Fare industria con i soldi di tutti
«Anche nelle maggiori ristrettezze, i denari del pubblico si trovano sempre, per impiegarli a sproposito». Alessandro Manzoni conosceva così bene il nostro carattere nazionale (tendiamo facilmente a dimenticare che il denaro pubblico è nostro), da meritarsi la citazione d’apertura nel nuovo libro di Franco Debenedetti, vera e propria biografia di un’idea (anzi, di «un’insana idea», come è definita nel sottotitolo). L’idea è quella della «politica industriale», e cioè di una «politica in cui l’attività industriale è svolta più o meno direttamente dal potere pubblico», che ha percorso la storia d’Italia da Giolitti a Renzi, e che ancora oggi resta popolare sia nel senso comune di molti italiani sia nella prassi di tanti politici. La convinzione insomma che tocchi allo Stato “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti” della competizione economica (come nel titolo del volume in libreria da oggi per Marsilio).
Il ministero dello sviluppo è da chiudere
Dimesso un Papa se ne fa un altro: figurarsi un ministro. Uscita di scena Federica Guidi, l’interim a Renzi sarà breve, guai a restare senza un «ministro dello Sviluppo Economico».Ma davvero?
Se guardiamo ai tassi di crescita degli ultimi vent’anni, il «ministro dello Sviluppo» parrebbe la più comica delle figure. Lasciamo al lettore di passare in rassegna nome e cognome degli ultimi, per dire, cinque affittuari del dicastero. Tutti specialisti ferratissimi nella convocazione di tavoli di lavoro. Lo «sviluppo economico», però, è «non pervenuto» o poco ci manca.
Più che sostituire il ministro, allora, servirebbe un po’ di realismo: chiudiamo il ministero.
Leggi il resto.
Sviluppo economico: serve un ministero che distribuisce soltanto sussidi inutili?
Davvero serve un ministro per lo sviluppo economico? Una volta si chiamava ministro dell’industria. Il ruolo fu occupato da personaggi di grande autorevolezza, da Romano Prodi a Giuseppe Guarino. Era il fulcro della «politica industriale» del governo, il luogo dove si dirigeva, meglio ci si illudeva di dirigere, la strategia industriale del Paese. Una «idea insana» come l’ha ben definita Franco Debenedetti nel suo libro recente (Scegliere in vincitori, salvare i perdenti, Marsilio). Poi cambiò nome, ma le illusioni non vennero meno. «Diciamo chiaro e tondo che chi rifiuta il termine politica industriale è un disfattista», disse il primo ministro per lo sviluppo economico, Pier Luigi Bersani.
Leggi il resto.
Franco De Benedetti ci ricorda il giustizialismo, quando «il controllo di legalità diventa controllo di virtù e il pm un eroe e un educatore»
Non è per abbattere il capitalismo, né per correggerlo, ma nell’illusione d’essere il capitalismo vero, il solo equo e giusto, che la «politica industriale» italiana ha messo il mercato alla gogna per quasi un secolo, da Mussolini fino a tempi recenti (anzi fino a oggi, con tentacoli che già frugano nel prossimo futuro). Fenomeno globale, l’«idea insana» che la politica, meglio del mercato, meglio cioè delle persone che interagiscono tra loro esplorando tutte le possibili strade della produzione, della creatività e della convivenza, possa organizzare l’economia della nazione attraverso un sistema «arzigogolato» di premi e punizioni è un’idea che ha avuto successo soprattutto in Italia, dove a dispetto delle disgrazie che ci ha tirato addosso, dal debito pubblico alle culture del cartellino da timbrare in mutande, è diventata senso comune.
Leggi il resto.
