Separiamo il pubblico dal privato

marzo 28, 2010


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I servizi ai cittadini si trasformano spesso in luoghi di intermediazione politica che favoriscono episodi di corruzione

Le aziende pubbliche locali sono strumento per la fornitura di servizi ai cittadini o luogo di intermediazione politica? Producono efficienza o assistenza mascherata? Se da oltre un secolo che si cerca di dare un assetto normativo per introdurre efficienza in questo settore, se dopo una dozzina di riforme di sistema, ultimo il decreto Ronchi che mette limiti alla proprietà pubblica nel caso di servizi affidati senza gara, a ogni finanziaria si sente la necessità – o si trova l’opportunità – di introdurre qualche correzione alla normativa vigente, la ragione sta in una difficoltà iniziale: definire che cosa sia e che cosa debba essere un servizio pubblico. Da cui ne deriva un’altra, quella di catalogare situazioni le più disparate: infatti è diverso se si opera in regime di concorrenza o di monopolio naturale, se il servizio è fornito da una società quotata o direttamente dal comune; se l’azienda opera al Nord o al Sud.

Il merito di “ Comuni spa, il capitalismo municipale in Italia”, di Carlo Scarpa, Paolo Bianchi, Bernardo Bortolotti e Laura Pellizzola, edito dal Mulino, è di dare una lettura unitaria a una realtà così variegata. Dopo tre anni di lavoro, incrociando i dati relativi alla spesa diretta degli enti locali con il database Amadeus delle imprese non finanziarie europee, con un numero tutto sommato gestibile di tabelle, esce il quadro di questa realtà così rilevante per l’economia del Paese: un migliaio di imprese, un quarto di milione di dipendenti, un giro di affari di oltre 43 miliardi di euro, attraverso cui passa oltre il 40% di quanto gli enti locali spendono per i servizi.

Un sistema efficiente? Prima ancora bisogna chiedersi se siano qui applicabili i criteri economici con cui siamo abituati a misurare efficienza. Fin dall’epoca della legge Giolitti del 1903, nata per dare una risposta alle preoccupazioni del ceto politico rispetto ai problemi della crescita delle città, i critici della legge indicarono l’ambiguità degli obbiettivi: aumentare le risorse per i comuni, o espandere l’offerta dei servizi applicando tariffe più basse rispetto alle aziende private? Dove porre la separazione tra ciò che è tradizionalmente considerato impresa e ciò che in realtà rappresenta un pezzo del sistema amministrativo? All’analisi economica non si può chiedere di indicare dove passa il confine tra responsabilità pubbliche e private nel sistema economico, quali attività pertengano a quale sfera, e cosa implichi l’appartenenza a una sfera piuttosto che a un’altra. A priori non è definibile dove il pubblico deve essere regolatore e dove erogatore; in teoria non farebbe differenza se il costo servizio è pagato dal contribuente con le imposte o dall’utente con le tariffe. E quanto alla forma societaria della SpA, bisogna sgombrare il campo da un equivoco, in cui sono incorsi quanto hanno criticato lancia in resta quelle costituite dal Tesoro ( Patrimonio SpA, Difesa SpA) e quelle ultimamente progettate (Protezione SpA): la forma giuridica dell’ente erogatore del servizio incide solo sulle procedure, nulla dice quanto alla natura pubblica o privata, e nulla leva alle responsabilità di chi amministra danaro pubblico.

Bisogna dunque guardare altrove per trovare risposta a queste domande, per trovare il filo d’Arianna che consenta di passare dall’analisi oggettiva a un’indicazione normativa: il mio suggerimento, agli autori e ai lettori, è di cercarlo nel tema della trasparenza. Se c’è una linea tra pubblico e privato, c’è sempre il rischio della corruzione; anzi a ben vedere la corruzione consiste proprio nell’indebito attraversamento di quella linea: chi detiene potere pubblico lo usa per estrarre una rendita a vantaggio del privato. Quella linea deve essere illuminata a giorno, e deve essere più breve possibile. E una linea (senza nodi) è tanto più breve quanto più ridotto è il campo che delimita. Una linea, non una zona cuscinetto, che qualcuno potrebbe confondere con una zona franca. Quando si fa della compartecipazione pubblico privato lo strumento di elezione dei servizi pubblici locali, non solo si nega l’esistenza del pericolo, ma anzi si creano le sedi istituzionali in cui possa avvenire lo scambio tra potere ed efficienza. Perché resta il fatto che anche in assenza di fattispecie delittuose, il potere che il privato acquisisce è reale e l’efficienza che promette è nel migliore dei casi presunta.

Il libro illustra casi in cui il servizio è possibile che sia erogato interamente dal privato, altri in cui è conveniente che lo sia interamente dal pubblico, molti in cui di fatto lo è dal pubblico-privato. Giunto alla fine del libro, della lettura dei dati forniti e dei problemi aperti, escono rafforzate le ragioni di chi denuncia l’intrinseca criticità di questa forma di organizzazione. E quindi l’indicazione di evitare per il futuro di farvi ricorso, o almeno di considerarla come eccezione non come regola. Tra pubblico e privato, rapporti contrattuali, non di proprietà.

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