Sul Convegno al Monte dei Paschi di Siena sul sistema bancario
Si terrà oggi al Monte dei Paschi di Siena un convegno sul sistema bancario. Avrà un certo interesse per tre ordini di ragioni: il primo è che vede riuniti gli “stati maggiori” di molti istituti bancari dopo la vicenda del Banco di Napoli; il secondo, che non casualmente si tiene in una città la cui municipalità difende coi denti la prerogativa proprietaria del Monte dei Paschi. La terza, che a concludere i lavori sarà Massimo D’Alema.
Il problema delle banche possedute da Fondazioni è a una svolta. La legge Amato-Carli, la direttiva Dini, la vendita di Comit e Credit rispondevano tutte a una logica: la privatizzazione delle banche in vista del progressivo ritrarsi dello Stato dalle attività economiche. Ora, con il progetto della commissione Pinza, preannunciato da Ciampi alla Giornata del Risparmio, l’obiettivo cambia: prioritario diventa il contenimento delle conseguenze – potenzialmente drammatiche – degli attuali squilibri del sistema bancario.
Ad agire da detonatore è stata la vicenda del Banco di Napoli: la collettività deve assumersi garanzie su crediti – sulla cui esigibilità è lecito dubitare – per 12.000 miliardi, un’altra tassa per l’Europa: se basterà, visto che, perché l’asta non andasse deserta, il Tesoro ha dovuto mobilitare Bnl e sollecitare l’intervento dell’Ina.
A descrivere la situazione del sistema bancario italiano bastano due dati. Dal lato patrimoniale, un free capital negativo per oltre 25.000 miliardi. Dal lato gestionale, eccedenze di personale per oltre 30.000 unità: se basterà. I problemi patrimoniali, gestionali e proprietari, si sovrappongono e le conseguenze sono – si è detto – potenzialmente drammatiche soprattutto in un Paese in cui la debolezza del sistema finanziario continua a levare cittadinanza all’idea che una banca possa fallire. Di fronte a questa debolezza la proposta avanzata da De Nicola, Giavazzi, Penati e dal sottoscritto durante la passata legislatura era di affrontare per primo il nodo proprietario: alla fine di un processo di concentrazioni c’era il ricorso al mercato. Il progetto Pinza, invece, lo fa rinviare: di 5, forse 10 anni.
Al progetto Pinza sono state mosse critiche di merito: che privatizzare le banche e riconvertire le Fondazioni alle attività non-profit sono due obiettivi convergenti ma ben diversi per grado di urgenza; che gli incentivi dal lato dell’offerta sono inefficaci e quelli dal lato della domanda, costosi; che bisogna evitare di consegnare le Fondazioni a gruppi di potere che si alimentano per cooptazione. Ma al di là e anche prima di tutte le critiche tecniche che al progetto Pinza possono muoversi, la vera obiezione è un’altra: a spostarsi ormai è il centro stesso della discussione, non più la privatizzazione ma la “riorganizzazione” del sistema bancario.
Ma si dovrebbe piuttosto dire la sua “ospedalizzazione”. Viste le condizioni del paziente, il suo ritorno in salute viene affidato a due fattori: per primo l’intervento di qualcuna delle poche banche (Comit? Ambroveneto?) in grado di operare qualche acquisizione. Inoltre l’addossamento alla collettività delle spese di ristrutturazione : ammortizzatori sociali e cassa integrazione, un po’ di liquidità magari da qualche aumento di capitale sottoscritto da fiduciosi clienti, invogliati dagli sgravi fiscali – dunque a spese dell’erario – a prezzi non validati dal mercato. Un aiuto potrebbe venire dalla scissione delle proprietà immobiliari e dal loro conferimento alle Fondazioni: un ipotesi per ora non sgradita alla Banca d’Italia.
Tuttavia un’impostazione di questo tipo è assai criticabile. Innanzitutto vi è troppa sproporzione tra i mezzi che le banche sopra ricordate possono mettere in gioco e il potenziale di squilibrio dell’intero settore bancario.
Inoltre un’impostazione siffatta dimentica un’osservazione che al contrario va anteposta: non esiste un sistema industriale forte senza un sistema finanziario forte. E poiché nel prossimo futuro non pare che le aziende italiane potranno, per finanziarsi, contare su una borsa di adeguate dimensioni, rinviare alle calende i nodi del settore creditizio significa accentuare il rischio di crisi per il sistema delle imprese.
Ecco perché sul progetto Pinza è legittimo attendersi ben altre riflessioni di quelle fin qui ascoltate. Alcune esigenze si impongono: il costo dell’efficienza non può tradursi in un beneficio per le Fondazioni, neppure in nome della loro futura attività non-profit; congelare la proprietà della banca per 5 o 10 anni per ragioni economiche può al limite aver senso, farlo per ragioni di potere non ne avrebbe alcuno. Mentre è noto e dimostrabile che la disparità tra il valore che le Fondazioni attribuiscono alle loro banche e il valore di mercato è dovuta ad un fattore non economico, il potere connesso alla proprietà della banca. Ma soprattutto un dovere incombe a chi propone di riorganizzare prima di privatizzare: individuare un percorso preciso e un termine certo per il passaggio in mani private del controllo delle banche. Non solo perché non avrebbe senso affrontare un percorso costoso e lungo per ritrovarsi alla fine con lo stesso problema, ma soprattutto perché è solo la fissazione dell’obiettivo che dà al processo qualche possibilità di riuscita. Sarà interessante vedere in che misura queste consideraizoni verranno tenute presenti oggi a Siena.
novembre 29, 1996