Franco Debenedetti: la politica industriale è la rovina dell’Italia
«La politica industriale? Un’idea insana». A dirlo, e a scriverlo in un libro appena uscito intitolato “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti» (Marsilio) è Franco Debenedetti, uno che ne sa qualcosa. Dall’azienda di famiglia, alla Gilardini, alla Fiat, all’Olivetti, alla Sasib; poi senatore per il Pds e l’Ulivo dal 1994 e il 2006, autore di numerose pubblicazioni su temi economici e politici, Debenedetti è uno che ne ha viste parecchie. E nel suo libro, ne ha per tutti. Per i partiti della prima repubblica e per la loro idea di «capitalismo delle partecipazioni statali». Per la stagione delle privatizzazioni degli anni ’90, e per quelle aziende «che non erano private, anche se privatizzate», come Telecom. Soprattutto, per quel che accade oggi e per il governo Renzi «che in realtà non vuole privatizzare un bel nulla». In sintesi, per la caratteristica tutta italiana di pensare all’economia come un affare di Stato, quella che causa guai come quello che ha coinvolto il ministro Guidi: «Se il governo ha dei poteri d’intervento molto pesanti sul modo di condurre business, ogni cosa può diventare scivolosa», dice a Linkiesta.
Leggi il resto.
Esiste una politica industriale?
Per pura coincidenza temporale, il saggio di Franco Debenedetti (Scegliere i vincitori, salvare i perdenti. L’insana idea di una politica industriale, Marsilio, pp. 335 €18) esce proprio mentre, da un lato, le cronache politiche e giudiziarie trattano di episodi (veri e presunti) di intervento pubblico particolaristico nella politica industriale e, da un altro, del Documento di Economia e Finanza (DEF) e del Programma Nazionale di Riforma (PNR) impongono a Governo e Parlamento di porsi la domanda profonda e inquietante nella copertina del volume: è “insana” l’idea stessa di politica industriale?
Leggi il resto.
Stato padrone e politica industriale
Lo Stato padrone non è più la soluzione, e secondo alcuni forse non avrebbe mai dovuto esserlo. Anche se viene da chiedersi se lasciando fare solo ai privati avremmo avuto le autostrade e le linee ad alta velocità, l’Eni, una produzione siderurgica in grado di sostenere l’industria metalmeccanica, una non marginale presenza nell’aeronautica, nella difesa e nello spazio.
Leggi il resto.
Debenedetti o i miti rudimentali dell’inesistente uomo economico
Franco Debenedetti è nato nel 1933, come l’Iri. Dopo 83 anni poliedrici – figlio di un industriale, ingegnere nucleare, manager nelle aziende di famiglia e non solo, senatore dell’Ulivo – scrive un’appassionata invettiva contro il gemello putativo, l’Iri appunto, che incarna “l’insana idea della politica industriale”.
Leggi il resto.
L’appassionata e documentata cavalcata di una vita, di Franco Debenedetti, contro il suo mortale nemico: la politica industriale
«Scegliere i vincitori, salvare i perdenti» è un libro di Franco Debenedetti (complimenti a Marsilio per averlo pubblicato). Essendo Franco amico da sempre mi è vietato recensirlo (l’ha già fatto su questo giornale, da par suo, Diego Gabutti) ma parlarvi di lui e del suo libro posso, visto che mi cita pure. Immagino che questo, fra i molti, sia il libro della vita, il taglio e la struttura del racconto sono tipicamente anglosassoni, ma i fondamentali dell’autore sono svizzeri tedeschi (ha studiato a Lucerna), di più, Franco appartiene alla prima covata di ingegneri del Politecnico di Torino a specializzazione elettronica, ingegneristico è il suo rigore.
Leggi il resto.
Politica industriale, l’insana idea dello Stato padrone
Una delle idee ricorrenti di chi ci governa e caratterizza il pensiero diffuso di chi viene governato, è che in Italia manchi una politica industriale.
In quanti salotti, trasmissioni televisive o sedute da bar avete sentito questo binomio magico? Politica industriale. Ecco, se in un aspetto si può dire che Gramsci abbia vinto è quello di aver sostituito un’egemonia culturale borghese (tutta da dimostrare) con quella collettivistica.
Leggi il resto.
Stato imprenditore o mercato, una questione da Unione Europea
La politica industriale ha quasi un secolo di vita, in Italia risale al 1930, e da allora non si è mai spento il fuoco della dicotomia Stato-mercato, mano pubblica e mano privata, a proposito dell’economia da sviluppare nel Paese. Sicuramente fu il fascismo, come ricorda nel suo libro “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti” (edizioni Marsilio) Franco Debenedetti, a introdurre l’idea dello Stato imprenditore.
Leggi il resto.
Quella pia illusione chiamata politica industriale.
