A volte a far notizia non sono i fatti, ma i commenti sui fatti: è quanto è successo per l’esperimento di scissione di un embrione umano che, lanciato dal “New York Times” come donazione, scatenò indignazione di scienziati, anatemi di moralisti, catastrofismo di sociologi, diede l’occasione ai politici di stracciarsi le vesti e di avvolgersi nella bandiera:
alternativamente. Prima sui quotidiani, per più giorni a doppie pagine, poi sui settimanali, addirittura le copertine di “Time”, “Newsweek”, “Spiegel” e chissà quanti altri: adesso sarà diventato parte di quel sedimento di giudizi e pregiudizi di che è fatta l’opinione pubblica.
Jerry Hall e i suoi colleghi della Washington University non erano affatto sicuri di aver realizzato un’impresa così straordinaria: quindici anni fa nacque Louise Brown, la prima bimba concepita in provetta, quella ora sperimentata è solo la tecnica per produrre gemelli. Invece, complici forse Bladerunner e Jurassic Park, si sono trovati al centro di uno scoppio di isteria collettiva. Isteria che ha toccato vertici di esilarante assurdità (quella dell’ “uomo di scorta”: un magazzino di pezzi di ricambio con consegna a nove mesi? oppure prudentemente messo in cantiere in anticipo? e se fosse “lui” ad avere bisogno dei “miei” pezzi?), o di mediocre fantascienza (da un capello di Hitler una razza di dittatori folli, come in “The Boys from Brazil”); o di macabra tristezza (riprodurre la vita di un figlio scomparso).
Una avrebbe fatto felice Pirandello: una donna viene fertilizzata dall’embrione di sua suocera, sicché suo marito ha se stesso come figlio. Oppure, per la serie “un gemello che non dimenticherò mai”: l’embrione diventa un giocatore di basket alto più di 2 metri, sotto contratto per miliardi con la Nba, e il suo embrione di riserva viene scongelato e regalato ad una coppia senza pensione e senza figli.
Viene spontanea l’associazione con un’altra notizia (ugualmente sparata e poi meno clamorosamente smentita) sulle adozioni che verrebbero latte per alimentare il commercio di organi: ammesso che una simile mostruosità esista, il solo buon senso dovrebbe fare dubitare che in paesi in cui la polizia ammazza i bambini per le strade a dozzine ci sia bisogno di seguire le trafile burocratiche, i chili di carte bollate di un’adozione internazionale. Mai provato?
Stesso tema, il trapianto di organi; analogo infortunio sul piano della logica: in un caso dettato dalla preoccupazione
dell’identico (la donazione) nell’altro dalla paura del diverso (l’adozione). Stesso pregiudizio, quello per cui l’uomo è il prodotto del suo genoma, la sua individualità determinata più dalla sua origine biologica che dalla sua personale storia, il suo mondo affettivo fondato sul vincolo di sangue e non cresciuto sulla quotidianità dei rapporti. Da un lato l’incubo delle famiglie donate, dall’altro la diffidenza verso quelle non biologiche.
Pregiudizio da cui è facile derivare l’idea che esiste qualcosa come “la natura umana”, o “la famiglia perfetta”; un passo
più in là e siamo alla razza. Mentre è l’inesauribile ricchezza della vita, l’infinita varietà delle esperienze che “crea” l’individuo, che renderebbe diversi ed unici gli ipotetici gemelli “donati”, come fa per quelli naturali; così come è la condivisione della vita e delle esperienze che rende fratelli i figli di una famiglia adottiva.
L’isteria rivela il timore della nostra società tecnologica verso gli esiti stessi della tecnologia. Non diversamente, quando nel secolo scorso si scoprì l’anestesia, si temette che essa sottraesse agli uomini l’esperienza del soffrire; analoghi timori suscitarono la scoperta del codice genetico di Watson e Crick, e, in massimo grado, la, scissione dell’atomo.
Oggi, i doni che temiamo possano invadere il mondo sono i figli di una scienza che sentiamo estranea a noi, un embrione sconosciuto che cresce nel corpo della nostra società.
La notizia falsa rimanda a problemi veri: siamo stati educati a pensare che siamo tutti uguali, ma anche che ciascuno di noi è unico. «Che cosa intendiamo quando parliamo di identità umana? Che cosa fa che io sia io?» si domanda “Newsweek”. Aldilà del pregiudizio c’è un umanissimo timore, un sacrale ritrarsi: è la preoccupazione e la responsabilità che si sente verso le vite con cui desideriamo prolungare le nostre vite, verso i figli che mettiamo al mondo e verso quelli che cresciamo, verso il mistero, non quello della vita che la scienza meravigliosamente svela, ma quello della persona, che l’esperienza imprevedibilmente crea.
Ma, come è stato fin dall’origine del mondo, la speranza prevarrà sul timore: e perché allora, se proprio si vuol lasciar spazi alla fantasia, non pensare che tra umani “donati” esistano quei rapporti strettissimi che, a quel che si dice, uniscono tra loro sovente i gemelli?
Caino ed Abele non lo erano; e non erano neppure, a quanto risulta, figli adottivi.
dicembre 1, 1993