Ai nuovi governi, negli altri Paesi, si concedono i conto giorni di lima di miele; ai nostri si concede un solo colpo in canna: i loro primi atti ne marcano successi o insuccessi, fortune o disgrazie. Differenza cui non è probabilmente estranea la trasversalità di certi temi rispetto agli schieramenti politici, con le forze liberalizzatrici disperse tra pds e fi, quelle centrastico-conservatrici arroccate in rc e an. Così è stato per Amato e Ciampi, che riuscirono tirando bene li primo colpo. Così accadde a Berlusconi, che lo fallì nello scontro tra entusiasmi da campagna elettorale e realtà sociale del Paese. Così fu per il governo Dini, marcato sul nascere dall’obbiettivo di annacquare il progetto di riforma pensionistica. Quanto al governo Prodi, è un governo politico con maggioranza politica, ma la regola – Maastricht in vista – vale anche per lui.
Ed è un fatto che la prima manovra di correzione della finanza pubblica non abbia corrisposto alle aspettative. L’appesantimento del costo del lavoro e del costo del danaro è in controtendenza rispetto al fortissimo rallentamento congiunturale del quale il governo meglio di altri conosce le proporzioni. Oltre a ciò che è stato deciso, rileva ancor più ciò che è stato accantonato. Il blocco del turn-over nel pubblico impiego. Il ritardo al Dpef per la querelle sull’obbiettivo del 2,5% di inflazione. L’impegno, per tutti i ministeri, di cui si era parlato al Tesoro, di ridurre pro-quota le proprie spese: l’unica che ci ha creduto, «la povera Rosy Bindi», come ha detto l’avvocato Agnelli, è stata smentita, e quello che poteva essere una seria dimostrazione di rigore da parte dell’amministrazione pubblica è diventato un ballon d’essai per prima attizzare e poi sedare le proteste.
Quella che separa la concertazione dalla mediazione è una linea sottile: a presidiarla non può essere lasciato il solo ministro del Tesoro. Ciampi per parte sua ha confermato di saper agire con prontezza vendendo l’intera quota residua dell’Ina. Quando invece sono in gioco più dicasteri ritorna l’estenuante esercizio della mediazione e la pratica del rinvio. Quando si sono sfiorate materie che attengono alla concertazione con le parti sociali, ecco che il segnale trasmesso a operatori e mercati è di una pericolosa confusione. Scandalizzano, ma non stupiscono allora le parole del segretario generale della Flora, Sabattini, che a Rimini ha respinto al mittente la richiesta di atti di responsabilità in nome degli interessi generali del Paese, perché a suo dire questi interessi superiori non esistono. E’ un fatto che nella prima manovra del governo a mancare è ciò che tocca il sindacato, a essere presente è ciò che tocca l’impresa.
E’ bene a questo proposito evitare quello che potrebbe rivelarsi un errore pericoloso, potenzialmente in grado di smorzare gran parte delle aspettative favorevoli espresse dai mercati e quello di prestare il fianco a chi volesse vedere nel governo una sorta di improprio esecutore della tesi altrettanto impropriamente assunta come il pensiero centrale del governatore Fazio nelle sue ultime considerazioni finali. La tesi cioè che il margine di aggiustamento per l’economia italiana vada identificato negli «eccessivi» margini di profitto delle imprese. Non è così e non mette qui conto-di dimostrarlo. E’ invece qui il caso di svolgere una diversa riflessione. E’ comprensibile che il governo e la maggioranza che lo sostiene perseguano un rapporto di grande costruttività con il sindacato, nell’interesse del Paese, ma anche in relazione al proprio radicamento sociale. Tuttavia se tanto peso ha avuto e avrà il sindacato al tavolo della finanza pubblica; è ragionevole che meno ne abbia in quello degli assetti industriali in settori vitali per il Paese.
I segnali in questi campi hanno invece suscitato più che perplessità. Si è cominciato con la riconferma di Pescale, e di Agnes, ai vertici Stet. Ma di fronte alla loro arrogante riproposizione di tesi già autorevolmente contestate, c’è voluta l’energica messa a punto del sottosegretario al Tesoro per richiamarli a più riguardosi comportamenti.
Sono poi venute le nomine dell’Autorità per il settore energetico e dei vertici Enel: ma ancora una volta non è venuta l’indicazione sull’assetto del settore. Prima di enunciare il progetto, e affrontare le prevedibili critiche, si tenta di prevenirle con un sofisticato dosaggio di nomine. Sulle telecomunicazioni poi si tenta di spacciare per ciò che non è la vendita di attività marginali e collaterali, quali l’impiantistica, la produzione di apparecchiature e il settore informatico. In altre parole, si taglia un ramo che sporge in modo poco estetico, e nulla si dice della necessità di trapiantare i rami grossi in un terreno dove crescano liberamente. Sulla Rai infine a segnali confusi di esponenti del Governo che hanno dato spazio a ipotesi di lottizzazione, si sommano voci su ptoroghe per decreto delle concessioni in scadenza, ma senza alcun elemento che lasci intravedere una strategia generale per il sistema.
In tutti questi campi è in gioco l’efficienza, non l’occupazione. Ed è il caso di ricordare con forza che anche dall’efficienza del sistema di cui il paese ha bisogno, dipenderà che non si disperda il patrimonio di speranze e di aspettative che questa coalizione e questo governo hanno saputo suscitare.
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giugno 23, 1996