Energia, telefoni e TV
Il controllo proprietario delle reti deve essere pubblico o privato? La vendita di quote di Terna e di Snam Rete Gas, la multa comminata dall’Antitrust a Telecom, hanno riportato alla ribalta il problema delle reti, e dato vita a un singolare, preoccupante revival. Il mito della superiorità pubblica dei servizi erogati al pubblico, cacciato dalla porta con le grandi privatizzazioni, sembra rientrare dalla finestra con le reti.
Esse offrono la possibilità, a chi ne abbia interesse economico, di bloccare la concorrenza nel settore dei pubblici servizi con un impegno finanziario relativamente modesto; e a chi ne abbia interesse politico, di battersi per il controllo pubblico senza considerarsi statalista. (Quando ci si batteva per la privatizzazione dell’Enel, pensai che potesse essere tatticamente controproducente chiedere la privatizzazione anche del trasporto, che nella filiera dell’energia rappresenta solo il 4% del costo totale: è stato un errore da matita rossa).
Vale dunque la pena fare alcune riflessioni sul tema in generale. Senza liquidarlo con assunti apodittici (del tipo che dove c’è monopolio naturale, il controllo deve essere pubblico). E senza imporre, per analogia, il one size fits all, un unico schema per tutte le reti, dalle ferrovie alla televisione, dall’elettricità alla telefonia: ognuna è invece un oggetto diverso, per struttura fisica, per tecnologia, per mercati.
Generali sono solo gli obbiettivi: concorrenza ed efficienza. Il primo richiede di evitare che interessi dominanti colludano a vantaggio proprio e per escludere nuovi entranti. Il secondo richiede che si individuino in modo preciso i beni pubblici – tipicamente il livello del servizio e quello degli investimenti – che il mercato non potrebbe assicurare, in quanto esistono monopoli, naturali o di fatto. Definirli e farli rispettare è compito di authority e di ministeri: tanto nel caso in cui la proprietà è privata, quanto in quello in cui è pubblica.
Generale, e garantito da norme comunitarie e nazionali, è l’accesso non discriminatorio alle essential facility; ma, dato che certe categorie di azionisti privati avrebbero interesse a cercare di aggirarle e mettere in atto comportamenti collusivi per escludere dei concorrenti, meglio escludere dalla proprietà, con norma a statuto, chiunque sia in conflitto di intereresse. Il privato è di solito più efficiente del pubblico nel raggiungere gli obiettivi, e il pubblico è più efficiente nel sanzionare gli inadempimenti se la proprietà è privata.
Vediamo ora come queste considerazioni generali si applicano alle varie reti.
- Reti di trasporto di energia.
Quelli del gas e dell’elettricità sono due mercati molto diversi: l’energia elettrica è per la maggior parte prodotta in Italia, il gas è quasi tutto importato; l’Enel è dominante nell’elettricità, ma ci sono un certo numero di altri produttori; il gas è importato quasi tutto dall’ENI, o da operatori a cui l’ENI ha ceduto i suoi contratti. Su entrambi i mercati vigila un’autorità indipendente che fissa livelli di servizio e prezzi. Una volta che ci si sia premuniti contro un uso discriminatorio delle reti, escludendo dall’azionariato produttori, importatori e rivenditori di elettricità e di gas, perché mai i proprietari non dovrebbero perseguire il proprio vantaggio, e quindi cercare di aumentare il numero dei propri clienti e volume della propria attività? Non c’è dunque ragione alcuna perché lo stato mantenga anche solo un’azione delle società proprietarie delle reti. - Telefonia.
