Se Dini è prigioniero dei manager pubblici

giugno 29, 1995


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Sul tema privatizzazioni-liberalizzazioni, Enel, Stet, Authority abbiamo da un lato un’imponente mole di contributi, di proposte, tecniche e politiche, dall’altro un governo che continua imperterrito per la sua strada: le aziende di pubblica utilità devono essere privatizzate così come sono, la liberalizzazione dei relativi servizi è problema cui altri dovranno provvedere. Col che si pone un serio problema alla maggioranza che sostiene il governo Dini: essa sostiene sì la politica di bilancio, di cui le privatizzazioni sono parte fondamentale; ma la stessa maggioranza si è espressa in modo non equivocabile in favore di una liberalizzazione che proceda almeno contestualmente alle privatizzazioni (ad esempio con la mozione Salvi del 16 Marzo).

La cosa è tanto più imbarazzante in quanto esistono soluzioni tecniche che consentono di raggiungere sia gli obbiettivi di politica economica (far cassa) che quelli di politica Industriale (liberalizzare i servizi); e queste soluzioni sono realizzabili dal governo senza introdurre linee di ritardo. Come ci si accinge a dimostrare.
In linea di principio il frazionamento dei monopoli non porta a riduzione né del valore delle aziende monopolisti-che, né del valore potenziale del valore del monopolio stesso: anzi il più delle volte una vendita frazionata fa emergere valori patrimoniali o reddituali maggiori, come dimostra il successo alle pratiche di asset stripping. Esempi: le Pagine gialle potrebbero essere rapidamente vendute, attivando una gara tra una pluralità di imprenditori interessati; se Enel mettesse a gara un certo numero di centrali, ciò sarebbe al più ininfluente sul valore patrimoniale dell’azienda; ammesso che il mercato attribuisca un valore alla concessione a Stet di trasmettere anche segnali televisivi sulla futura rete urbana in fibra ottica, il relativo valore verrebbe comunque fatto emergere (e in assai maggior misura) mettendo a gara le concessioni per le reti-cavo. Se la vendita frazionata davvero comportasse una riduzione del valore patrimoniale dell’azienda, ciò indicherebbe che al valore del bene si è aggiunta una rendita monopolistica, il cui valore nel tempo sarebbe comunque scontato dagli investitori, tenuto conto delle sempre più incisive azioni delle autorità comunitarie e nazionali.
Neppure il problema dei tempi costituisce un’obbiezione opponibile. Ove non ci fossero i tempi per frazionare, il governo potrebbe già prefigurare i futuri assetti, sia con strumento legislativo, sia utilizzando i suoi poteri di azionista. Il governo può ad esempio impegnare Enel ad attivare entro due anni la separazione societaria dell’attività di distribu-zione; può sostituire la concessione unica con una pluralità
di concessioni regionali. Per quanto riguarda la Stet, il governo può impegnarla a non avviare acquisizioni di reti al-ternative presenti sul territorio nazionale (per le quali Stet a quanto si dice sarebbe disposta a pagare prezzi di affezio-ne); può non approvare il piano di cablaggio di 10 milioni di case, del valore di 13 mila Mld, o l’avvio di trattative commerciali nel campo della pay-Tv. In tal modo Stet, in attesa di una legge che definisca l’assetto del settore di convergenza tra telefono e Tv, sarebbe ancora titolare dei diritti di concessione ex lege 103 del 75, ma le verrebbe impedito di pregiudicare gli assetti concorrenziali di questo nuovo mercato. E di nuocere a se stessa: la scelta strategica di investire massicciamente risorse al solo scopo economico di blindare il monopolio, equivale infatti alla rischiosa scommessa di fermare il tempo, mentre le autorità comunitarie e nazionali continuano a lavorare nel senso della liberalizzazione. L’azionista di maggioranza potrebbe utilmente additare al management Stet l’esempio di British Telecom che, obbligata dalla caduta del monopolio a trovare altre e più sane strade per crescere, ha aumentato il fatturato e moltiplicato gli uti
li.
Dimostrato che assetti non contrari alla liberalizzazione sono compatibili con le esigenze del Tesoro, e che il predi-sporli o il preservarli a future determinazioni legislative è nei poteri del governo, è ancora possibile andare oltre nel ra-gionamento, e meglio precisare assetti sui cui è possibile una larga convergenza politica.
