Annunciare una liberalizzazione non basta per produrre concorrenza. Nel mercato dell’energia elettrica, il decreto Bersani è stato l’annuncio, ma poi di sostanziale non è successo niente: gli italiani hanno cambiato fornitore per meno del 10% del loro fabbisogno. Speravamo in riduzioni di costo, e troviamo gli aumenti.
Certo, il petrolio da 10 è passato a oltre 30 $ al barile: ma, secondo l’Autorità, da noi l’elettricità costa più cara che negli altri paesi europei, e il divario aumenta. E poi, aldilà delle cifre c’è un fatto innegabile: a differenza dei telefoni, nell’elettricità non c’è concorrenza. Perché? Dove si è sbagliato?
Nelle telecomunicazioni agiscono due forze potenti: la crescita del mercato e lo sviluppo tecnologico: le aziende si fanno la guerra per accaparrarsi i clienti futuri. Invece nel settore elettrico la crescita è modesta, e lo sviluppo è frenato dai tempi di ammortamento degli impianti: e le imprese hanno più interesse a spartirsi i clienti esistenti. Per questo, nel settore elettrico ci voleva un di più, sia nel privatizzare la proprietà che nel liberalizzare il mercato. Invece il controllo dell’Enel resta del Tesoro, quello delle municipalizzate dei comuni, dunque la proprietà della maggior parte delle imprese è pubblica, sottratta alle forze che movimentano il settore delle telecomunicazioni. E quanto a liberalizzare, si sono fatti almeno quattro errori capitali.
Primo: nella rete ad alta tensione, necessaria per collegare nuovi impianti nazionali o nuovi fornitori esteri, Enel gode di una posizione privilegiata.
Secondo: dismissioni insufficienti, alla fine Enel avrà ancora il 50% del mercato.
Terzo: Enel ha un ruolo chiave nel decidere che cosa dismettere e come, può disegnare il mondo su cui continuerà a dominare.
Quarto: le reti delle principali città anziché al migliore offerente verranno vendute alle municipalizzate.
Norme comunitarie poco incisive, sindacati irrigiditi a proteggere posti di lavoro e iscritti, maggioranza pressata stretta dal lobbying Enel, Franco Tatò che minacciava di provocare una crisi alla vigilia della parziale vendita: se il Ministro Bersani non ha creduto di poter osare di più, ha più che un’attenuante. Dove invece non ci sono scuse è nell’aver concesso a Tatò di imbarcare l’Enel nell’avventura Wind. Perché così invece di obbligarlo a concentrare l’ente sul suo business istituzionale – dare a tutto il paese elettricità a basso costo -, invece di esporlo al solo giudizio di efficienza, gestionale e tecnologica, gli si è consentito di distrarre l’attenzione comprandosi un’immagine di imprenditorialità aggressiva e moderna. I Nuovi Mattei avevano ancora sedotto i politici con il miraggio dell’azienda pubblica di successo.
Ma a ben vedere c’è un’altra diversificazione che richiama alla mente quella compiuta da Tatò alla vigilia della privatizzazione: quella della Edison nella chimica alla vigilia della nazionalizzazione. Invece che “nuovo Mattei”, “nuovo Valerio”?
settembre 4, 2000