Risposta all’articolo di Francesco Damato su Il Dubbio del 18 Maggio
È uno scambio di persona quello in cui è incorso Francesco D’amato sul Dubbio del 18 Maggio.
Quello che nell’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere “dà lezioni sul popolo al PD” è mio fratello. Ci vogliamo molto bene, ma io di nome faccio Franco e di cognome Debenedetti, tutto attaccato, lui Carlo e lui di cognome De Benedetti. Siamo entrambi ingegneri e nessun dei due è professore.
Tre volte sono stato eletto al Senato, prima con i Progressisti, poi con il PDS, il DS, l’Ulivo, l’Unione; ogni volta, in campagna elettorale, andavo anche nelle sedi del PCI, o come poi si chiamava, a spiegare (non dare lezioni) al popolo (non al partito, che già lo sapeva) ad esempio perché fosse conveniente abolire il famoso art. 18, necessario privatizzare. Ricordo la telefonata di Ciampi: “Franco, ho convinto Cofferati, la vendiamo tutta” (dove “la” sta per Telecom).
Carlo si considera tessera n.1 del PD, io la tessera l’ho presa solo per votare la mozione riformista di Morando al congresso di Pesaro, e poi l’ho lasciata scadere; quando ci sarà il congresso del PD conto di fare lo stesso.
Non suggerisco strategie, cerco di dimostrare le opinioni che esprimo: ad esempio che le diseguaglianze non sono il problema, lo è la fame: di cibo e di idee.
di Francesco Damato – Il Dubbio – 18 Maggio 2022 L’editore ha puntato il dito contro le scelte dei dem. Magari ora accorderà ai “baroni” del Nazareno qualche supplemento serale di lezione.. Non è la prima volta che Carlo De Benedetti si esprime negativamente sul Pd di cui pure rivendicò la tessera d’iscrizione numero 1 sentendosi a casa sua col fondatore e primo segretario Walter Veltroni. Di cui condivideva appieno la vocazione cosiddetta maggioritaria, che avrebbe dovuto liberarlo di tanti alleati minori e fastidiosi, già costati la vita al primo governo di Romano Prodi, e ne avrebbero di lì a poco demolito anche il secondo. Peccato che, oltre a non prevedere, o addirittura a volere – come qualcuno lo accusò – anche la seconda decapitazione di Prodi, l’ancor fresco primo segretario del Pd derogò subito alla vocazione maggioritaria apparentandosi elettoralmente con Antonio Di Pietro. Che non gli portò molta fortuna, facendogli peraltro lo scherzo di rimettersi subito in proprio con gruppi parlamentari autonomi, nella presunzione – disse, ahimè ascoltato di marciare divisi per meglio colpire uniti. Sono finiti come sono finiti l’uno e l’altro: l’uno, Veltroni, avendo tuttavia il paracadute della cultura che gli ha permesso di produrre film, libri, editoriali del Corriere della Sera di tutto rispetto, l’altro dividendosi fra uno studio legale di cui ho letto e sentito parlare assai poco, meno comunque di quanto mi fossi aspettato, e le sue raccolte d’olive, nella mitica Montenero di Bisaccia. Che hanno fatto da sfondo a tante rievocazioni giornalistiche delle sue ormai lontane gesta di magistrato. Accusato all’inizio di una lunga intervista ad Aldo Cazzullo con cui ha voluto tornare al capezzale del grande ammalato, di avere «conquistato la borghesia», a cominciare da lui che spero non si offenda a sentirsi definire borghese, e di avere «perso il popolo», il Pd è stato rappresentato dall’editore di Repubblica e ora di Domani come «un partito di baroni imbullonati da dieci anni al governo senza aver mai vinto un’elezione». E «la segreteria Letta» ancora in carica per il disbrigo degli affari congressuali «un disastro». E il Pd, ancora lui, modellato a sua immagine e somiglianza dall’ex presidente del Consiglio ritiratosi per un po’ a Parigi per dimenticare Matteo Renzi che lo aveva sgarbatamente rimosso da Palazzo Chigi, «arrogante», «supponente» e responsabile, con la sua corsa solitaria nell’ultima campagna elettorale, della «vittoria della destra». In verità, qualche compagno o amico di strada Enrico Letta l’ha cercato e voluto riuscendo pure a trattenere, diversamente da Carlo Calenda e Matteo Renzi ritrovati solo per pochi giorni. Il segretario del Pd li ha perduti preferendo a loro la minuscola sinistra di Nicola Fratoianni e l’altrettanto minuscolo verde Angelo Bonelli. Ma De Benedetti forse non se n’è accorto, come anche di Emma Bonino e di Benedetto Della Vedova incollati al + di Europa, non del loro elettorato. Neppure la scelta preferenziale di Mario Draghi non dico come alleato, perché non era nella partita elettorale, ma come una persona abbastanza competente e autorevole sul piano internazionale per vantarsi di sostenerlo, è stata giusta secondo De Benedetti. È stato – ha detto – come «guardare al passato», anziché al «futuro» di cui hanno «bisogno» gli italiani. E così l’ingegnere ha sistemato anche l’ex presidente della Banca Centrale Europea. Volete mettere la capacità divinatoria e accattivante di Giuseppe Conte da Volturara Appula? Le 5 Stelle sì erano la scelta giusta, rifiutata per la già citata arroganza e, in più, per «stupidaggine». Forte di tutto questo armamentario polemico e accademico, in senso professorale, di scuola politica a cominciare dall’abc, De Benedetti ha concesso qualche consiglio salvifico per almeno il futuro immediato. È quello, per esempio, di lavorare subito per far «cadere Matteo Salvini» sposando la candidatura di Letizia Moratti alla presidenza della Lombardia, e con lui l’intero governo «disastroso», «obbrobrioso» e quant’altro che porta il nome di Giorgia Meloni. La quale avrà pure incantato, con o senza la sua figliola Ginevra, qualcuno al G20 di Bali, a cominciare dal presidente degli Stati Uniti tanto ammirati, anzi amati da De Benedetti, ma rimane una sprovveduta, a dir poco, che aveva scambiato Emmanuel Macron per uno che «deve governare l’immigrazione nel Mediterraneo» e non la Francia, dove «ha una forte opposizione di destra, con Le Pen e Zemmour». Con questo pò pò di avversari in patria, anzi in Patria con la maiuscola, «era chiaro – ha mandato a dire De Benedetti del presidente francese alla premier italiana e ai suoi ministri – che gli sarebbero saltati al collo con una nave che era al largo delle coste italiane. Eppure l’ha fatto. E il governo italiano ha dimostrato un’ignoranza politica tremenda. Ha perso un alleato, con un errore che un bambino delle elementari avrebbe evitato». Torniamo insomma all’abc. «Una figura da cioccolatai», ha detto ancora l’ingegnere senza spiegarci che cosa mai gli abbiano fatto in fondo i cioccolatai. Mah, vedremo se De Benedetti accorderà ai «baroni» del Nazareno anche qualche supplemento serale di lezione su come uscire dalla crisi in cui si sono cacciati. Certo, di solito ai partiti non piace farsi dare lezioni da fuori. Se ne accorse a suo tempo addirittura Eugenio Scalfari, d’accordo con l’allora amico ed editore De Benedetti, consigliando al Pds- ex Pci di votare Giovanni Spadolini al Quirinale piuttosto che Oscar Luigi Scalfaro. Quelli, i post- comunisti, fecero il contrario. Era il 1992. E da lì ne nacquero di cose.
Ora il “professor” De Benedetti si mette pure a dare lezioni sul popolo al Partito democratico
novembre 22, 2022