dalla rubrica Peccati Capitali
La disoccupazione è il problema delle economie occidentali. Ciò che intuitivamente sembra che lo risolva, in realtà lo aggrava, e ciò che realmente lo risolverebbe è rifiutato come rischio, intollerabile pericolo. Anche la battuta di Mario Monti sulla monotonia del posto fisso riflette questa contraddizione: certo che un lavoro nuovo è più interessante, impegna di più, fa aumentare la produttività, ma per chi teme di restare senza lavoro ben venga la monotonia pur di portare a casa uno stipendio.
Due secoli fa Sismond de Sismondi scriveva dell’ingenuo “timore che un giorno il re , girando senza posa una manovella, potesse far produrre da automi tutto il lavoro dell’Inghilterra”; siamo vaccinati contro il luddismo; sappiamo che negli USA solo il 2% della forza lavoro è occupata nell’agricoltura e il 6% nell’industria manifatturiera: ma resta il timore che il lavoro possa sparire e che non ce ne sia per tutti. Molti lavori li ha spazzati via la crisi: nessuno, tanto meno il governo, sa quali sono quelli nuovi, sostenibili, cioè profittevoli. Solo gli imprenditori li possono trovare, incalzati dalla concorrenza, provando e riprovando, con successi e fallimenti. La soluzione keynesiana, investimenti pubblici per rilanciare i consumi, riproduce i lavori che la crisi ha reso non più profittevoli, e quindi rallenta il processo di scoperta di nuovi lavori sostenibili.
Anche la decennale battaglia sull’art. 18 risente di questa contraddizione. Il licenziamento per giustificato motivo economico è un ostacolo da rimuovere, ma serve solo se si rimuovono anche i disincentivi agli imprenditori alla ricerca di nuove strade. E sarà praticabile solo se il lavoratore verrà sostenuto durante la sua ricerca del nuovo lavoro.
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Michele Fronterre'
12 annoe fa
Gentile Dott.Debenedetti,
inventare nuovi prodotti, quindi nuovi bisogni (ché la modernità ha cambiato la consecutio del marketing) e favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese passa attraverso una cultura non conformista, non ordinata. Un contesto che favorisca la creatività. Fino a ieri le famiglie italiane, del Nord (meno) e del Sud, si sono fin indebitate pur di spingere i propri figli in percorsi universitari omologati ed omologanti. Ingegneria, Economia, ad esempio. Finendo con produrre giovani che sanno più o meno le stesse cose, che sanno più o meno le stesse lingue, e soprattutto che pensano di aver fatto tutto quello che gli era richiesto e che quindi si aspettano un posto di lavoro migliore di quello di mamma e papà.
E’ difficile di punto in bianco, solo con qualche affermazione da pluridecorati di diritti, creare il clima e lo streben dell’innovazione. Olivetti assumeva architetti per fare macchine da scrivere, oggi c’è posto solo, sì e no per MBA…
Ho letto di recente Laboratorio Israele (Ed. Mondadori) dove si parla della elevata concentrazione di start-up in Israele. Del programma Yozma. Del sistema (la sovrastruttura) con cui il piccolo stato più isolato e più migrante della storia si è organizzato per creare sviluppo e modernizzazione. Molti capitoli spiegano che tutte le teorie economiche e le sovrastrutture di cui sopra, nulla avrebbero potuto senza la tenacia del popolo israeliano. Quelle capacità che hanno, incise nel DNA, e che sono ben sintetizzate dalla storia di Shvat Shaked giovane leader della Fraud Sciences società specializzata in sicurezza informatica che fu acquisita dalla PayPal per 200 milioni di dollari.
Con viva cordialità,
Michele Fronterrè