Se si limitasse a lamentare che il risanamento della finanza pubblica non è stato accompagnato da politiche di sviluppo, Luciano Gallino (Meno Stato non vuol dire cedere ai privati i panettoni, La Stampa del 15 marzo) sarebbe in buona compagnia: Fazio e Duisenberg, Monti e Romiti, per citarne alcuni. Gli obiettivi che egli indica, «salvaguardia degli interessi nazionali, della propria capacità competitiva e delle proprie forze lavoro», si sono prestati a varie interpretazioni, non tutte fortunate. Perché non ci siano dubbi su che cosa intende, il professor Gallino porta degli esempi: ed è li che l’attenzione si impenna. Ma come? Credevamo di sapere che Internet è il frutto spontaneo della libertà, che per difenderla dai regolatori i suoi adepti sono pronti a una guerra santa; che perfino l’intervento dell’antitrust contro lo strapotere di Microsoft è temuto come un’interferenza sul libero mercato; che Silicon Valley è uno straordinario esempio di ricerca finanziata dal mercato. Qual è mai l’agenzia che ha reso possibile la conquista «del dominio assoluto nel campo delle tecnologie infotelematiche»?
Quale quella che ha fatto crescere nella piccola Svizzera giganti come Roche, Nestlé e Ubs?
L’Italia non è riuscita a mantenere una produzione di computer: ma in Francia l’intervento massiccio dello Stato non è riuscito a far meglio. Nel software, in Germania il mercato ha prodotto la Sap (13.000 dipendenti, valore di Borsa 30 miliardi di eurol, da noi l’attenzione del governo e le commesse della pubblica amministrazione hanno allevato Finsiel, ed i suoi 4000 esuberi. La Germania sarà «un gigante della meccanica e della chimica»: ma è per guarire l’elefantiasi del gigante che i tedeschi hanno mandato a casa Kohl e ora Schroeder licenzia Lafontaine.
Anche quando l’azione dello Stato ha successo, è alla fine della storia che arriva la morale. Il mitico Miti ha propiziato il primato giapponese nell’elettronica di consumo; ma le stesse agenzie hanno «orientato incentivato e regolato» un sistema finanziario che ha precipitato il Paese in una crisi di cui non si vede l’uscita. L’Airbus ha saputo corrispondere con successo alle necessità delle compagnie aeree di avere un concorrente alla Boeing; ma la volontà francese di mantenere il controllo impedisce di razionalizzare la produzione; così come il rifiuto a privatizzare ha fatto fallire il formarsi di un’industria della difesa europea.
I problemi teorici e pratici non cambiano se lo Stato invece di produrre «direttamente panettoni o biciclette o crociere turistiche» si limita a prendere decisioni strategiche e ad orientare la produzione. «Il problema economico della società – dice Hayek – consiste nel come utilizzare la conoscenza che non appartiene a nessuno nella sua totalità». Che si tratti di un’azienda che produce o di un’agenzia che orienta, è sempre una «presunzione fatale» credere che il centro disponga della infinità delle informazioni locali che utilizza spontaneamente chi opera in un mercato concorrenziale. Garantirne il funzionamento è il compito della politica; non fare o far fare, bensì levare gli impedimenti perché gli individui liberamente facciano. Ridurre la stratificazione delle nonne, eliminare la paralisi decisionale è fare politica industriale di alto profilo e di sovrumano impegno.
La riduzione del carico fiscale non è un accessorio della macchina economica, un «tergicristallo»: è la misura sintetica del successo nella restituzione della libertà economica ai cittadini. Il giudizio severo di Gallino (e di Tremonti) appare meritato se, più che a quanto è stato fatto, si pone mente a quanto sarebbe necessario fare. Tra le occasioni mancate assai rilevante ai fini della riduzione della pressione fiscale – c’è anche l’aver affossato la riforma delle pensioni del governo Berlusconi, l’unica ad affrontare il problema in modo risolutivo: lo riconosce Franco Modigliani, ricordando (Avventure di un economista, pag. 269) l’appello su cui raccolsi la sua firma, oltre a quelle di Romano Prodi, di Mario Baldassarri, di Paolo Sylos Labini.
Ci vuole più Stato, non meno, per non perpetuare la posizione dominante dell’Enel nel momento in cui siamo obbligati a liberalizzare, per non far blindare Telecom proprio mentre si constata che la scalabilità aumenta l’efficienza delle imprese. Ci vuole più Stato, non meno, per assicurare alle famiglie la libertà di scegliere la scuola in cui mandare i figli, contro la corporazione degli insegnanti. Ci vuole più Stato, non meno, per non sacrificare flessibilità ed efficienza sull’altare di una concertazione che ha avuto i suoi meriti, ma che sempre più sovente è conservazione.
Già duecent’anni fa il panorama europeo appariva a Goethe ingombro di «castelli cadenti» e di «vecchi basalti» fossilizzati. Ci vuole molto Stato per sgombrare il terreno e consentire ai cittadini di costruirne di nuovi.
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marzo 17, 1999