Dove andrà Piazza Affari? Con Londra e Francoforte che stanno lavorando a una fusione a cui si aggiungerà il Nasdaq. la borsa americana dei titoli tecnologici e della new economy? Oppure seguirà Euronex, integrazione tra le borse di Parigi e dei Paesi Bassi, con possibile collegamento al Big Board di New York? La scelta tocca nel portafogli i 7 milioni di italiani che investono parte del loro patrimonio in titoli: mercati più grandi vuol dire più scelta, maggiore possibilità di diversificare il rischio, minori provvigioni agli intermediari. Ma tocca ancora più le imprese: perché da quella scelta dipende il sistema di corporate governance a cui dovranno conformarsi. Ci saranno ancora vicende come Olivetti-Telecom, o Generali-lna? Dipende con chi si va. Londra propone che valgano le regole del mercato in cui un’azienda è quotata. Parigi invece vorrebbe che le norme venissero dettate da una Consob europea e all’ultimo Ecofin ha ottenuto l’istituzione di un gruppo di 6 saggi per studiare il tema.
La decisione deve prenderla Borsa Italia Spa. la società privata che gestisce Piazza Affari. Ma le banche, che ne sono i principali azionisti, hanno fatto un gran pasticcio. San Paolo-Imi e Uni-credito hanno prontamente appoggiato l’asse Francoforte-Londra, le altre si sono poi dissociate. Il contrasto ha investito anche la nomina del successore di Stefano Preda alla presidenza di Borsa Italia Spa. Nella confusione tra candidati espressione della marcia indietro, appare probabile che si debba fare ricorso alla collaudata scuderia e al prestigio internazionale di Bankitalia.
In questa situazione la decisione del ministro del Tesoro di resuscitare il «Comitato di indirizzo strategico per lo sviluppo della Piazza Finanziaria Italiana» appare del tutto singolare. Inventato da Romano Prodi ai tempi della privatizzazione, si tratta di un organismo pletorico nella composizione: presieduto da un sottosegretario, accoglie 40 personalità delle amministrazioni centrali, locali e di imprese. Tutti hanno interpretato il risorto comitatone come la conferma della sconfessione dell’intesa con Londra, intrapresa due anni fa dall’ad Maurizio Capuano. Un’invasione di campo che invia un preoccupante segnale politico.
L’interesse nazionale vuole che le imprese siano in concorrenza tra loro nel reperimento dei capitali destinati al proprio sviluppo. e siano esposte alla competizione per il controllo. Era questo l’obbiettivo che si poneva la legge Draghi: essa contiene norme simili al City Code che si è affinato nel tempo nella maggior piazza finanziaria del mondo, Londra. Non fosse che per coerenza, il governo dovrebbe mostrare preferenza verso l’asse anglo-tedesco.
Invece, proprio perché è una pesante interferenza governativa nel corso di discussioni tra soci privati di un’azienda privata, l’iniziativa del governo allinea il nostro Paese sulle posizioni dirigiste di Parigi. Si parla tanto di integrazione europea: ma iniziative come quella francese — e italiana — rafforzano le resistenze dei paesi che temono l’effetto sui mercati finanziari di regole farraginose, faticosamente contrattate dai politici, imposte dalla maggioranza e amministrate dall’eurocrazia.
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luglio 27, 2000