Non passa dall’antiberlusconismo la strada dell’Ulivo per vincere le elezioni
E se il destino di avere due sinistre non toccasse solo all’Italia? Due sinistre, non nel senso di un’ala più radicale che convive accanto ad un’aggregazione che controlla il partito e ne definisce la linea politica; ma due parti, ciascuna delle quali pensa di avere la maggioranza dei consensi tra gli elettori di sinistra. Di fatto, oggi che guerra e crisi economica sottopongono i partiti dell’Europa continentale a tensioni laceranti, se andiamo a contarle, nei quattro maggiori paesi d’Europa, sono almeno sei le diverse sinistre che si possono distinguere.
In Germania sembrava che la socialdemocrazia “classica” di Schroeder i conti alla sua sinistra li avesse regolati una volta per tutte nella passata legislatura, con la fuoruscita di Oskar Lafontaine, e i progetti annunciati di riforme fiscali e sociali: ma in Assia, sopratutto nella sua Bassa Sassonia, Schroeder sperimenta che, di fronte ai guai economici, l’”ohne mich”, il rifiuto della guerra, sarà popolare, ma non basta a far vincere le elezioni, tanto più quelle locali dei Laender. Così deve assistere all’imprevisto ritorno di Oskar Lafontaine, che viene invocato ancora più a sinistra.
In Francia, di Lionel Jospin era stata lodata l’austera dignità con cui si era ritirato dopo la clamorosa sconfitta dello scorso anno: consentendo, in Italia, di istituire raffronti velenosi. Invece la prospettiva della guerra induce Jospin a ripresentarsi sulla scena politica, respingendo l’idea che siano state le iniziative emblematicamente rappresentate dalle 35 ore, introdotte perfino nelle piccole imprese, a determinare il tracollo dei socialisti, e sostenendo che l’errore è stato imitare il centrodestra. Se il centro si é lasciato sedurre dal programma “law and order” di Raffarin e di Sarkozy, la sinistra, questa la tesi di Jospin, non deve inseguirlo, ma attendere che si accorga a proprie spese dello sbaglio.
In Inghilterra c’è solo la sinistra di Blair, quella che si può permettere di azzardare anche posizioni coraggiose, come sta facendo sulla guerra. Ma non fa testo. Ormai sono in molti a non considerarlo quasi neppure più di sinistra: vince e convince, eppure non solo in Italia, ovunque tra le sinistre continentali, l’arroccamento sulle posizioni più radicali si configura come la pulsione storica dei socialisti sconfitti.
E in Italia, basterebbe la condanna in capo a Berlusconi a evitare alla nostra sinistra la sorte che è toccata alla socialdemocrazia tedesca in Assia e in Bassa Sassonia? La strategia della sinistra dipende da come si risponde a questa domanda. Perché se la risposta è sì, allora ha ragione Cofferati, bisogna sostenere senza esitazioni la tesi che in caso di condanna Berlusconi se ne deve andare, e mobilitare le piazze e marcare stretto i giudici. Ma se la risposta è no – come si direbbe che pensino D’Alema e Fassino quando sostengono che in caso di condanna di primo grado Berlusconi non solo non deve, ma addirittura non può andarsene – allora la sinistra la strategia per evitare di essere sconfitta alle prossime elezioni la dovrà cercare altrove. Perché ha vinto il centro destra era il titolo di uno studio del gruppo Itanes di Bologna. Proprio adesso è uscito un secondo volume, con una più dettagliata elaborazione e una più approfondita analisi. Si intitola Le ragioni dell’elettore. E se partissimo di lì?
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febbraio 7, 2003