Intervista di Sergio Luciano
“Quello che vuole Marchionne per Pomigliano è molto chiaro: certezza delle regole, rispetto degli impegni. Non pensa sia affar suo in che modo queste sue esigenze vengano garantite. Una nuova legge, un nuovo accordo sindacale: come che sia… E io penso che ce la farà”. Ha un atteggiamento positivo, Franco Debenedetti, verso la svolta “texana” di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. L’uomo col maglioncino nero nel giro di pochi mesi ha inanellato l’annuncio della chiusura di Termini Imerese, ha fondato una newco per applicare a Pomigliano d’Arco l’accordo firmato con Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl dribblando il veto della Fiom-Cgil, e ha annunciato che investirà in Serbia e non a Mirafiori i soldi necessari per due nuove vetture. Debenedetti, economista liberista, politicamente schierato con i riformisti, ex-top-manager Fiat, fratello dell’editore del Gruppo Espresso, non si scandalizza delle richieste di Marchionne. Diciamo che le capisce. E per molti versi le approva.
Debenedetti, ma come: dov’è finito il Marchionne del 2006, quello che a Vicenza, nel corso della celebre assemblea degli industriali dove Silvio Berlusconi lanciò uno dei suoi più vibranti appelli alla classe imprenditoriale, scrollava platealmente il capo in prima fila, in segno di dissenso? E dov’è finito il Marchionne che non perdeva occasione pubblica per abbracciare fraternamente Gugliemo Epifani, il leader della Cgil? Non le sembra un vero voltafaccia?
“Sì, certo, Marchionne ha cambiato. Da scrollare la testa è passato a scrollare l’albero.”.
Cosa vuol dire?
“Andiamo per passi. In un importante discorso del 2007 all’Unione industriale di Torino, Marchionne teorizzò che il costo del lavoro, incidendo per soltanto il 7-8% sul totale del costo del prodotto-auto, non era una variabile determinante nel settore. E disse anche che Termini Imerese non sarebbe stata chiusa, che andava soltanto messa a regime…Rimasi talmente colpito da quella sua presentazione, che chiesi le slide per studiarmele. Erano parole nuove….”
Allora lo vede che il capo della Fiat ha voltato la frittata?
“Lei trascura che da quel discorso c’è stata la crisi economica mondiale più grave dal ’29 ad oggi, che non è poca cosa. La frittata non l’ha voltata Marchionne, s’è voltata da sola. Lui, certo, ha cambiato atteggiamento. Allora, aveva un altro modo di concepire la strategia della Fiat, un modo che puntava ancora al salvataggio, al recupero dei crediti (e quali crediti!), al taglio brutale della struttura del Lingotto, coltivando la pace sociale, e,quanto ai prodotti, singoli accordi opportunistici, senza nessuna grande alleanza. Poi la crisi, che per l’auto, l’auto a livello mondiale significa la resa dei conti. E, nel pieno della crisi, la grande opportunità: l’affare Chrysler…”
E l’aiuto di Obama!
“Certo, ma il colpo di genio di Marchionne di farsi trovare al posto giusto al momento giusto con la proposta giusta. E Obama si affida al mago italiano. In Usa, il Congresso aveva bocciato il piano di ristrutturazione della General Motors, perché troppo poco incisiva. Ed eccoci all’albero e alla scrollata: è quello che fa Marchionne in Italia, con la sua mossa su Pomigliano”.
Però scuotendo quest’albero rischia di far venire giù la Confindustria e tutta l’attuale struttura delle relazioni industriali italiane!
“Marchionne non mi sembra il tipo da sprecare energie a scrollare alberi per conto terzi. Ma è vero, con queste sue mosse – anche senza volerlo – i suoi scrolloni hanno finito per trasmettersi a tutto l’albero delle nostre relazioni industriali. Se questo scrollone avrà effetto, sarà stata la Fiat – che é stata sempre accusata di avere imposto a tutto il Paese le condizioni che andavano bene solo a lei (dallo sviluppo delle autostrade e non dei treni, al punto unico di contingenza, a Melfi eccetera), a innescare una riforma radicale della struttura delle nostre relazioni sindacali, proprio ora che ha perso la sua funzione di pilastro della nostra economia, costituita ormai da modelli di industrie totalmente diverse della fabbrica fordista.”
