Non ho difficoltà ad aderire all’invito del Presidente Ghigo: evitare di sposare pregiudizialmente una tesi mi viene già naturale se il campo è quello della politica, figurarsi quando si tratta di quello in cui si semina e si raccoglie. Una pregiudiziale però ce l’ho: proprio per la stima che ho nei suoi riguardi, preferirei non vedere il suo ragionamento inquinato da argomenti estranei alla sua natura.
Poco manca che egli riprenda i grossolani espedienti populisti, del tipo che se si mangiamo fragole nel cui DNA sono stati inseriti geni del pesce artico, ci crescono le squame: squame che non sono cresciute agli esquimesi, che pure il DNA del medesimo pesce se lo inghiottono tutt’intero, da millenni. E anche noi, d’altronde, qualche sequenza del DNA dei pesci da cui tutti deriviamo, forse ce l’abbiamo.
Ma evito di uscire dal seminato: anche perché, su ciò che combinano gli ingegneri quando sconfinano di campo, e si mettono a fare mestieri diversi, circolano ultimamente giudizi pesanti. Parliamo invece di mercati, di economia.
Il presidente Ghigo si fa paladino del diritto dei coltivatori di poter dar vita a coltivazioni realmente OGM – free, diritto che un’economia liberale deve garantire. Naturalmente anche qui vale il “principio di precauzione”: l’impegno per la salvaguardia della bio-diversità ha pure lui il suo DNA, e se a qualcuno sembra essere di sinistra, mette in guardia Ghigo, quello “tipico” era liberale.
Ritornando dalla purezza delle culture (politiche) a quella delle colture (agricole), mi pare evidente che se è possibile identificare le sementi autoctone, vuol dire che è possibile isolarle, dunque riprodurle, utilizzarle per seminare campi. E allora mi chiedo: perché non rovesciamo il problema, e invece di isolare i campi coltivati a OGM, non isoliamo i campi OGM free? Non si dica che i primi invadono i secondi, dato che, come è noto, le sementi OGM (come quelle autoctone) devono essere ricomprate tutti gli anni, se no, per deriva genetica, in poco tempo perdono le loro caratteristiche.
Se questo è vero, allora noi avremmo tutto l’interesse a che ci siano grandi coltivazioni di prodotti OGM, di grande produttività e quindi a basso prezzo; e piccole coltivazioni di prodotti selezionatissimi, garantiti, da vendere ad alto prezzo. L’obbiettivo dovrebbe essere quello di replicare ciò che si è verificato con il vino: fino a pochi decenni fa, il barberaccia del contadino sarà stato autentico, ma non aveva costanza di qualità, era pesante, e, cosa non irrilevante in un’economia di mercato, non piaceva, anche se costava poco. Finchè un certo Giacomo Bologna detto il Braida, osò l’eresia di barricare il barbera. Non fu certo solo merito suo, ma fu proprio in quegli anni che iniziò anche in Piemonte il boom del vino di qualità (e dei prezzi!). Perché non può essere lo stesso con gli OGM?
Anche sulla barrique poi, ci sono scuole diverse, in aspra competizione tra loro. Il mio amico Bartolo Mascarello, ad esempio, per il suo mitico Barolo dipinge a mano etichette personalizzate. Su una c’è scritto “No barrique, no Berlusconi”. Battaglia di sinistra? Battaglia liberale: ci guadagnano tutti.
agosto 13, 2003