Qualcosa là fuori

luglio 18, 2011


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Recensione di Arnaldo Benini

Il 16 aprile scorso Enrico Bellone è morto poche settimane dopo l’uscita di Qualcosa, là fuori. Il libro, uno dei suoi migliori per rigore e interpretazione di dati sperimentali, è la conferma del suo approccio alle scienze naturali, in particolare alle neuroscienze, come riflessione essenziale dell’uomo su sé stesso. Esso è l’ultimo suo contributo alla liberazione della scienza dagli attacchi politici e metodologici delle filosofie idealistiche e pseudoheideggeriane, terrorizzate dal dominio della matematica e della scienza sul mondo, e dalle acrobazie speculative di tanta cosiddetta filosofia della scienza. Esse hanno fatto scrivere a Stephen Hawking che “la filosofia è morta, non avendo tenuto il passo degli sviluppi più recenti della scienza […]” Il significato della filosofia era per Bellone l’interpretazione umana della scienza.

Consideriamo un evento, a prima vista banale: l’osservazione di un panorama con una casa, un albero, un uccello che canta, fiori che sbocciano. È un’esperienza visiva, uditiva, olfat-toria, per chi è perseguitato dai pollini a volte anche fastidiosa. Immagini, suoni, odori, pruriti sembra che entrino dentro di noi. Non è così: le cose della realtà provocano negli organi di senso potenziali elettrici che viaggiano all’interno del cervello. Nel cervello non viaggia l’immagine della casa, ma i potenziali elettrici che la casa provoca nella retina. Arrivati alle aree della coscienza, essi producono l’esperienza della casa. Durante il viaggio nel cervello, i potenziali elettrici acquisiscono qualità che gli oggetti non hanno. I suoni, gli odori, i colori, il caldo e il freddo, la luce e il buio non sono nel mondo. Essi sono espedienti delle aree della corteccia cerebrale della sensibilità per tener distinte onde elettromagnetiche (luce, buio, colori), molecole (gli odori e i sapori), la loro velocità (caldo e freddo) e spostamenti d’aria (i suoni). La realtà è ben diversa dal luogo pieno di rumori, colori ed odori in cui il cervello ci fa vivere. Essa è un silenzioso e grigio contenitore di molecole senza odori, sapori e tempe-ratura, d’atomi e di campi elettromagnetici in vibrazione. La spiegazione di ciò che succede in noi quando facciamo con naturalezza, senza grandi problemi filosofici, le nostre esplorazioni del mondo, ammonisce Enrico Bellone, non è semplice. La razionalità della scienza dimostra che la terra quasi sferica gira su sé stessa e intorno al sole, e che noi siamo su un suo frammento. Di ciò, fortunatamente, non percepiamo nulla. Nel corso dell’evoluzione si sono imposti meccanismi nervosi che forniscono alla coscienza il dato della terra piatta e ferma, infinitamente più gradevole per viverci sopra di una sfera che gira su sé stessa e attorno al sole a velocità folle. In un mondo effimero, non nello spazio vero, è vissuta l’esperienza della realtà. Gli antichi, convinti che il sole girasse attorno alla terra ferma e piatta, non erano irragionevoli, ma interpreti rigorosi dei dati degli organi di senso, che si rivelarono poi anticopernicani. Il dato immediato dello spazio, mezzo millennio dopo che sappiamo che le cose mon stanno così, è rimasto invariato. Enrico Bellone racconta la storia di come, sin dai tempi antichi (Democrito, Lucrezio, Galeno), prima con la riflessione, da un secolo e mezzo con i dati delle neuroscienze, si è imposta la convinzione che il mondo in cui viviamo non è quello reale, che rimane inaccessibile, ma il prodotto dei nostri meccanismi cognitivi. Galileo Galilei scrive nel Saggiatore che gli odori, i sapori e i suoni “fuor dall’animal vivente non credo che sieno altro che nomi.” Per Newton i colori altro non sono che “sensazioni eccitate della nostra mente.” Se diciamo che un suono o un colore sono reali, per John Locke commettiamo un errore grossolano. Le neuroscienze cognitive, a partire da metà del XIX secolo, confermano che il palcoscenico della vita è allestito dal cervello. Se la scienza ne dimostra la falsità, esso rimane tuttavia invariato, perché non è una scelta, che si può rivedere, ma il prodotto di meccanismi cerebrali emersi durante un’evoluzione di milioni d’anni. Condizione descritta da Spinoza, quando parla dell’ostinazione ad immaginare il sole lontano solo duecento piedi, pur sapendo che dista seicento diametri terrestri (Etica II, XXXV, scolio).

Io continuo a vedere rosso il fiore sul tavolo, anche se so che quel colore è solo nella mia testa. Se il mondo in cui viviamo è un prodotto del cervello, perché vediamo le case e l’albero, e sentiamo gli odori e i suoni, fuori di noi? Quale è il meccanismo nervoso che proietta gli elaborati delle aree cerebrali della coscienza nello spazio e nel tempo? Questo è il problema che la ricerca sul mondo creato dal cervello pone alla neurobiologia. L’ultimo studio di Bellone è una guida utilissima a queste domande.

Qualcosa, là fuori.
Come il cervello crea la realtà.

di Enrico Bellone
Codice Edizioni, Torino
pagg. 108

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