È possibile una rifondazione senza rivoluzione? E’ possibile trovare, fuori da una prospettiva rivoluzionaria, la forza creativa delle soluzioni radicali, delle visioni utopiche, della sensazione esaltante ed unificante di star scrivendo un capitolo di storia?
In Italia anche quelli che, vent’anni fa, scandivano slogan sullo Stato borghese che «si abbatte e non si cambia» hanno acquisito, con la maturità, un maggior senso della realtà politica.
Ma non si può neppure restare paralizzati di fronte al susseguirsi di rivelazioni, reagire solo con un au-mento della temperatura emotiva alla quotidiana dose di drammatici avvenimenti. Mentre proprio i momenti di crisi possono essere, nelle imprese come nella società, occasioni di grande mobilitazione di energie, di superamento di divisioni, di inventiva e di creatività.
Una prospettiva di rifondazione non si può basare solo sul pentimento, che la cultura cattolica ci ha abituati a considerare un requisito per ottenere l’assoluzione; nella formula canonica del «vai in pace e non più peccare» siamo abituati a cogliere grati la prima parte e a riservare alla seconda un indulgente scetticismo. Non si può basare neppure su un più laico sentimento di vergogna, che pure implica un maggior grado di approfondimento e di consapevole giudizio su fatti e comportamenti.
La questione morale è un prerequisito, necessario ma inadeguato a un obbiettivo di rifondazione. La totale riduzione della politica ad etica comporta il rischio del fondamentalismo, con possibili esiti reazionari. Se è inaccettabile la cinica considerazione che i la corruzione è sempre esistita e che in qualche misura è probabilmente ineliminabile in ogni società, è pur vero che la corruzione diventa «scandalo» solo quando ingiustificabile, o incompatibile, diventa il sistema in cui si è radicata. Le scarpe di Imelda diventano allora il simbolo intollerabile dell’intollerabile regime di Marcos, le «collezioni» di Nicu il simbolo ripugnante della ripugnante dittatura di Ceausescu.
E’ vero ciò che dice Craxi: le storie di corruzioni le abbiamo sempre sapute: chi ha mai dubitato che l’affare EniPetromin fosse solo un’invenzione dei giornali? E’ la crisi del sistema partitocratiche che ha reso intollerabile lo spettacolo della corruzione. Se il rigetto fosse dovuto solo a saturazione, la misura era già colma da tempo. Franco Cazzola (Della corruzione, Il Mulino) analizza il fenomeno sulla base delle statistiche giudiziarie, delle notizie dei quotidiani, delle autorizzazioni a procedere: a leggerlo, sembra oggi, ed era solo il 1988. Se la magistratura ha trovato la strada per applicare. con successo il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, e le forze dell’ordine quella che porta ai rifugi dei latitanti, è stato grazie ai referendum e all’emergere di nuovi soggetti politici. E a questo proposito sarà pure il caso di ricordare, aldilà di responsabilità ‘ di singole imprese e imprenditori, l’adesione della Confindustria al movimento referendario, e quindi il suo contributo alla messa in crisi del sistema partitocratico.
Perché ci sia rifondazione noti bastano la questione morale, e neppure le riforme strutturali, su cui c’è ora (a parole almeno) universale consenso: la riforma elettorale; l’eliminazione delle posizioni di monopolio e di limitazioni della concorrenza (che sono ragione e significato delle privatizzazioni); la ricostruzione di una struttura amministrativa e statuale che si riappropri delle funzioni occupate dalla burocrazia partitica.
Si avrà rifondazione quando si abbandoneranno i tatticismi, le prassi del «troppo poco troppo tardi» che ancora in questi giorni segnano l’azione politica; quando il coraggio dell’invenzione prevarrà sulle ragioni della continuità.
Si ha rifondazione se si riconosce che corruzione è anche il giustificare i mezzi (certi) per i fini (supposti), il votare turandosi il naso, l’accettare in modo passivo, quando non connivente, uno stato di cose, il giudicarlo sostanzialmente immodificabile; quando non si consente che la situazione degeneri in assuefazione allo scandalo: la «stanchezza» di Di Pietro rimanda anche alla nostra stanchezza. Con gli arretramenti progressivi, con le ritirate strategiche, con le ammissioni tardive e parziali si avrà, invece della vitalità della rifondazione, il lento sprofondare nella rassegnazione.
Il costo della corruzione non è solo quello delle «mazzette», di cui alcuni stanno facendo il conto, o quello, assai più cospicuo, delle decisioni sbagliate, degli investimenti fatti al solo scopo di produrre tangenti: è anche nelle energie individuali sprecate, nello spirito di iniziativa frustrato da un sistema distorto nei valori e nei criteri decisionali. Rifondare è anche riconoscere le grandi possibilità di questo Paese, una volta che si sia liberato da questi costi e da queste costrizioni. E’ far proprio il compito che Giorgio Ruffolo indicava alla sinistra: «Esigere che il consenso sociale si fondi sui principi oltre che sui risultati, e che questi siano compatibili con quelli».
febbraio 15, 1993