Governo? Non è né assente né reticente». Romano Prodi è nel suo ufficio di Palazzo Chigi. Una giornata intensa, come tante altre, prima di una brevissima pausa pasquale. Ha appena risolto la spinosa trattativa del rinnovo del contratto degli statali. Con soddisfazione. Il tono è tranquillo, le parole misurate, nell’amarezza consapevole che il nostro è un Paese del tutto particolare.Questa volta non per un Esecutivo inadeguato, o per la debolezza della classe politica. Tutt’altro. La colpa è altrove.
Né assente, né reticente ma nemmeno interventista. Il rispetto del mercato è assoluto, assicura. Fin troppo.
Fin troppo, presidente? E perché? Se fossimo in un altro Paese europeo, spiega, il Governo farebbe di più. Molto di più. Ma in Italia no, in Italia non si può, specie dopo il caso Rovati che al presidente del Consiglio ancora non va giù. Una vicenda infame, un attacco inqualificabile, dice. E si ferma, perché potrebbe dire di peggio. Non vi era nessun piano del Governo. Il cenno polemico è rivolto anche al Sole-24 Ore che pubblicò il documento corredato dal biglietto di accompagnamento, su carta intestata della presidenza,
firmato dall’ex consigliere e diretto a Marco Tronchetti Provera. «Un folle attacco al Governo».
Sarà, ma veniamo all’oggi. «Che cosa posso dire di quello che sta succedendo? Una sola cosa. Che bel capitalismo, complimenti». «E dicono ancora: è il mercato, bellezza! Ma c’è da morir dal ridere…
È tutta una corsa a chiedere protezioni e favori». Il Governo, nel giudizio del suo leader, sta facendo di tutto, «seriamente e concretamente», per favorire le imprese italiane all’estero. Anche come azionista. Il riferimento è all’Enel che «silenziosamente» sta conquistando Endesa in Spagna e, insieme all’Eni, parte delle attività Yukos in Russia. «Abbiamo fatto soltanto il nostro dovere, ma lo abbiamo fatto».
La polemica nei confronti dell’establishment industriale e finanziario del nostro Paese è aspra. A tratti sprezzante. Noi registriamo da cronisti. Ma è mai possibile, si domanda, che non si riesca, a mettere su una proposta industriale per gestire la più importante delle società di telecomunicazioni al mondo, con ingenti e strategici investimenti nelle nuove tecnologie? Un panorama desolante. Una volta c’era la foresta pietrificata delle banche, oggi c’è il bosco poco folto degli attori industriali. «Ma avremmo bisogno
di forti piante…».
Prodi commenta favorevolmente le parole di Guido Rossi alla «Repubblica». Sembra di capire che Palazzo Chigi si auguri la formazione di una proposta seria, tra banche e imprenditori, che contrasti quella di AT&T e dei messicani di Carlos Slim o, perlomeno, tratti con loro da una posizione di maggior forza. E magari questa sarà l’occasione per richiamare qualche ottimo manager italiano che si sta facendo strada, e sono ormai molti, in multinazionali estere.
Manager ma anche imprenditori italiani impegnati su altri e più difficili mercati.
E Mediaset potrebbe essere della partita? Prodi ha tutto il rispetto e l’ammirazione per una grande società italiana che, a suo giudizio, potrebbe trovare ostacoli già nelle norme antitrust.
In nessun altro Paese, riassumiamo il filo del discorso del presidente, si farebbero portar via sotto il naso il principale operatore delle telecomunicazioni. Non è pensabile una cosa del genere in Germania. Berlino tiene ben saldo il controllo, in mani anche pubbliche, di Deutsche Telekom. Per non dire di Parigi con France Telecom. E non si può nemmeno immaginare che gli europei restino indifferenti ad attacchi esterni, americani o asiatici, ai propri campioni industriali. Ma perché nessuno da noi, si domanda ancora Prodi, va a vedere quante regole e limiti mettono al possesso straniero, per esempio delle compagnie aeree, gli Stati Uniti, patria del capitalismo di mercato? E intanto noi, aggiungiamo, potremmo perfino avere una Alitalia russa.
La linea del Governo è quella di avere il mercato come fondamento, come bussola, mentre l’opposizione, sostiene il presidente, agita le ragioni della libertà d’impresa solo per contingenti e modeste speculazioni politiche. Di cultura liberale dalle parti di Berlusconi se ne vede poca, sostiene Prodi. Ma molti ministri, obiettiamo, Di Pietro per primo, o alleati, Giordano di Rifondazione, straparlano in questi giorni incuranti del fatto che un’azienda sia quotata. E dirli liberali è difficile, anche perché si offenderebbero. Prodi non
appare preoccupato: normale dialettica politica all’interno di un Esecutivo e di una maggioranza che vanno avanti per la loro strada. «No, non lo ritengo pericoloso».
E qual è la rotta precisa nel caso Telecom? Riportare la rete in mani pubbliche? Il presidente dice di no e pensa, ma lo aveva già affermato in campagna elettorale, a una rete che svolga un servizio pubblico, nel senso di essere accessibile a tutti gli operatori, non di proprietà o controllo statale. Noi riteniamo, interpretandolo, che lo schema più vicino al piano del Governo sia quello del modello inglese Open Reach (che è una divisione di British Telecom, nemmeno separata societariamente). «Una società di garanzia di transito», specifica Prodi che metta a disposizione un monopolio naturale, un «sistema nervoso » più tecnologico ed efficiente di quello attuale, con l’obiettivo finale di offrire servizi e contenuti al consumatore a costi concorrenziali, senza per questo indebolire l’operatore principale. Un’idea che potrebbe coinvolgere anche altre reti di pubblica utilità? Si vedrà.
Ma adesso l’offerta di AT&T e di America Mòvil è lì sul tavolo, non ancora vincolante, ma precisa. E non si può far finta di nulla. Gli americani avranno fatto pressioni o no? Prodi racconta di aver incontrato l’ambasciatore americano in Italia «esattamente un giorno e mezzo» dopo l’annuncio dell’offerta congiunta a Tronchetti per rilevare il 66% delle azioni di Olimpia, la scatola che detiene il 18% di Telecom. Nell’agenda dell’incontro con Ronald Spogli c’erano «otto o nove punti», ma non si è mai parlato di AT&T.
Curioso, nota, visto che il rappresentante americano a Roma non è certamente estraneo alla business community del suo Paese.
A Palazzo Chigi sono arrivate certo segnalazioni e spiegazioni a favore dell’operazione ma definite laterali». Questo fa supporre al presidente che, in realtà, quella dichiarazione d’interesse per Telecom non sia americana e messicana, ma soltanto messicana. E dettata quasi unicamente dall’interesse di Slim per Tim Brasile. E che alla fine il rischio di uno spezzatino sia tutt’altro che remoto. «A me lo spezzatino piace. Sì, ma solo a tavola ».
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aprile 7, 2007