Nostra Signora la Politica Industriale: ce la immaginiamo un po’ come una di quelle madonne barocche portate in processione sulle spalle dai nostri politici sudati ed ansimanti, una “Madonna del petrolio” che porta addosso un gran numero di monili e gioielli che i fedeli ringraziano con ex voto, a testimonianza di una grazia esaudita.
È questa l’immagine della politica industriale che ci ha evocato il bellissimo libro di Franco Debenedetti Scegliere i vincitori, salvare i perdenti (Marsilio, pp. 336, euro 18).
Leggi il resto.
Gli indecisi della mano (in)visibile
«La capacità del mercato di autoregolarsi sembra ancora meritevole di fiducia», anche nei misteriosi e nuovi scenari del mondo digitale, perché la tecnologia, «dacché c’è storia» ha sempre «rimescolato le carte per nuove mani in giochi nuovi». La domanda ultima e ovvia del liberista, che si chiede «da noi quanto ha pesato la prevalenza/presenza dello Stato in economia nel limitare orizzonti, frenare entusiasmi, cercare convenienze, ergere difese?» ha però una risposta inattesa, tutt’altro che banale: «A mancare paradossalmente è proprio la fiducia nello Stato, nella sua capacità di garantire che il mercato funzioni correttamente, che a tutti sia assicurato accedervi e a nessuno precluso dal permanere di posizioni di rendita».
In questi estratti dal nuovo libro di Franco Debenedetti c’è forse la sintesi migliore della complessità del suo pensiero.
Leggi il resto.
Di cosa parliamo quando parliamo di politica industriale. Gutgeld su banda larga, CdP, liberalizzazioni e “un’insana idea”
“Nella storia d’Italia, la politica industriale non è stata sempre e comunque ‘un’insana idea’, ma certo oggi deve diventare innanzitutto ‘una politica per l’industria, che favorisca l’insieme delle imprese e l’insieme delle produzioni, cioè le condizioni del fare impresa’”. Con queste due diverse citazioni del libro “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti”, Yoram Gutgeld, in una conversazione con il Foglio, segna prima la distanza maggiore e subito dopo la principale affinità di vedute con Franco Debenedetti, l’autore del saggio appena pubblicato da Marsilio.
Leggi il resto.
Il virus dirigista delle classi dirigenti italiane, capitalisti inclusi
Il guaio dell’economia italiana è che i privati non si sono dimostrati molto migliori dello stato. Il libro lo racconta in modo
chiaro e sono contento che Franco Debenedetti lo abbia messo in rilievo”. Francesco Giavazzi, economista ed editorialista del Corriere della Sera, risponde da Chicago dove insegna per tutto quest’anno accademico alla richiesta di commentare l’“insana idea della politica industriale”, uno strumento che il professore, autore insieme al collega di Harvard Alberto Alesina di un pamphlet molto efficace e di successo come “Il liberismo è di sinistra”, ha sempre criticato a fondo. A suo avviso la vera anomalia italiana rispetto ad altri paesi europei nei quali pure lo stato interviene direttamente o indirettamente, per lo più con esiti contraddittori se non negativi (la Francia colbertista, la Germania consociativa, la Gran Bretagna laburista prima della svolta thatcheriana), è proprio la debolezza del capitalismo privato.
Leggi il resto.
Ci furono privilegi e distorsioni, vero. Ma prima del 1969 anche sviluppo
C’è nello sviluppo economico italiano dall’Unità a oggi, e in particolare nella sua industrializzazione e deindustrializzazione, qualcosa di stupefacente e di grandioso, nel bene e nel male, nell’alternanza di successi e insuccessi, nella crescita e nella decrescita.
Leggi il resto.
Debenedetti: “Politiche industriali il peccato originale dell’Italia”
Acuminato, a tratti quasi teso ma sempre cavalleresco. E soprattutto avvincente. Questa l’istantanea del duello intellettuale andato in scena martedì sera all’Ateneo Veneto fra Franco Debenedetti, politico ed economista, autore nel recente saggio Scegliere i vincitori, salvare i perdenti. L’insana idea della politica industriale (Marsilio), e Paolo Baratta, presidente della Biennale, già Ministro delle partecipazioni statali, ministro dell’Industria, dei Lavori pubblici e dell’Ambiente. A moderare l’incontro il direttore del Corriere del Veneto Alessandro Russello, che ha pungolato sia Debenedetti chiedendogli il perché di un titolo tanto particolare, sia Baratta che ha difeso appassionatamente il proprio rifiuto nell’utilizzare proprio la definizione scelta dall’amico Debenedetti «politiche industriali».
