Dell’appello contro la faziosità in campagna elettorale, che firmai sul Foglio in marzo, insieme ad Augusto Barbera, Luciano Cafagna, Paolo Mieli e Michele Salvati, ritorna parlare Mario Pirani (Il Cavaliere e la Giustizia, La Repubblica, 9 Giugno). Pirani premette che lui pure rifiuta la tesi secondo cui la vittoria di Berlusconi sarebbe una minaccia per la democrazia in Italia, ci tiene a distinguersi dai demonizzatori; ma accusa coloro che a elezioni avvenute ribadiscono i temi di quell’appello, di essere degli ingenui che si fanno abbindolare dal pifferaio Berlusconi dimenticando “alcune macroscopiche contraddizioni personali del candidato premier [che] confliggono con principi e nonne di uno stato liberale”.
I fatti che preoccupano Pirani sono essenzialmente due: il conflitto di interessi e i processi ancora in corso in cui Berlusconi è imputato. Ma delle due l’una: osi hanno elementi per accusare la magistratura di colpe passate o per sospettarla di indulgenze future, oppure queste restano personali valutazioni. Lo stesso ragionamento vale per il conflitto di interessi: o è colpa di noi parlamentari della passata legislatura non averlo risolto, oppure si deve convenire che una legge risolutiva, e cioè né assolutoria né aggirabile, avrebbe comportato per noi costi politici proibitivi.
C’è quindi una palese contraddizione tra le due parti del suo ragionamento, tra la premessa e l’accusa: perché non si può da un lato dire che si è contro la demonizzazione, che non si ritiene Berlusconi un pericolo per la democrazia, e dall’altro opporgli “gravissimi problemi di compatibilità istituzionale” in nome di argomenti politicamente non utilizzabili: proprio in questo - me lo lasci dire l’amico Pirani – sta la faziosità.
La ragione per cui avevo firmato l’appello sul Foglio in marzo era perché lo trovavo corrispodente a un posizionamento strategico e a una comunicazione politica volti a conquistare il centro. Non risulta proprio che in campagna elettorale, i miei elettori ed i miei avversari abbiano avuto l’impressione di trovarsi davanti un “cresciutello bambino di Hamelin” incantato da un “presidente pifferaio”. Spiegavo quello che abbiamo fatto al governo, facevo toccar con mano le incoerenze passate degli avversari, illustravo la poca credibilità dei loro propositi futuri. Parlavo ai miei elettori dei loro interessi ed alle loro ragioni.
Non diversi erano gli argomenti con cui Piero Fassino, battendo da mane a sera la pianura padana, è riuscito a rimontare in modo inaspettato lo svantaggio al Nord. Se abbiamo perso, come analizza il Censis, è stato perché non abbiamo saputo conquistare il centro con argomenti validi e toni convincenti: obbiettivo a cui era funzionale il famoso appello. Se abbiamo perso, non è stato perché non abbiamo a sufficienza demonizzato Berlusconi; quella “minaccia” non ci è valsa neppure ad ottenere il voto utile a sinistra, mentre ha allontanato non pochi incerti: ha finito per convincere i convinti.
Che cosa autorizza Pirani ad attribuirmi il proposito di archiviare ogni polemica ora che Berlusconi è stato eletto? Per quanto mi riguarda si rassicuri. Per quanto riguarda noi ds, altro è il rischio che corriamo, quello che ha strappato a Miriam Mafai un grido accorato: “Così muoiono anche i partiti”. Oggi che ci tormentiamo coi problemi dei contenitori e dei contenuti — per usare la formula cara a Michele Salvati, della linea e del leader, della geometria e dell’aritmetica del centrosinistra, la demonizzadone dell’avversario può indurre nell’errore di crederla il surrogato della coesione. Un errore che oltretutto ci svierebbe nel definire il programma su cui fondare la nostra opposizione e con cui riconquistare il consenso della maggioranza degli italiani: perché quel programma dovrà tener conto di cose giuste che loro faranno e respingere cose sbagliate che alcuni di noi riproporranno.
Pirani pensa che entrambi i problemi, quello giudiziario e quello mediatico, “siano ormai solo nelle mani” di Berlusconi e termina: “Domandi scusa ai suoi concittadini (lo ha fatto anche Clinton) e [...] continui a governare libero di scheletri nell’armadio”. Che il demonio possa pentirsi, è questione teologicamente controversa. In ogni caso, gli scheletri negli armadi (e le stagiste nei corridoi) sono, per chi governa, ingombri da cui liberarsi; sono, per l’opposizione, un materiale non abbastanza consistente su cui fondare la propria rivincita.
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giugno 13, 2001