La sinistra ha, forse più di altri, interesse a che la questione che si è aperta sul Governatore di Bankitalia si risolva con una revisione a fondo dei poteri della Banca, della sua accountability e degli obbiettivi a cui deve essere finalizzata la sua azione di controllo sul sistema delle banche italiane.
Sono ragioni che attengono alla sua storia e al suo patrimonio genetico.
E’ infatti per coerenza che la sinistra deve essere a favore della mobilità degli assetti proprietari: perché l’eguaglianza delle condizioni di partenza riduca progressivamente le disuguaglianze, è necessaria sia la mobilità sociale fra le classi di reddito sia quella nel controllo delle attività economiche. Per coerenza dovrebbe essere contraria a patti di sindacato, scatole cinesi, intrecci azionari, agli strumenti che ostacolano il cambio del controllo. Non è un caso se è un parlamentare della sinistra a scrivere la legge Antitrust, se un governo sostenuto dalla sinistra approva la legge Draghi, e uno di sinistra si rifiuta di ostacolare i “capitani coraggiosi” che attaccano i “nocciolini duri”.
Ma i codici genetici sono complessi: di quello della sinistra fa parte anche la fascinazione per le grandi imprese manifatturiere – pubbliche in primo luogo, ma anche private –, per le attività economiche vere, in cui si producono merci, innovazione e lavoro, a differenza delle attività finanziarie, dove non si produrrebbe vera ricchezza. Forse è dovuta anche a questa priorità di interessi il deferente distacco mostrato dalla sinistra per la Banca d’Italia. Comunque sia, essa prende coscienza in ritardo della natura autoritaria e conservatrice del metodo di governo di Bankitalia. Fino agli ultimi anni 90 il dirigismo poteva giustificarsi con la natura prevalentemente pubblica del sistema bancario, ed era reso accettabile dalla statura dei personaggi di Via Nazionale. E’ con Antonio Fazio che il sistema bancario italiano ha preso i connotati di un mondo autoreferenziale – con le proprie regole -, e autocratico – con un unico capo assoluto. Le occasioni di intervenire non mancarono certo: ma la sinistra non vi si impegnò con particolare determinazione. Non si oppose al modo in cui venne gestita la crisi delle banche meridionali, alla bocciatura della proposta dell’INA di fare con il Banco di Napoli un grande gruppo di bancassurance. Non intervenne sulla chiacchierate vicende che interessarono il Banco di Roma e le sue evoluzioni, fino alla vicenda Bipop- Carire; non sulla scalata alle Generali fatta dalle grandi banche con i soldi dei depositanti; non sul ruolo di Antonio Fazio nel cambio ella guardia in Mediobanca, secondo quanto testimoniato da Vincenzo Maranghi; e neppure sulla resistibile ascesa della Banca di Lodi di Gianpiero Fiorani. Non reagì quando nel 1999 Fazio decretò che il mondo bancario sarebbe stato immune dal più potente strumento per la sostituzione di gestori inefficienti, cioè l’OPA; e che quindi la concorrenza sarebbe stata solo a valle, allo sportello, tra soggetti sicuri di non potere essere minacciati nel controllo a monte.
Per quanto blindato, nessun fortino è inattaccabile: sono le inefficienze che si producono in assenza di contendibilità, a fornire gli incentivi per forzarne le difese. E, se non esistono vie normali per portare la propria sfida, a tentarne altre, meno dirette e trasparenti, magari ai limiti delle legalità, e cercando aiuti esterni nella politica e tra i politici. E’ stato il contesto europeo a aprire una breccia nelle mura del fortino faziano: perché un conto è bloccare Unicredito o SanPaolo, altra dire un no pregiudiziale a BBVA o ABN. Se a lanciare un’OPA su BNL fosse stato il dottor Consorte, sarebbe stato respinto “ad nutum”. Nel disegno faziano gli stranieri andavano benissimo purché restassero nel recinto delle partecipazioni di minoranza: ma con le OPA spagnola e olandese, per mantenere in piedi il suo modello, Fazio deve usare, a modo suo, le OPA che aveva messo fuori legge: in BNL, facendo buon viso alla scommessa di Consorte, e in Antonveneta, accettando che Fiorani porti all’incasso la sua devota obbedienza.
Le OPA straniere rimescolano le carte anche per la sinistra. C’è più di una ragione perché essa guardi con attenzione gli elementi di novità portati dagli outsider, al sorgere di nuovi soggetti imprenditoriali nel mondo bancario: in BNL, un polo di bancassurance che immetta le cooperative nel gioco finanziario; in Antonveneta, una nuova banca che aggreghi varie realtà industriali e finanziarie del Nord Est. Ma, quanto a fornire agli outsider un aiuto determinante, neanche se volesse potrebbe farlo. E invece il sospetto di una sua convergenza con gli outsider si presta a essere strumentalmente alimentato al fine di ostacolarli: spaventando la destra ( e gli alleati del centrosinistra) con lo spauracchio delle “banche di D’Alema”, e la sinistra (e buona parte del Paese) con quello di un Corriere al guinzaglio del Cavaliere. E offrendo il pretesto per riproporre la questione morale.
Chi invoca la questione morale si scandalizza delle intercettazioni, di quello che rivelano o del perché e da chi vengono fatte filtrare, delle chiacchiere nei ristoranti e delle confidenze nei tinelli. Ma la questione morale si risolve in radice non guardando ai fenomeni a valle, ma agendo sulle cause a monte, vale a dire eliminando le blindature, i poteri autocratici, le distorsioni del mercato che trasformano gli outsider in raider.
Non è perché ha consentito ai Ricucci di mettere insieme una liquidità impressionante che il “modello Fazio” non va bene, o perché i “concertisti” avrebbero fatto profitti con metodi illeciti, o perché potrebbero attaccare il Corriere della Sera. Il “modello Fazio” non andava bene già quando andava bene a tutti: quando decideva sulle banche meridionali, quando bloccava le OPA, quando pilotava il cambio in Mediobanca, quando si appoggiava prima a Geronzi e poi a Fiorani, quando offriva copertura al sistema bancario scosso dagli scandali: in tutti questi casi Fazio ha avuto dalla sua Governi, banche, Confindustria.
Nessuno pensa che in materia di banche, e in qualche misura anche di mezzi di comunicazione, per la contendibilità del controllo debbano valere gli stessi criteri e le stesse procedure che dovrebbero valere per qualsiasi impresa. Quello che si intende dire è che le ragioni storiche e identitarie della sinistra per favorire la mobilità del controllo, sono un motivo in più per volere che criteri e procedure siano quanto più trasparenti possibili, e ristretta l’area di discrezionalità nell’applicarle. Riducendo l’aleatorietà per gli operatori economici – sia di quelli che difendono il fortino, sia di quelli che lo attaccano – si riduce la vera o presunta area di intervento politico, e la sinistra può perseguire i propri “storici”obbiettivi con minore rischio di essere trascinata in discussioni su questioni morali.
La polemica che si è aperta sull’operato del Governatore è, per la sinistra, l’occasione per affrontare e risolvere i temi di rilevanza strategica. Sarebbe un’occasione persa se si scambiasse questo obbiettivo con quello della semplice sostituzione di una persona.
agosto 12, 2005