Leggi il resto.
Vincitori e perdenti. La politica industriale secondo Debenedetti
“Scegliere i vincitori, salvare i perdenti”. È il titolo provocatorio del libro dell’ingegner Franco Debenedetti (Marsilio edizioni) presentato ieri all’Ateneo. Con esso, l’ingegner Debenedetti, dal 1978 al ’92 amministratore delegato dell’Olivetti e poi senatore per tre legislature mette sotto accusa il sistema della politica industriale del nostro Paese, in particolare dal dopoguerra ad oggi, a forte impronta statalista.
Leggi il resto.
Lo Stato leggero di Franco Debenedetti
Se fossi un Millennial e mi trovassi in libreria a sfogliare Scegliere i vincitori, salvare i perdenti (Marsilio, euro 18 pp. 336), sarei probabilmente tentato da altro. Alzi la mano chi conosce, fra i nati dopo i Novanta, qualcuno in grado di raccontare cosa fossero l’Iri e la politica industriale. Oggi Facebook, Linkedln e Twitter hanno trent’anni in tre e capitalizzano 850 miliardi di dollari. L’Ilva di anni ne ha più di cinquanta, è ancora una delle più grandi acciaierie d’Europa eppure non vale più del prezzo pagato da Zuckerberg per comprarsi Instagram. Invece gli ottantatré anni di Franco Debenedetti sono senza prezzo: ingegnere, dipendente delle aziende di famiglia, manager Fiat, amministratore delegato di Olivetti e Sasib, Senatore della Repubblica, presidente dell’Istituto Bruno Leoni.
Leggi il resto.
Tra luci e ombre c’era una volta la politica industriale
In qualche modo l’Italia è ancora una potenza industriale e, se ci si guarda indietro, c’è da esserne un po’ stupiti scorrendo la lista interminabile degli errori e dei difetti, degli opportunismi e degli ideologismi. La storia dell’industria italiana nell’ultimo secolo è una matassa ingarbugliata che si può in qualche modo dipanare scegliendo uno dei tanti fili. Franco Debenedetti, ingegnere per formazione, manager per professione, liberale e uomo di sinistra, ha scelto la politica industriale. Una chiave potente. La sua posizione dichiarata nel saggio “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti” ( Marsilio ) è che la politica industriale è una “insana idea”, non deve essere lo Stato a scegliere i vincitori e i perdenti, quello è un compito del mercato, e tanto meno lo Stato deve farsi imprenditore. Ma Debenedetti, che definisce l’industria pubblica «una metà del cielo» non risparmia neanche l’altra metà, quella privata: «Nostra peculiarità è l’inclinazione per incroci e intrecci tra i diversi potentati economici, la riluttanza ad adottare le forme di governance prevalenti altrove», scrive.
Leggi il resto.
I veri nemici della politica industriale
“Anche nelle maggiori strettezze i denari del pubblico si trovan sempre, per impiegarli a sproposito”. È una
citazione del XXVIII capitolo dei Promessi sposi che occupa la prima pagina del libro che Franco Debenedetti,
imprenditore, senatore, ora presidente dell’Istituto Bruno Leoni, ha dedicato alla politica industriale. Una
citazione che sintetizza nella maniera più efficace la parabola dell’intervento dello Stato nell’economia negli
ultimi ottant’anni. “Siamo quasi coetanei”, afferma subito Debenedetti: “Lei, la politica industriale, del 1930, io
del 1933″, e l’autore fa subito capire di essere molto più in forma, nonostante gli ottant’anni e passa, di quella
vecchietta che conduce una vita di stenti, spesso evocata, ma sempre meno efficace, anzi molto spesso dannosa.
