Rai, il significato del servizio pubblico

agosto 15, 2009


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Non è necessario che sia un’azienda pubblica a «fornire» una televisione che riguarda tutti i cittadini

Caro Direttore,

“La nozione di Servizio pubblico (SP)” implica “l’idea della tv come bene comune di importanza nazionale, al pari della luce, del gas, dei trasporti”, scrive Aldo Grasso (La Rai ha fatto una scelta di campo, Corriere della Sera del 10 Agosto). Proprio gli esempi che cita dimostrano che non è affatto necessario che un SP, quale certamente è la televisione, sia fornito da un’azienda pubblica, anzi che questa è, in generale, un’eccezione: l’energia elettrica è privatizzata e in concorrenza; nei trasporti, quelli su gomma, che ne costituiscono la parte più rilevante, sono la quintessenza del privato; largamente privati sono i trasporti aerei; e se il gas lo è in misura insoddisfacente, è per ragioni che con il SP hanno ben poco a vedere.

Che il SP debba “fare in modo che i suoi servizi […] siano visti dal più alto numero di persone” è inerente alla sua definizione. Sostenere che questo invece dipenda dal fatto che esso sia “retto da un canone” è una petizione di principio: il canone è solo uno dei mezzi con cui ottenere il servizio universale. Mediaset e La7 sono ricevuti gratuitamente da quasi tutti gli italiani.

Per Grasso c’è stato un “passaggio «forzato» dall’analogico al digitale”. A me pare naturale che un broadcaster terrestre decida di restare tale evolvendo dall’analogico al digitale: ma dovrebbero essere i rapporti di concorrenza, e non quello che pare a me, a decretare il successo delle piattaforme tecnologiche. Qui, nota Grasso, la decisione è stata politica: ha ragione, ma come poteva essere altrimenti se riguarda un’azienda che vive grazie alle tasse dei cittadini? Accanto a trasmissione terrestre e satellitare esiste un’altra piattaforma tecnologica, cavo coassiale un tempo, ora fibra ottica. E’ per interessi politici se il monopolio RAI nella trasmissione venne esteso alla Stet anche per la posa delle infrastrutture, impedendo così che questa piattaforma si sviluppasse in Italia come altrove: naturalmente in nome del SP.

L’identificazione di servizio pubblico con azienda pubblica produrrà sempre più equivoci con l’aumentare del numero delle piattaforme con cui la RAI deve dividere quello che era il suo monopolio. Se collego la parabola a un monitor, devo pagare il canone? E se guardo il SP dal mio computer? Nel caso della convenzione con Sky, la RAI doveva cercare il massimo suo interesse aziendale, oppure il massimo danno del suo concorrente “terrestre” Mediaset, oppure “restare neutrale” e vedere come va a finire tra Berlusconi e Murdoch? Per Grasso la RAI ha fatto una “scelta di campo”, con un risultato che è “un unicum in Europa”. Se è un’anomalia, deriva dall’identificare il SP con quello fornito dall’azienda pubblica. E’ importante riconoscerlo, perché la RAI non verrà privatizzata in ogni prevedibile futuro, e quindi dovremo convivere a lungo con la sua presenza.

Lì si è incubato il conflitto di interessi primario, quello da cui tutto dipende. E ciò riguarda l’attuale maggioranza, ovviamente; riguarda quella che fu maggioranza tra il 1996 e il 2001. Per fermarci qui: ma potremmo andare ben più indietro.

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