Nel caso Stet la cosa è semplicissima: alla scadenza comunitaria (1998 o prima) ci dovranno essere più operatori con proprie infrastrutture sulle tratte interurbane. Il nuovo settore della convergenza telefono-Tv sia riservato a nuovi imprenditori, escludendo per un certo numero di anni che esso sia condizionato dal monopolista telefonico. La di-scussione può riguardare i limiti di concessione e di concentrazione, la protezione del pluralismo, gli obblighi da im-porre al concessionario, le modalità di gara: materie che il parlamento può delegare il Governo a proporre.
Nel caso Enel la cosa è un po’ più complessa: perché ci sia mercato non basta, come sostiene il ministro Masera una pluralità di produttori, ma ci vuole anche una pluralità di acquirenti. Questi sono di due tipi: i grandi consumatori (grosse utenze industriali, o i distributori locali), che acquistano energia ad alta tensione (da 200 a 20 kW); gli utenti minori, che l’acquistano energia a tensione inferiore dai distributori. Si tratta di vedere se si vuole avere un mercato dell’energia in cui Enel è l’unico operatore, oppure uno in cui il prezzo viene fissato dall’incontro tra domanda e offerta del pool di acquirenti e venditori sulla rete ad alta tensione. In entrambi i casi si mantiene il prezzo unico, dato che comunque tutti i partecipanti al mercato pagano, a ogni istante, lo stesso prezzo. Ma solo se al mercato partecipano una pluralità di acquirenti è più probabile che il prezzo, oltre che essere unico, si avvicini ai costi. I consumatori che non desiderino acquistare spot, ma assicurarsi rifornimenti a prezzi definiti, stipulano contratti a lungo termine, dando così luogo a un mercato parallelo, analogo a quello dei futures.
Se dunque la liberalizzazione non è in contrasto con gli obbiettivi di politica economica del governo, se questo ha i modi almeno per preservare assetti liberalizzati di mercato, perché ciò non avviene?
Rivelatore è a tal proposito quanto hanno riferito i giornali da Napoli, in occasione del convegno organizzato da Telecom. Il ministro Gambino ha riconosciuto che fare il regolamento della legge 73 del 1991, che avrebbe lasciato ai privati stendere reti-cavo solo là dove Telecom non avesse trovato conveniente farlo, era veramente una «colossale rapina», come ebbi modo di commentare a caldo. Ma poi si è perso in una serie di discorsi che benevolmente si possono definire confusi: ha parlato di liberalizzazione anticipata rispetto al 1996 (che riguarda principalmente le dorsali interurbane e non le reti-cavo nelle città); ha parlato di negoziazione con il monopolista (?); di riequilibrio delle tariffe (a quando le riduzioni?) cosa che non c’entra; infine ha rimesso la palla a Bruxelles, sperando in una non si sa quanto grata vis. Stet, indossata la maglia liberista, accetta l’inevitabile per il traffico interurbano e prosegue a occupare le città: tanto di lì si dovrà comunque passare. Non credo che si possa essere accusati di prevenzione se si teme che, scampata la rapina, ci si prepari la truffa!
I fatti di Napoli dimostrano due cose: primo che questo governo tecnico è in realtà più legato al management dei monopoli pubblici e alle direzioni ministeriali che ne sono per lunghissima consuetudine l’obbediente braccio secolare, che non alle forze politiche che lo sostengono. Fatto da meditare quando si tratterà di definire le Authority, la loro autonomia rispetto ai ministeri (che non sono, con buona pace del Ministro Gambino, autonomi rispetto al mercato) e gli assetti di mercato concorrenziale che soli possono garantire che non diventino anch’esse captive dei monopoli, magari nel frattempo privatizzati.
Il secondo che il governo Dini evidentemente non vuole passare alla storia come quello che ha introdotto mercato e concorrenza in settori vitali dell’economia. Ma questa opportunità, proprio perché il governo non ha voluto coglierla, si offre ora alle forze politiche. Al Pds anzitutto, al quale, nonostante qualche incertezza tattica, dobbiamo documenti di esemplare correttezza: al Pds che ha qui la straordinaria occasione di confermarsi forza di governo di una grande economia moderna. Ma anche a Forza Italia: qualcuno, alla prossima campagna elettorale, potrebbe porle imbarazzanti domande su ciò che ha fatto per contribuire a realizzare almeno la parte meno controversa del programma liberista che tanto decanta.

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