Centinaia sono le modifiche proposte alla Bicamerale, occupano più di 2000 pagine: io sono il solo — a quanto mi consta — ad avere avanzato due proposte di carattere fondamentale per il nostro sistema economico.
La prima è volta a portare in Costituzione il mercato, cioè il sistema di relazioni e di informazioni in cui tutti viviamo e operiamo, da cui nasce la ricchezza del paese. «Il mercato e la concorrenza sono tutelati da una apposita autorità indipendente, con criteri e modalità stabiliti dalla legge», questo il testo della mia proposta, congegnata, per motivi tecnici, come modifica dell’articolo 99.
Alcuni dei temi che riguardano l’intervento dello Stato in economia sono contenuti nella prima parte della Costituzione: proprietà, iniziativa economica, ruolo dei sindacati. Altri, bilancio e organi ausiliari, nella seconda parte, quella di cui si occupa la Bicamerale. Altri non sono neppure citati, mercato e moneta. E’ bensì vero che accanto alla nostra Costituzione esiste il diritto comunitario, una componente di diritto costituzionale a tutti gli effetti, perché non solo le imprese, ma anche esecutivo e legislativo sono tenuti ad osservarla. Ma io credo che si debba ribadire che i limiti ideologici che hanno ispirato i temi economici della nostra carta fondamentale sono seppelliti dalla storia, da cui hanno ricevuto un inappellabile giudizio negativo. Credo che si debbano utilizzare gli spazi disponibili nella legge istitutiva della Bicamerale per radicare nell’opinione pubblica punti di riferimento e istituzioni adeguati alle evoluzioni che hanno interessato la nostra società, ai paradigmi culturali che, sia pure tra fatiche ed incertezze, stiamo acquisendo.
Per questo ho avanzato la proposta di costituzionalizzare mercato e concorrenza. Sarebbe necessario che da parte di organi di informazione, accademici, membri della Commissione Bicamerale si aprisse un dibattito su questo tema: perché rigore e mercato sono obiettivi di importanza pari a quelli della forma di Stato e di Governo, o delle garanzie.
Ma c’è una seconda proposta altrettanto fondamentale, anche se più provocatoria. Diverse proposte sono state presentate che mirano a porre un limite alla possibilità dei Governi di far spese in deficit, “blindando” la legge di bilancio. Anch’io ne ho presentata una, pur se l’esperienza — valga per tutte quella della legge Graham Rudman negli Usa — insegna che non è grazie a vincoli formali che le economie occidentali sono riuscite ad imboccare la strada della riduzione dei deficit di bilancio. L’esperienza concreta dimostra piuttosto che i governi sono anche capaci di significativi passi per la riduzione dei
disavanzi, ma solo o prevalentemente ricorrendo ad un aumento della pressione fiscale. Vale cioè quanto scriveva il Nobel James Buchanan (The Power to Tax): «Il Governo al di là dei suoi mutamenti ideologici e di indirizzo politico comunque massimizza le entrate ricavabili da ogni potere di imposizione costituzionalmente concessogli». E’ quello che sta accadendo puntualmente anche in Italia, dove, a dispetto di ogni impegno, la pressione fiscale aumenta.
Qui non ci viene in aiuto Maastricht: il famoso vincolo del 3% non dice a che livello di prelievo fiscale questo viene raggiunto, se al 40, al 45, al 50% o oltre. Kohl ha deciso che si ripresenterà alle elezioni, proprio per dimostrare il proprio impegno a completare la costruzione europea: spero che in campagna elettorale ci sarà qualcuno che gli ricorderà quanto egli ebbe a dire nel 1982: «Qualsiasi paese in cui si prelevi più del 50% del reddito è un paese comunista».
Ed è. proprio per questo che io avanzo la mia seconda proposta, oltre a quella su mercato e concorrenza: poniamo in Costituzione una norma che ponga un limite al prelievo fiscale. Non un limite quantitativo, una percentuale del Pil, da non superare, tra imposte, tasse e contributi: ma una norma che imponga equità e congruità al prelievo fiscale. E’ giusto che la materia fiscale continui ad essere esclusa da quelle che possono essere sottoposte a referendum. Ma è necessario dare la possibilità alla Corte Costituzionale di esprimere un giudizio sulla tollerabilità del prelievo. Proprio l’esperienza dei casi in cui la Corte con sue sentenze ha aperto voragini nei conti dello Stato dovrebbe indurci a porla di fronte all’obbligo di rispettare anche un altro principio. ugualmente valido sul piano dei diritti individuali, e fondamentale per il benessere collettivo: quello di un’equità nel prelievo che non strangoli l’attività e l’iniziativa economica.
Maastricht, e le numerose proposte volte ad irrigidire o a blindare l’81 nascono dalla coscienza che è diritto dei cittadini fare i propri piani, programmare il proprio futuro facendo conto su una moneta stabile, e ad una moneta stabile affidare i propri risparmi. Ma è anche diritto dei cittadini vivere, respirare, produrre in un sistema in cui il limite al prelievo fiscale non sia solo dato dal loro malcontento, ma sia una norma iscritta nella carta fondamentale.
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aprile 8, 1997