Scusi Monti, i nuovi lavori li inventa Lei?

febbraio 7, 2012


Pubblicato In: Giornali, Vanity Fair


dalla rubrica Peccati Capitali

La disoccupazione è il problema delle economie occidentali. Ciò che intuitivamente sembra che lo risolva, in realtà lo aggrava, e ciò che realmente lo risolverebbe è rifiutato come rischio, intollerabile pericolo. Anche la battuta di Mario Monti sulla monotonia del posto fisso riflette questa contraddizione: certo che un lavoro nuovo è più interessante, impegna di più, fa aumentare la produttività, ma per chi teme di restare senza lavoro ben venga la monotonia pur di portare a casa uno stipendio.

Due secoli fa Sismond de Sismondi scriveva dell’ingenuo “timore che un giorno il re , girando senza posa una manovella, potesse far produrre da automi tutto il lavoro dell’Inghilterra”; siamo vaccinati contro il luddismo; sappiamo che negli USA solo il 2% della forza lavoro è occupata nell’agricoltura e il 6% nell’industria manifatturiera: ma resta il timore che il lavoro possa sparire e che non ce ne sia per tutti. Molti lavori li ha spazzati via la crisi: nessuno, tanto meno il governo, sa quali sono quelli nuovi, sostenibili, cioè profittevoli. Solo gli imprenditori li possono trovare, incalzati dalla concorrenza, provando e riprovando, con successi e fallimenti. La soluzione keynesiana, investimenti pubblici per rilanciare i consumi, riproduce i lavori che la crisi ha reso non più profittevoli, e quindi rallenta il processo di scoperta di nuovi lavori sostenibili.

Anche la decennale battaglia sull’art. 18 risente di questa contraddizione. Il licenziamento per giustificato motivo economico è un ostacolo da rimuovere, ma serve solo se si rimuovono anche i disincentivi agli imprenditori alla ricerca di nuove strade. E sarà praticabile solo se il lavoratore verrà sostenuto durante la sua ricerca del nuovo lavoro.

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