I massimalisti alla guida?
Almeno saranno chiare le colpe della prossima sconfitta
Non si può per lunga tradizione corteggiare gli intellettuali adornando cortei, palchi e appelli, per poi fare spallucce dicendo “che volete, è solo un cinematografaro” quando prendono la parola in piazza e sostengono tesi sgradevoli. Per questo, mi pare abbia poco senso usare le citazioni del Moretti regista contro il Moretti oratore di piazza Navona. Badiamo alla sostanza.
La ricetta politica che Moretti ha proposto – tornate all’union sacrée da Dini e Di Pietro a Bertinotti – gode di vasta cittadinanza in una parte del centrosinistra. Non la condivido, ma non mi scandalizzo. Piuttosto, Moretti è stato utile nel rivelare che ciò che lo angustiava – siete divisi, non vi capiamo – è clamorosamente vero.
Le tre figure di maggior rilievo su quel palco hanno ciascuno reagito parlando lingue diverse: D’Alema dicendo no alla sostanza della tesi di Moretti, Rutelli dicendo no al metodo, Fassino, senza dire né l’una né l’altra cosa, ha cercato di rabbonirlo invitando tutti a “mettersi in discussione”. Dove il problema non è quello della diversità di posizioni – il centro sinistra, si sa, è una somma di linee molto diverse – ma quello della crisi di leadership, perché in teoria proprio quei tre esponenti rappresentano la somma della “guida riformista” dell’Ulivo, nella sua componente margheritica e diessina.
Moretti ha solo, à la naif, provocato un cortocircuito pubblico. Tra il D’Alema che aveva promesso la rivoluzione liberale ( o anche solo la riforma delle pensioni), e poi ha fatto marcia indietro; ed è andato a marciare ad Assisi e poi si è lamentato di non aver trovato striscioni contro il terrorismo. Tra il Rutelli che benedice una divisione di compiti – la Margherita si occupi del centro, la sinistra della sinistra – e quello che così facendo risospinge i DS all’incontro con Rifondazione. Tra il Fassino che oggi si acconcia a compromessi con il correntone, e quello che solo ieri lo aveva battuto largamente al congresso parlando dei ds come partito socialriformista europeo.
Non c’ da stupirsi che, dalla crisi di leadership riformista del centrosinistra, a uscire rafforzata, nella rabbia dei militanti e nei corridoi della politica, sia la pulsione resistenziale che ispira ogni giorno gli editoriali dell’Unità e che guarda ormai esplicitamente a Sergio Cofferati come all’unico generalissimo Diaz capace di fermare i tedeschi invasori in una dura battaglia del Piave. Può essere allora che Moretti abbia ragione.
Anche chi , come me, crede che Berlusconi vada battuto parlando di programmi e conti alla mano, comincia a pensare che sarebbe forse più giusto e coerente che il centrosinistra venga guidato in questa fase da chi invece pensa che lo si debba fare gridando e appellandosi alle sentenze dei giudici. Almeno sarà più chiaro, nelle urne, di chi sono poi le responsabilità di una linea che già nel ‘94 portò alla sconfitta.
Meglio la solitudine del riformista, di cui anni fa parlava Federico Caffè, che leadership di facciata, incoerenti poi nell’esercitare la guida politica. Se ancora non sono bastate tante e rovinose sconfitte, a insegnare alla sinistra italiana che la linea vincente per governare una società avanzata dell’Occidente non è quella del massimalismo, vorrà dire che una di più ci avvicinerà forse a quel gran giorno.
Mi vengono i brividi pensando a cosa scriverebbe l’Unità di Gerhard Schroeder che, malgrado appaiato nei sondaggi da Stoiber, promette ufficialmente che non farebbe mai un governo con gli ex comunisti della Germania Est.
Non prendiamocela con Moretti. Le responsabilità sono altri ad averle.
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febbraio 8, 2002