ROMA – Tra un’autostrada digitale e una vecchia accidentata corsia corre una bella differenza. Più o meno la stessa che correrebbe tra chi all’interno della maggioranza e del governo è da tempo un autorevole seppure ufficioso sponsor dello scorporo della rete Telecom e chi, su questo tema, usa molta moltissima cautela. Smentite a parte, è innegabile che, da oltre un anno, nell’entourage del viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani si discuta di questa opportunità in nome dell’”italianità”, anche come possibile tassello di un puzzle più ampio che condurrebbe alle nozze con la spagnola Telefonica.
Anche una delle ipotesi del famigerato piano Caio sulla banda larga prevedeva la separazione societaria della rete fissa di Telecom Italia per passare dai vecchi cavi in rame all’autostrada in fibra, con possibile intervento tra gli altri della Cassa depositi e prestiti. A sposare questa tesi anche un esponente di peso della maggioranza come Mario Valducci, presidente della Commissione Trasporti e Tlc della Camera. Ma non solo: la prospettiva di risolvere in un colpo solo le ambasce societarie di Telecom e il ritardo italiano nella tecnologia a banda larga è stata presentata anche a piani molto più alti, fino a Palazzo Chigi. La nota diffusa ieri dalla presidenza del Consiglio fa cadere tuttavia ogni ipotesi «di incontro, contatto, o paletto» posto all’operazione. Oggi il governo dovrebbe comunque intervenire in Aula al question time alla Camera richiesto da un’interrogazione di Linda Lanzillotta (Api).
Per l’operazione, con conseguente spin-off dell’infrastruttura di tlc, manca almeno un tassello di fondamentale importanza. Dal ministero dell’Economia trapela infatti un’evidente perplessità su un progetto che, al di là dell’architettura societaria, così come prospettato avrebbe ricadute significative in termini di intervento pubblico. E al momento, in questo quadro finanziario e con i rischi di code della crisi, la banda larga non sembra essere tra le grandi priorità del paese.
Se l’ipotizzata fusione dovesse accompagnarsi alla creazione di una società ad hoc per la rete, occorrerebbero massicci investimenti per ammodernare il network fino a velocità da oltre 50 megabit al secondo. Un impegno difficile da far sostenere solo a un investitore privato. Significherebbe, in sintesi, attivare un grande piano nazionale per la rete di nuova generazione da alimentare anche con il supporto del Tesoro attraverso la Cassa depositi e prestiti: ecco tornare d’attualità il progetto Caio e, andando a ritroso, addirittura il vecchio piano Rovati del governo Prodi. L’unica alternativa per allestire un vero network in fibra ottica – aprire cioè l’azionariato della società della rete ad altri investitori privati (operatori tlc o media) – inciamperebbe probabilmente nel veto di Telefonica oltre a comportare notevoli problemi di gestione industriale e politica (nel caso di un coinvolgimento di Mediaset).
La creazione di una società per la banda larga, ipotesi di cui ha parlato anche il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola una decina giorni fa, appare insomma un’opzione molto complicata. E, senza certezze su questo punto, il progetto delle nozze Telecom-Telefonica resterebbe su carta.
C.Fo.
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