di Alberto Alesina e Andrea Ichino
Numerosi studi di sociologi ed economisti mostrano che una delle principali cause dell’arretratezza del Mezzogiorno ha radici antiche dalle quali dipende una carenza di “capitale sociale” e di “senso civico”. Al sud manca una sufficiente fiducia reciproca e una capacità di collaborare che vada oltre le mura familiari e che, quindi, faciliti contratti e interazioni economiche tra estranei. La produzione e lo scambio di beni diventano difficili, se non ci si può fidare delle persone con cui si interagisce.
Questo vale ancor più per i beni pubblici, dal momento che nessuno vuole contribuire a essi, nell’incertezza che gli altri ricambino. Invece ci si arrangia, utilizzando ogni scorciatoia più o meno lecita, per ottenere il massimo beneficio personale anche a scapito di quello collettivo. E questo si riflette nella scelta dei politici da cui farsi governare (certo non tutti), troppo spesso fondata sullo scambio di voti contro favori: un sistema in forza del quale i politici eletti, saldato il loro debito privato con gli elettori, possono dedicarsi al proprio interesse personale, e gli elettori una volta ricevuto il favore particolare che gli spetta, non sentono il bisogno di controllare i politici.
Ci sono state epoche della storia passata in cui il sud della penisola era l’avanguardia economica e culturale del mondo. Ma i secoli più recenti hanno visto un meridione depredato da “prìncipi” e “latifondisti” italiani e stranieri interessati solo a estrarre risorse dal territorio restituendo poco in cambio. Ben diversa la storia di altre regioni in cui l’esperienza dei governi comunali e di sovrani illuminati ha nutrito generazioni di cittadini con un contratto sociale basato sulla collaborazione per la “cosa pubblica”. Così scriveva ad esempio il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo nell’anno 1790: «Un sovrano anche ereditario è soltanto un delegato e un impiegato del popolo, per il quale egli è fatto e al quale deve tutte le sue cure, pene, veglie; […]a ogni paese occorre una legge fondamentale, un contratto tra il popolo e il sovrano che limiti l’autorità e il potere di quest’ultimo». Forse anche la dominazione austriaca nel nordest, che la retorica risorgimentale ci ha sempre presentato come autoritaria e predatoria, necessita di una lettura ben diversa.
Ma se tutto dipende dalla storia passata, che speranze ci sono per il Mezzogiorno? Non potendo tornare indietro, dobbiamo concludere che nulla si può fare per cambiare le cose?
Non solo «capitale fisico»
No, ma prima bisogna far piazza pulita di soluzioni semplicistiche, opportuniste e illusorie. Pensare che i problemi del sud si risolvano con più ponti (compreso quello sullo stretto), più autostrade (spesso iniziate e mai finite), o con altri incentivi agli investimenti di dubbia efficacia (come dimostra la vicenda di Termini Imerese) e con una rinata Cassa per il Mezzogiorno, è pura illusione nella migliore delle ipotesi o (più probabilmente) una cinica ricerca di voti per il breve periodo. Certo sistemare la Salerno-Reggio Calabria e la Palermo-Messina sarebbe opportuno, ma senza una ricostruzione del capitale sociale servirà a poco. Qualsiasi “capitale fisico” sarà male utilizzato, se prima non aumenterà il “capitale sociale”.
Più infrastrutture morali
Ci sono invece infrastrutture non fisiche su cui è prioritario investire. In primo luogo il rispetto della legalità e la certezza del diritto. Senza questa “infrastruttura”, gli imprenditori italiani e stranieri fanno fatica a investire al sud nonostante l’accozzaglia di incentivi continuamente introdotti. Peggio: gli imprenditori che investono sono solo quelli che puntano ad accaparrarsi gli incentivi senza alcuna intenzione di far nascere attività produttive significative e permanenti. Esiste poi una sinergia tra funzionamento della giustizia e formazione di capitale sociale, cioè si rafforzano a vicenda e per questo bisogna investire in entrambi. Meglio quindi il ponte di Messina o più risorse per i giudici e le forze dell’ordine impegnate a ristabilire la legalità e la certezza del diritto al sud? A noi la risposta sembra ovvia.
