Se con il 14 Dicembre avesse inizio l’era del post berlusconismo, che ruolo vi avrà la sinistra? Se si andasse a un Governo di destra, guidato da una personalità diversa da Berlusconi, i voti della sinistra, contrariamene a quanto ebbe a dire Pierluigi Bersani, non sarebbero neppure necessari. Se invece lo scenario fosse quello di un governo sostenuto da una maggioranza contrapposta alla Lega e a quel che resterebbe del PDL, i voti della sinistra sarebbero numericamente necessari ma politicamente poco significativi. Infatti chi si dichiara disposto a tutto pur di liberarsi di Berlusconi non può porre altre condizioni al tavolo della trattativa con gli alleati. Quindi in entrambi gli scenari prospettati, e per il tempo che essi dureranno, il peso politico della sinistra sarà modesto.
Può apparire paradossale, ma questa sarebbe una condizione favorevole per la sinistra. Stare dentro una coalizione, costretto a una lealtà di cui non si può dubitare, il ridotto peso politico consente grande libertà di idee. Libera dall’incubo di Berlusconi e senza grandi responsabilità politiche, la sinistra si troverebbe nella condizione migliore per definire la propria identità e il proprio programma. Proprio quello che finora non le è riuscito di fare. Saprà approfittarne?
In passato c’era l’ossessione Berlusconi a limitare la libertà di movimento e a mettere fuori legge opzioni programmatiche, con una virulenza ben superiore a quanto richiesto dalla dialettica maggioranza opposizione. Il pericolo è che la sinistra non riesca a liberarsi di quella ossessione neppure quando Berlusconi non sarà più sulla scena, e non per isteresi o per pigrizia mentale, ma per esplicito disegno politico. Si intercettano umori diffusi nella sinistra sostenendo che il ciclo politico a cui porre termine è cominciato 25 anni fa, e non nel 1994 (Eugenio Scalfari il 7 Novembre su Repubblica), che non basta che “il suo regno, la sua epoca [siano] morti”, dato che “il ventennio che abbiamo alle spalle è infinitamente più serio”, per cui è necessario riprendere la storia da prima che Berlusconi iniziasse a “cambiare radicalmente il profilo antropologico degli italiani”, a produrre il “maciullamento delle menti” (Barbara Spinelli 10 giorni dopo), che perfino il linguaggio è “segno di una malattia degenerativa della vita pubblica” (Gustavo Zagrebelsky). Proponendo cioè un programma di restaurazione. Ma sono proprio i propositi di restaurazione ad aver fatto perdere al centrosinistra la “Guerra dei Trent’Anni”, quando tutte le proposte che via via vennero presentate per dare un assetto regolamentare alla televisione commerciale furono fatte naufragare con la richiesta pregiudiziale del ritorno a una situazione precedente: “non si può fotografare l’esistente”, si diceva. 25 anni fa era il 1985, l’anno della sentenza oscurantista dei pretori e del decreto Craxi. Chi si vantava di interpretare la modernità oggi si propone di ritornare alla preistoria.
Se invece si guarda alla storia, l’unica esperienza positiva della sinistra è stata il primo governo Prodi, il più serio progetto di riforme legislative e di assetto costituzionale in cui si sia impegnata. La sinistra che fece uscire lo Stato dalla maggior parte delle attività industriali, e dalla totalità di banche e assicurazioni, ebbe il coraggio di realizzare la prima liberalizzazione del mercato del lavoro e di tentare pure quella della giustizia, vedeva il discrimine tra prima e seconda Repubblica nella scelta in favore della concorrenza: concorrenza nei mercati con le privatizzazioni, concorrenza tra le forze politiche con il maggioritario. Chi allora si adoprò per creare gli strumenti di legge atte a governare la prima (authority, legge Draghi, privatizzazioni), e si attivò perché fosse modificata la legge per radicare la seconda (referendum per l’eliminazione della quota proporzionale), trova inaccettabile che ora la sinistra, pur di far fuori Berlusconi, sia disponibile a compromessi che farebbero regredire il Paese, probabilmente per decenni, ai nefasti delle consociazioni, del proporzionale, dei governi fatti e disfatti in parlamento.
Oggi è possibile vedere i limiti di quell’esperienza: nelle storie, delle persone e dei partiti, che in quell’esperienza confluirono, nella difficoltà di delineare un quadro in cui dare le proprie risposte alle aspettative del Paese. Quelle le aveva già captate Berlusconi. Poi Berlusconi non le ha soddisfatte, e, nell’ipotesi da cui siamo partiti, è uscito di scena. Così diventano possibili risposte che la sua presenza rendeva poco praticabili. Che la sinistra trovi il modo di usare questo spazio per darsi identità e politica, non è per nulla certo, diciamo pure improbabile. Ma è del tutto impossibile che ci riesca se vuole prima rimettere le lancette dell’orologio indietro di 25 anni, e rinnegare quel poco o tanto di buono che ha fatto negli ultimi 15.
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