In Italia molti hanno accusato il governatore Fazio di essere alla testa del partito euro-scettico. In Germania, nel corso di tutta la campagna elettorale Schröder si è conquistato sul campo il titolo di eurofobo. Perché Kohl era troppo eurofilo, si diceva, anzi perché era il padre della moneta unica come condizione perché la riunificazione tedesca non inquietasse i partner europei. Ora che Schröder siede alla cancelleria tedesca è più che legittimo, oltre che curioso, fare un paragone a distanza tra la sua Germania e l’Italia in nome della quale ammoniva il governatore. Chi è il vero eurofobo? Uno solo, nessuno o tutti e due?
Cominciamo dal leader socialdemocratico tedesco. No, Schröder non era eurofreddo solo per contrapporsi a Cdu-Csu. Tale atteggiamento deriva invece da una precisa valutazione degli interessi e degli umori di un blocco sociale che la Spd mirava a conquistare stabilmente, come mai era riuscita a fare da vent’anni a questa parte. Un blocco che considera essere tre i pilastri fondamentali dell’identità tedesca: una Sozialmarktwirtschaft che tiri, un ruolo riconosciuto dei sindacati, e la forza sacrale del marco. Un blocco che unisce piccole e medie imprese del Mitteistand, strati popolari e lavoratori delle categorie più fortemente sindacalizzate. Il blocco che, fruendo e avvantaggiandosi dello Stato sociale più prodigo del continente, aveva ragione di ritenere che, qualunque cosa facesse l’Europa, non poteva che tradursi in un annacquamento del modello germanico.
Quella battaglia elettorale è stata vinta. E ora che è al potere, la coppia Schréder-Lafontaine con la sua proposta di armonizzazione dei salari chiede che l’intera Eurolandia si ponga agli standard tedeschi. Ma un’Europa basata sulla riproduzione dei costi tedeschi potrà anche rinfrancare il blocco sociale che ha decretato la vittoria socialdemocratica. Ma non è un’Europa che possa stare in piedi. Per questo i veri eurofobi non stanno certo a Palazzo Koch a Roma, ma a Bonn oggi e dalla prossima primavera a Berlino.
Fazio era ed è tutt’altra cosa. La franchezza dei suoi richiami al potere politico esprime la convinzione – suffragata dai fatti – che, in assenza di riforme strutturali, l’Italia intanto non può contare né sulla forza produttiva del modello tedesco, né sulla tradizionale spina dorsale della tecnocrazia francese. Ma questa convinzione nasce dal desiderio di entrare in un club per restarne membri, e non esserne domani magari sospesi. Per questo non ho dubbi. Il vero eurofilo è Fazio. Se l’Europa ha da temere, si guardi da chi attraversi i ponti della Sprea.
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gennaio 7, 1999