Quando Ford sognava le 35 ore

novembre 23, 1998


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Se l’Italia introdurrà l’orario di lavoro di 35 ore, la Michelin potrebbe chiudere le sue fabbriche in Italia: 7000 persone rimarrebbero senza lavoro. Questo il ruvido messaggio lanciato da François Michelin a Torino.
Quarantaquattro anni fa, il 27 Novembre 1954, La Stampa pubblicava un articolo di Alfredo Frassati. Titolo “ La settimana di 36 ore”. Il fondatore del giornale aveva ormai 86 anni; collaborava ancora al giornale che aveva diretto fino al giorno in cui il fascismo l’aveva costretto ad abbandonare.
L’obbiettivo delle 36 ore era stato posto dai sindacati americani tedeschi ed austriaci. Da noi l’Unità l’aveva discusso con ampiezza, ma “pochi hanno approvato senza riserva”, annota Frassati.

“Il problema dal quale occorre in ogni caso partire é quello della disoccupazione”: l’obbiettivo é esplicito, ma non per la ragione semplicistica di dividere la stessa quantità di lavoro tra un maggior numero di lavoratori. Frassati punta a un “effettivo progresso della produzione e delle condizioni materiali di vita”. Cita Henry Ford: “senza tempo per lo svago i lavoratori i quali sono i massimi acquirenti del Paese, non possono avere modo di coltivare un più alto standard di vita e quindi di accrescere il loro potere di acquisto”. Sa che la proposta è incompatibile “con la legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo”, richiederebbe “ un enorme progresso tecnico quale il capitalismo nell’attuale fase di involuzione non é più in grado di realizzare”. Ma termina perentorio: “Nel mondo industriale torinese vi é stato un grande precursore in questo campo: il senatore Agnelli”.

Oggi, sul tema delle 35 ore si trovano estremismi in entrambi i campi. All’estremismo ideologico di chi le vorrebbe subito, per legge, per tutti – e così pensa di favorire i disoccupati – si contrappone l’estremismo ricattatorio di chi minaccia di chiudere – e così pensa di proteggere i propri interessi. Ma chiudere per andare dove?
Gli investimenti esteri di successo sono quelli che mirano a trar profitto non dai bassi salari, ma dalla penetrazione in un mercato: lo sa bene la Michelin, che venne in Italia non perché gli operai costavano meno, ma per la prossimità ad un grande costruttore.

Quanto alle possibilità del capitalismo, Frassati non é stato buon profeta: nei dieci anni dal 1954 al 1964 la nostra economia crebbe al ritmo del 5,5% l’anno. Oggi i nuovi posti di lavoro li creano solo i servizi, dove orario e condizioni di lavoro non sono il prodotto delle grandi lotte sindacali. Ma sopra tutto diversa é la pressione fiscale: era allora meno del 20 %, oggi lo stato preleva il 54 % del prodotto nazionale, e la rigidità della spesa non lascia spazio a politiche ridistributive.

Le ragioni alla base della convinzione di Frassati oggi non ci sono più, non si possono costringere società complesse con regole uniformi. Ma agli estremisti che brandiscono le 35 ore come strumento di ricatto politico, così come a quelli che vi si oppongono con minacce di ritorsione, il suo lucido e razionale entusiasmo ha ancor oggi qualcosa da insegnare.

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