Torniamo a Pomigliano: cosa accadrà, secondo lei?
“Marchionne vuole semplicemente la garanzia che l’accordo firmato con tutti i sindacati meno la Fiom e approvato dal 63% dei dipendenti venga rispettato da tutti. In sindacalese questo si chiama clausola di tregua. Senza una clausola del genere, reale, legale, lui non può calcolare la resa dei nuovi investimenti in quell’impianto. Marchionne di suo, prima con la sua lettera ai dipendenti, oggi forte del clamoroso endorsement, ancora recentemente ripetuto, di Obama al suo piano di salvataggio della Chrysler, fa leva su argomenti di tipo logico, o se vogliamo morale per ottenere le garanzie di cui ha bisogno. E, ripeto, io credo che otterrà la garanzia che chiede. La stessa Fiom sa che non può ridursi a fare come i Cobas, altrimenti si mette fuori gioco. Certo, sindacato duro e antagonista, ma che ha una sua visione degli interessi generali, e che per questo è legittimato a fare politica.”.
E se l’accordo non si troverà?
“Alla peggio, Marchionne avrà dimostrato che in Italia non è conveniente investire. Dopo aver fatto tutto quanto in suo potere per provarci!”.
Che figura, per Confindustria, essere spiazzata così dal suo tradizionale socio-guida!
I problemi di Confindustria nascono dal suo malinteso ecumenismo. Quando ha deciso di aprirsi alle aziende pubbliche – dall’Eni all’Enel alle Poste ed alle Ferrovie – ha cambiato la sua costituency, la sua natura. Oggi il primo contribuente di Confindustria sono proprio le Poste! Non voglio dire che l’incapacità di aver scrollato l’albero senza aspettare Marchionne sia colpa delle Poste, ma certo che quelle presenze cambiano il fuoco dell’attenzione. Quando si ha la pretesa di tenere insieme interessi così doversi si diventa di necessità conservatori.”
E lei, quando era direttore del settore componenti, che cosa ha innovato?
“Un settore enorme, 45 mila dipendenti. In generale, dargli identità propri, e obbiettivi autonomi sul mercato. Un’innovazione rispetto alla prassi vigente, furono gli incentivi ai manager, per numero dei soggetti interessati e per entità dei premi.
E il sindacato? Saprà rinnovarsi o resterà conservatore?
“Il sindacato è abbarbicato al moloch del contratto nazionale: ne ha fatto la forza politica ma oggi è antistorico, soprattutto quando pretende di fissare dettagli normativi che entrano nel merito addirittura della vita di reparto. Tocca al contratto aziendale definire questo tipo di regole. Se non cambia atteggiamento, altro che conservazione: vedrà pian piano svuotarsi dall’interno tutte le norme che difende senza ragione, tutte le norme troppo rigide. Compreso l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sui licenziamenti individuali. Una delle tante occasioni perse nel 2002 dal governo Berlusconi fu quella di non riformare lo Statuto dopo l’ondata generale di commozione che investì il Paese per il barbaro omicidio di Marco Biagi. Io al sindacato vorrei chiedere: se in Italia non arrivano gli investimenti dall’estero, voi una qualche responsabilità non credete di averla?”.
C’è chi parla della scelta di Fiat di andare a produrre in Serbia come di un atto d’omaggio al social dumping….
“E’ una polemica che non condivido. Il problema di un’azienda come dei singoli lavoratori, oggi, è quello di inserirsi nel ciclo del mercato. Non restarne fuori. Son quasi tre secoli che si sa che la libertà degli scambi avvantaggia tutti. Social dumping? Non è la Fiat a determinare il costo del lavoro in Serbia, né il prezzo a cui si possono fabbricare, e vendere, vetture di quel genere sul mercato. Che vogliamo? Venderne meno? Pagare noi, con le tasse, la differenza di prezzo? Ci è toccato perfino leggere qualcuno che parlava di schiavitù. Ma gli stati che praticano la schiavitù le fabbriche non le aprono, le confiscano.”.
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