che avrebbe potuto tratte­nersi dalla tentazione di “migliorare” il testo: non sembri presunzione pensare che sarebbe stato anche nel suo interesse.

L’opposizione al contrario respingerà in toto la nuova formulazione del falso in bilancio concentrandosi sui più bassi tetti di pena e sul più favorevole regime di prescrizioni; ma dimenticando, a mio giu­dizio, che la nuova norma soddisfa in maniera più che legittima — non certo criminogena — richieste e invocazioni avanzate da tutti gli operatori economici italiani. Lo ritengo un errore, pur deplo­rando duramente la scelta della maggio­ranza. Senza alcuna soddisfazione se non quella di non collaborare a respingere una norma comunque utile, mi asterrò dal votare, certo che un favore fatto per legge a un presidente del Consiglio sia un grave errore. Ma più grave sarebbe, per evitar­lo, continuare a vessare inutilmente soci e amministratori in buona fede.

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