In questo libro si ripercorrono quindi le vicende che hanno accompagnato l’economia italiana soprattutto
nell’ottica dell’intervento dello Stato e della sua pretesa di indirizzare, sostenere, premiare settori particolari
dell’economia ritenuti strategici per le più varie ragioni, con in primo piano comunque quella di difendere
l’occupazione ed evitare i licenziamenti.
Più industria meno politica
Industria e politica. Sono i due percorsi di Franco Debenedetti, imprenditore e manager, politico ed editorialista. «Un vasto curriculum semovente», l’ha definito Giuliano Ferrara. Debenedetti, 83 anni, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, è stato per 35 anni figura di spicco del mondo industriale. Laureato nel 1956 in Ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Torino, Debenedetti esordisce nell’azienda di famiglia fondata dal padre Rodolfo, la Compagnia Italiana tubi Metallici Flessibili, che diventerà la Gilardini. Poi la cavalcata nelle grandi multinazionali: la Fiat, dopo l’uscita di suo fratello Carlo, e la Olivetti di Adriano.
Stato moderno, statalismo, economia di mercato
Non c’è bisogno di condividere tutto l’impianto morale di questo libro o la filosofia economica liberista che lo sostiene – Debenedetti è non a caso Presidente dell’Istituto Bruno Leoni – per apprezzarne la bontà e, soprattutto, l’utilità ai fini di una riflessione più approfondita sulle vicende italiane, politiche ed economiche, specialmente a partire dal dopoguerra fino ad oggi.
Per troppo tempo le posizioni ideali cui Debenedetti si richiama sono state non solo e non tanto minoritarie, ma, di fatto, semplicemente considerate quelle perdenti rispetto al progressivo e fulgido andamento della storia, dominata dalle certezze di un pensiero che, legato con le masse, avrebbe aperto i cancelli di un progresso senza fine.
Debenedetti, un liberista nella città statalista
Ha scritto un libro contro l’«insana idea» della politica industriale, intesa sia come prassi sia come ideologia («Scegliere i vincitori, salvare i perdenti», Marsilio editore). E oggi Franco Debenedetti ha anche l’ardire di venire a presentarlo a Napoli. L’appuntamento è alle 18 a Palazzo Partanna con Ambrogio Prezioso, Antonio Bassolino, Paolo Cirino Pomicino e Antonio D’Amato. Perché l’ardire? Perché pure essendo Napoli la città di Croce e del pensiero liberale, qui di liberismo economico se n’è sempre masticato molto poco. E quasi mai in pubblico: sarebbe un po’ come professarsi juventini in curva B al San Paolo.
Aiuto, all’Antitrust c’è Debenedetti
Nella prestigiosa sede romana dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, per tutti Antitrust, in genere si presentano pubblicazioni istituzionali. Stavolta invece l’Authority guidata da Giuseppe Pitruzzella ha deciso di ospitare la presentazione dell’ultimo volume di Franco Debenedetti, ex parlamentare e soprattutto fratello di Carlo De Benedetti (staccato, perché gli piace così), numero uno del gruppo Espresso-Repubblica: Scegliere i vincitori, salvare i perdenti è il titolo del volume edito da Marsilio.
Stato o mercato? Contano le regole
Metti un liberista dichiarato, un comunista, un democristiano e due industriali intorno allo stesso tavolo. Tre su quattro diranno, in modi diversi e punzecchiandosi, che serve alla fine “più Stato e più mercato”. E due su quattro non lesineranno critiche al Presidente del Consiglio. A Palazzo Partanna, sede dell’Unione Industriali, accolto dal Presidente Ambrogio Prezioso, Franco Debenedetti presenta il suo “Scegliere i vincitori, salvare i perdenti”, con Antonio Bassolino, Paolo Cirino Pomicino e Antonio D’Amato, moderati da Marco Demarco.
Debenedetti: la politica industriale non serve lo dimostrano i fallimenti dei gruppi pubblici
Mps è il tipico esempio dei mali italiani, in cui il legame tra politica e imprese in questo caso una banca ha finito per produrre danni al sistema economico, come scarsa competitività e maggiori oneri a carico dei contribuenti. Così Franco Debenedetti, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, che ieri a Napoli ha presentato all’Unione industriali il libro «Scegliere i vincitori, salvare i perdenti».
Tweet
giugno 4, 2016