Serve certezza del diritto
Ma non basta. Il sistema giuridico è lo stesso al sud e al nord eppure gli indicatori di performance della giustizia sono generalmente peggiori nel Mezzogiorno. Molta di questa differenza dipende dalla carenza di risorse. Dal lato dell’offerta molto si potrebbe fare a costo quasi zero, con una migliore organizzazione degli uffici e chiudendo i numerosi tribunali troppo piccoli e sotto utilizzati del nord spostandone le risorse dove servono di più (abbiamo davvero bisogno di tribunali a Mondovì e Montepulciano tanto per fare due esempi?).
Ma bisogna anche chiedersi perché la domanda di giustizia sia così abnormemente alta nel Mezzogiorno e tale da rendere insufficienti le risorse. Il sospetto è che anche in questo caso, soprattutto per quel che riguarda la giustizia civile, giochi la tendenza di molti cittadini meridionali, mal guidati dai loro avvocati, ad abusare di una risorsa scarsa, come i servizi della giustizia, senza tener conto delle conseguenze di questo abuso per la collettività. Uno studio di Armanda Carmignani e Silvia Giacomelli della Banca d’Italia mostra che dove ci sono più avvocati, ossia soprattutto al sud (176 per 100mila abitanti contro i 146 del centro nord,) ci sono più cause che intasano i tribunali (872 nuove iscrizioni a ruolo in un anno contro 696 per 100.000 abitanti). Ciò nasconde una creazione artificiosa di processi da parte di avvocati che di fatto traggono beneficio da una paralisi della giustizia che danneggia invece la collettività («causa che pende causa che rende»).
Quattro microinterventi
E quindi si torna al problema principale: come aumentare il capitale sociale, presupposto di qualsiasi altra iniziativa? Non è facile e non esistono soluzioni rapide e magiche. Ma la strada da percorrere non può che passare per il sistema scolastico, partendo da asili ed elementari. Non stiamo parlando di riforme istituzionali, ma di un approccio simile a quello che ispira la filosofia del micro credito nei paesi in via di sviluppo: quello che serve è una micro ricostruzione del capitale sociale che parta dalle singole classi di ogni scuola, e quindi in primo luogo dai singoli insegnanti. Ecco quattro piccoli esempi di atteggiamenti da cambiare.
1) La responsabilità deve essere personale. È frequente il caso di insegnanti che puniscono (in modo relativamente blando) l’intera classe, quando qualcuno si comporta male. Questo sistema educa i ragazzi all’idea che nessuno è personalmente responsabile, e che la punizione per i comportamenti sbagliati verrà suddivisa tra tutti e sarà blanda proprio perché si sa che anche gli innocenti pagano. La lezione che i bambini imparano è quindi: violate la legge e nascondetevi nel gruppo.
2) Disseminazione del valore di essere corretti. Chi segnala un comportamento scorretto è spesso additato come una “spia”. Sono spesso gli insegnanti stessi nei consigli di classe a dire: «Non possiamo chiedere agli studenti di fare la spia», quando invece si tratta di chiedere agli studenti di essere buoni cittadini.
3) Valore alle regole nell’interesse di tutti. Copiare durante gli esami è considerato normale dagli studenti ma anche dagli insegnanti. Tutti danno per scontato che sia un gioco in cui ognuno fa il suo ruolo: gli studenti copiano e gli insegnanti chiudono un occhio. L’idea che non si debba copiare perché è una regola da rispettare nell’interesse di tutti non viene nemmeno presa in considerazione. In questo modo si distrugge il capitale sociale: se tutti passano con lo stesso voto perché i meno bravi hanno copiato dai più bravi, nessuno ci guadagna, né i meno bravi che non hanno imparato nulla e che verranno per questo indotti a credere di poter fare cose che non sanno fare. Né i più bravi che saranno confusi nella massa.
4) Custodire fin da piccoli i beni pubblici. Il potenziamento dell’ora di educazione civica male non fa, ma ci vuole di più. Non serve far recitare a memoria articoli della Costituzione. Perché non dare spazio ad attività, magari abbinate all’insegnamento dell’educazione tecnica, in cui con i ragazzi venga fatta piccola manutenzione e abbellimento degli edifici scolastici, per insegnare il gusto del mantenere e sviluppare i beni pubblici? Meglio ancora se questo venisse fatto coinvolgendo i genitori, ciascuno con le sue capacità.
A piccoli passi
Certo, questi suggerimenti possono sembrare inutili gocce nel mare e quand’anche fossero in grado di indurre un circolo virtuoso di micro ricostruzione del capitale sociale, ci vorrebbe tempo perché gli effetti iniziassero a farsi sentire. Ma come dice un proverbio cinese: «Una marcia di mille miglia inizia con un passo»
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