Separare le fondazioni dalle banche

maggio 1, 2010


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di Lamberto Dini

CREDITO E POLITICA

Caro Direttore, dopo i recenti, innegabili, successi elettorali, il ministro Bossi ha rivendicato una maggiore influenza del suo partito sulle grandi banche del Nord. Lo ha fatto con quel linguaggio diretto e quel gusto della provocazione che lo contraddistingue. Ne è nato un vivace dibattito pubblico, che potrà addirittura risultare utile se aiuterà a chiarire l’ essere e il dover essere dei rapporti fra banche e politica.

Si parla molto di riforme; eppure nell’ ultimo quarto di secolo quelle realizzate sono davvero poche. Fra queste c’ è sicuramente la riforma del sistema bancario. Un insieme di nuove leggi, regolamenti, interventi amministrativi, il tutto preceduto e accompagnato da un’ ampia discussione pubblica, ha prodotto un drastico cambiamento: da pubblico, arcaico, infeudato dalla politica, fragile e frammentato, il nostro sistema bancario si è fatto più moderno, più autonomo, più solido, capace di operare sul mercato. Se ne è avuta prova nella recente crisi finanziaria; le nostre banche la hanno superato molto meglio di quanto abbiano fatto i loro concorrenti in Europa e nel mondo; se ne è giovato il contribuente italiano, chiamato a pagare un conto incomparabilmente minore rispetto ad altri Paesi. Fra i capisaldi di questo lungo processo di riforma si sono rese autonome le banche dalla politica. Obiettivo non facile da realizzare, considerato che la proprietà di gran parte delle nostre banche era pubblica. Lo si è ottenuto attraverso uno «scorporo» che ha diviso la funzione di mercato delle aziende bancarie dalle funzioni di utilità sociali che ora venivano collocate all’ interno delle fondazioni. Quest’ ultime rimanevano sì azioniste delle banche; ma queste partecipazioni, così come l’ intero patrimonio delle fondazioni, assumevano valore meramente strumentale: dall’ amministrazione di quel patrimonio le fondazioni erano chiamate a ricavare un rendimento da destinare a quelle finalità sociali – istruzione, ricerca, sanità, assistenza – che costituivano la loro unica funzione. Nelle fondazioni è previsto un forte ruolo delle comunità locali, in particolare riguardo alla nomina degli amministratori. È ovvio che le comunità locali si esprimono anche attraverso le istituzioni rappresentative e di governo locali (comuni, province, etc). È altrettanto ovvio che in queste sedi anche i partiti politici possono far sentire la propria opinione. In molti territori l’ opinione della Lega di Bossi conterà ora di più; non c’ è affatto da scandalizzarsene. Ma queste opinioni, questi eventuali indirizzi, riguardano la destinazione degli utili che le fondazioni traggono dal proprio patrimonio, non l’ amministrazione della banca partecipata. È bene ribadirlo: finalità delle fondazioni è il sostegno ad attività di utilità sociale; non già l’ esercizio, neanche per interposta persona, del credito. Non ci si può nascondere che il rischio della commistione è sempre in agguato, almeno fintanto che le fondazioni investono nelle banche una parte predominante del proprio patrimonio e fintanto che la quota del capitale delle banche detenuto dalle fondazioni è tanto grande da configurare posizioni di controllo, magari congiunto fra più fondazioni. Ma la prima situazione – partecipazioni bancarie con quote predominanti del patrimonio delle fondazioni – non può che essere transitoria; e il suo superamento porterà anche al superamento delle situazioni di controllo. Il perché è presto detto: se per le fondazioni il patrimonio ha natura strumentale rispetto ai fini di utilità sociale, allora le fondazioni sono tenute ad amministrarlo secondo i criteri di massimizzazione del rendimento e di diversificazione del rischio ai quali sono assoggettati coloro che amministrano un patrimonio non proprio (per esempio i gestori dei fondi comuni). In questa ottica, quando ebbi la responsabilità del Ministero del Tesoro, organo di vigilanza sulle fondazioni, emisi una direttiva con la quale indirizzavo le fondazioni verso la dismissione delle partecipazioni di controllo nelle banche e verso una più celere ed ampia diversificazione del proprio portafoglio. Così come sostiene Francesco Giavazzi nel suo editoriale (Corriere del 19 aprile), quella è la strada che deve essere perseguita. Troveranno così anche soluzione i pericoli impliciti nelle colorite affermazioni del Ministro Bossi. Finché la diversificazione del portafoglio delle fondazioni non sarà portata a termine, è compito della Banca d’ Italia garantire che la funzione allocativa delle banche non venga distorta da ingerenze politiche. Perché una cosa deve essere a tutti chiara: per rimettere l’ Italia su un sentiero di crescita economica sostenuta sarà necessaria una gigantesca riallocazione delle risorse da mercati, settori, imprese in declino a mercati, settori e imprese in espansione. Questa riallocazione delle risorse richiede un sistema bancario efficiente e capace di cogliere i segnali che giungono dai mercati. Se invece le nostre banche dovranno prestare attenzione alla variazione delle percentuali di voto ottenute dai vari partiti nelle varie elezioni, non ne verrà nulla di buono nella allocazione delle risorse, e quindi niente di buono per il tasso di crescita futuro della nostra economia.

Lamberto Dini

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