Il cammino delle privatizzazioni, che pure aveva superato tappe significative, era diventato faticoso; le decisioni si stavano perdendo in un dibattito confuso.
Il DPEF prevede privatizzazioni per 65.000 miliardi tra il 2000 e il 2001; ma a causa delle incertezze, le future tranches Enel ed Eni non compaiono nelle liste delle grandi operazioni redatte dalle banche internazionali.
Si deve riconoscere al Presidente di Confindustria il merito di avere riportato il tema nei suoi termini corretti. Indicando quanta strada c’è ancora da fare: 300.000 miliardi sarebbe il valore degli asset ancora da restituire al mercato. Ma soprattutto facendo chiarezza: privatizzare vuol dire trasferire ai privati la proprietà, tutta la proprietà, non solo un pezzo lasciando il controllo in mano al pubblico; e sta in Confindustria chi si impegna per liberalizzare e privatizzare.
Fa chiarezza Antonio d’Amato quando afferma senza mezzi termini che se il Governo consente da Enel di acquistare Infostrada, pubblicizza anziché privatizzare. E in fondo fa chiarezza anche Franco Tatò, quando per tutta risposta ritira Wind da Confindustria: almeno sappiamo che piani per l’uscita di Enel dalla telefonia non ce ne sono, la sostanza dietro il gesto plateale è che Tatò disconosce gli impegni presi.
Di chiarezza avremo bisogno nei mesi a venire: la legislatura volge al termine, è certo che tutti i partiti – tranne Bertinotti – metteranno le privatizzazioni in bella mostra nei loro programmi elettorali; ma è altrettanto probabile che saranno tributi pagati al politically correct, pie giaculatorie. Bisognerà battersi per esigere chiarezza dalle forze politiche, a destra e a sinistra.
Dicano – scrivano – che cosa si impegnano a vendere, quando, in che ordine, con quali procedure; se vogliono vendere tutto o una parte, e se la parte è la maggioranza o il controllo, e secondo quale della numerose definizioni di controllo in circolazione; se ci saranno limiti alle percentuali di possesso in capo a ogni soggetto, e vincoli sul personale o impegni sulle strategie aziendali della aziende dismesse. E via precisando: il diavolo, si sa, si annida nei dettagli.
Nel chiedere chiarezza, bisognerà essere esigenti con tutti. Ma bisognerà esserlo ancor di più con il centro destra. Sì, perché che cosa aspettarci dal centro sinistra, in fondo abbiamo molti elementi per saperlo: le privatizzazioni, dal 92 ad oggi, sono state realizzate sostanzialmente dal centro sinistra, ne conosciamo luci ed ombre. Invece il centro destra, nella battaglia per le privatizzazioni si è perlopiù limitato a un’opposizione generica; pochi sono stati gli impegni puntuali per spostare il punto di compromesso nella direzione di privatizzare di più e meglio. Si sa che la proprietà pubblica crea aree concentrate di interessi protetti, facili da organizzare e da mobilitare. Il centro destra non ha usato le sue grandi capacità di comunicazione per contrastare questi interessi, anzi in alcuni casi si è messo alla loro testa – a Roma contro la cessione della Centrale del Latte, in Sicilia contro tutte le dismissioni già avviate dalla precedente giunta. E quando si è accordato co maggioranza, il centro destra l’ha fatto per proteggere gli interessi locali, quelli che fanno capo alle fondazioni bancarie ed alle aziende municipalizzate.
Nelle linee programmatiche scritte per Ideazione, Silvio Berlusconi non dedica a questo tema nessuno dei suoi “impegni precisi”. Invece l’on.le Marzano, interrogato da MF, ha dichiarato “Se vinco, vendo tutto”. Troppa grazia, sant’Antonio! Però nemmeno lui dice una parola per spiegare quando e come. D’accordo, un’intervista non è lo strumento adatto a cose complesse: ma, quanto a chiarezza, proprio non ci siamo. Allora, palla al centro: vogliamo ricominciare?
ottobre 5, 2000