Ci sono molte cose che il Governo potrebbe fare, ma non c’è modo di farle. È il momento di contendere al populismo lo spazio in cui cresce.
Che si vada a votare quest’anno o l’anno prossimo, non c’è modo per il governo di intestarsi un progetto riformista. Non c’è lo spazio operativo, perché tra retaggi del passato – legge elettorale, interventi su voucher e appalti – , l’eterna incompiuta – pensioni di cui completare i decreti attuativi -, newcomer – le Ape volontaria e sociale, il programma contro la povertà – e (a sognare) la legge sulla concorrenza, l’agenda è già fin troppo fitta. E non c’è lo spazio politico, perché articolare un progetto riformista richiede non la ragion pratica di uno scorcio di legislatura, ma la ragion pura di un programma di governo.
Questo riguarderà in primo luogo la macchina pubblica, e dovrà andare alla radice del sistematico fallimento dei tentativi di riformarla: il rifiuto o l’incapacità di valutare e di essere valutati. Quello che si dice da sempre per la scuola e per l’università, vale in generale per tutta la Pubblica Amministrazione, è dimostrato, e contrario, dal decantato Jobs Act, che il ministero del Lavoro non sarebbe stato in grado di fare. Vale in primo luogo per la dirigenza pubblica, come viene reclutata, selezionata, e protetta dalla sovrarappresentanza della funzione giuridica.
Nessuna riforma, neppure questa, può battere frontalmente il populismo: ma contendere al populismo lo spazio in cui cresce, questo sì.
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febbraio 1, 2017