La rete telefonica è anche un oggetto fisico, cavi, ponti radio, transponder su satelliti, ma è essenzialmente un insieme di calcolatori su cui girano programmi SW che gestiscono l’indirizzamento dei bit di informazione da un terminale a un altro. In questo senso un’azienda telefonica coincide con la sua rete. Si è molto dibattuto sui costi e benefici di una separazione strutturale, anche a livello proprietario, del local loop, l’ultimo miglio, il doppino (o la fibra) che esce dall’ultima sottostazione ed entra nelle case e negli uffici. “I benefici di una separazione strutturale sono incerti, mentre i costi sono certi e potenzialmente elevati” è la conclusione di un rapporto dell’OECD dell’Ottobre 2003: “Sembra preferibile continuare con l’approccio di regolazione in uso, con miglioramenti appropriati e rafforzato da sanzioni”. Anche nell’ultimatum di Ofcom a BT perché cessi le sue pratiche discriminatorie verso i concorrenti, la minaccia è di obbligarla a vendere le attività retail, non la rete o pezzi di essa. - Televisione.
La rete televisiva è quella più capillarmente diffusa, raggiunge praticamente tutte le case italiane. Il segnale, radio o TV, proveniente dagli studi viene trasportato, via cavo, ponti radio, satelliti, fino ai tralicci e ai trasmettitori che li irradiano. In ogni parte d’Italia si ricevono circa 20 programmi televisivi e mille programmi radiofonici grazie a un sistema di 4700 siti. 1800 sono di proprietà Rai, 800 Mediaset, il resto di privati. Mediaset ha già iniziato a cedere una parte dei suoi impianti. E così è nata la DMT, di recente approdata con successo in Borsa. Gli impianti fissi della Rai fanno capo formalmente a Raiway. La vendita di Raiway, bloccata dal Ministro Gasparri, è vantaggiosa sia per la Rai, per cui è un non performing asset, sia in generale, perché la Rai non consente di fatto ai suoi concorrenti l’accesso ai tralicci.
Dato che ne ho sentito parlare, è il caso di dire chiaramente che non esiste nessun interesse pubblico per immaginare una struttura unica, una sorta di ammasso dei tralicci, magari a controllo pubblico, a cui tutti dovrebbero apportare tutti i propri impianti. Non c’entra nulla neppure una eventuale razionalizzazione delle frequenze: perché proprietà dei tralicci e concessione delle frequenze sono due cose completamente distinte; e perché l’Italia è riuscita ad usare lo spettro assegnato alla Tv in modo estremamente efficiente, un modello studiato e imitato anche da altri Paesi. Un sistema di operatori di rete in concorrenza tra loro darebbe vita a un mercato degli accessi ai tralicci proprio nel momento in cui inizia lo sviluppo del digitale terrestre.
Non esiste nessuna sinergia né tecnica né economica tra reti telefoniche e reti televisive. Si parlò di sinergie, quando Giovanni Billia era direttore generale della Rai, per giustificare il progetto di vendere la rete di trasporto Rai alla Stet: sperava, divenendo custode dei tralicci nazionali, di allontanare da sé lo spettro della privatizzazione. Si scrive sinergia e si legge politica.
E già che parliamo di reti e di politica, di pubblico e di privato, sarà il caso di ricordare che nel nostro sistema telefonico tutto privato rimane ancora l’anomalia di Wind, controllata dal Tesoro, tramite Enel.
Un’avventura sballata, quella di Wind: frutto dell’ambizione di Franco Tatò, in contrasto con la politica di privatizzazioni portata avanti da Ciampi, diabolicamente proseguita con lo sconsiderato acquisto di Infostrada, ha richiesto all’Enel tra debiti e capitale 17 mld di euro. Oggi il valore stimato è nettamente inferiore: basta confrontare Wind con TIM che capitalizza 34 mld e che ha il 50% del mercato. Quando le differenze sono così macroscopiche non c’è da sperare di poterle colmare prendendo tempo, anzi c’è il rischio che aumentino in un mercato sempre più competitivo. L’Enel esca del tutto da Wind, lo faccia rapidamente, senza costruire papocchi per diluire l’impatto negativo sul suo bilancio. Da un’azienda pubblica si può pretendere che dia il buon esempio: anche quello ha un valore.
novembre 23, 2004