Era contenuto nel decreto SalvaItalia del governo Monti l’obbligo di comunicare all’agenzia delle entrate tutti i dati su conti correnti, movimentazioni, investimenti, carte di credito, cassette di sicurezza: allora l’emergenza era economica e finanziaria. Il decreto diventa esecutivo oggi, quando l’Italia sta attraversando un’altra emergenza, di natura politica. Il provvedimento evidentemente è volto al contrasto all’evasione: aumenteremo del 30% il gettito, promette Attilio Befera. Ma l’evasione fiscale è “emersa” da tempo immemorabile: non è un’emergenza, è una cronicità. Se fosse mirato all’emergenza, il decreto sarebbe a tempo: invece è permanente. E’ quindi permanente anche il cambiamento che esso introduce nel rapporto tra stato e cittadini: questo è oggetto per eccellenza della politica, ed è quindi per gli aspetti politici che il decreto va esaminato.
Il diritto alla privacy è parte del diritto di proprietà, un diritto essenziale per la libertà del cittadino. Riducendo la privacy, si riduce questo spazio di libertà. Il diritto di gestire secondo i propri criteri il proprio patrimonio e di spendere secondo le proprie scelte il proprio reddito, non è in contrasto con il dovere di pagare le tasse e sull’uno e sull’altro. Invece così al prelievo fiscale si aggiunge la “pena accessoria” di esporre a un funzionario pubblico come ho speso i miei soldi. La legge vigente già consente all’Agenzia delle Entrate di ottenere i dati bancari, anche senza mandato del giudice, basta che abbia il sospetto fondato che qualcosa non torna. Adesso siamo tutti sospetti per legge: sospetti perché antropologicamente inclini all’evasione. Un enorme salto logico, giuridico, morale.
Abbiamo conosciuto leggi che riducevano la libertà di tutti, ad esempio quelle contro il terrorismo: erano leggi chiaramente emergenziali, le abbiamo accettate e sono servite. Ma ora, dichiarare sospetto ogni cittadino servirà a risolvere la cronicità dell’evasione fiscale?
Il giudizio pesantemente negativo sul funzionamento dei grandi sistemi della P.A., giudiziario, istruzione, sanità, è sostenuto da analisi e confronti. L’Agenzia delle Entrate fa parte della P.A.: è illogico chiedersi se la cronica difficoltà ad esigere i tributi non abbia a che fare con questo cronico malfunzionamento? Il confronto che ogni cittadino fa tra quello che riceve come servizi e quello che gli costa averli, non giustifica l’evasione: ma malfunzionamento della PA e indisciplina fiscale sono due facce della stessa medaglia. Considerare i cittadini dei sospetti, e farne dei sudditi, inevitabilmente finirà per peggiorare ulteriormente il funzionamento della P.A. Per non parlare del probabile intasamento per eccesso di dati e di contestazioni. Conoscere tutto è l’ossessione dei regimi totalitari: ma anche gli stati democratici muoiono se confondono la mappa col territorio.
Emergenza oggi è la crescita. E la crescita la fanno le imprese, e le imprese sono fatte di individui, Questi non a torto considerano la P.A. come un ostacolo alle loro iniziative. Possibile che nessuno abbia il buon senso di immaginare l’effetto che può fare che la P.A. esige di conoscere tutti i movimenti di cassa e, nello stesso giorno, che la stessa P.A. non riesce neanche a dare un quadro certo dei debiti che ha accumulato verso i fornitori, sicché non può incominciare a pagarli nemmeno quando c’è l’autorizzazione a farlo?
Nell’era del Big Data la possibilità di archiviare quantità illimitate di informazioni digitali, di incrociarle in un numero impensabili di modi, consente di scoprire correlazioni tra fatti: ad individuare in anticipo dove si sta sviluppando l’influenza aviaria, trovare terapie per il cancro, comprare i biglietti aerei al minor prezzo. Incrociando dati non c’è limite al dettaglio nel profilare una persona e il suo ambiente sociale. E non c’è modo di garantire l’anonimato: con un numero sufficientemente grande di dati diventano paraventi da carta rendere i consueti sistemi di proteggere la privacy. Per stanare gli evasori il fisco farà l’incrocio di banche dati, quello tra conti bancari e dichiarazioni dei redditi è il più ovvio. Questi dati saranno segreti, ma resteranno lì per anni e anni, i ritardi sono la regola nella nostra P.A., disponibili per qualsiasi uso. Chi ci garantisce che si fermeranno lì? Ci preoccupiamo del pericolo delle scorie radioattive per la nostra salute. Dovremmo preoccuparci ancor di più per il pericolo di queste banche dati per la nostra libertà.
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F.B.
11 annoe fa
Caro Franco, credo dovremmo concentrarci sulla cura che chi nel fisco conosce i dati sia in grado di mantenere le informazioni confidenziali e sa punito severamente se ne fa uso in qualche modo improprio. In linea di principio non ho obiezioni a che il fisco abbia tutte le informazioni economico-finanziarie necessarie per combattere a fondo i vari tipi di evasione. Sono inoltre del parere che dobbiamo insistere per avere servizi pubblici adeguati alle tasse he paghiamo, per riformare la struttura della tassazione in modo che sia più giusta e meno distorsiva, più sulle persone e i patrimoni, meno sulle imprese e il lavoro, per armonizzare le impost in Europa e un pochino anche nel mondo, per controllare in trasparenza (a loro i nostri dati, tutti, a noi i loro, tutti) e con continuità che la spesa pubblica sia fatta come si deve. Non riesco invece ad entusiasmarmi nel richiedere meno tasse. Economie moderne , complesse e fragili come le nostre hanno bisogno di tanti beni e servizi pubblici. Francamente non vedo che cosa c’entri la privacy con la disponibilità dele informazioni sul mio c/c a sed del fisco deputate e organizzate per trattarli come e qando vanno trattati.
A.F.
11 annoe fa
Caro Franco,
molto giusto.
L’Italia e’ passata in un decennio dall’avere uno dei sistemi di tassazione dei patrimoni mobiliari piu’ moderni, efficaci e meno intrusivi del mondo (le trattenute anonime operate dagli intermediari), all’ambizione di una radiografia indiretta del singolo contribuente che, cosi’ ambiziosamente completa, non l’ho mai vista in nessun paese.
Con la scusa del terrorismo (e’ una scusa: l’attentato alle Torri Gemelle era costato $ 600’000 su diversi anni e non sarebbe stato prevenuto dalle misure attuali), tutti i paesi del mondo hanno dato una stretta fortissima alla liberta’ personale portandoci ad una limitazione dei movimenti di capitale personale che non ha precedenti, se non episodici, nella storia. I nostri avi, se avevano mezzi, erano piu’ liberi di investirli internazionalmente di noi.
Oggi e’ praticamente impossibile per un cittadino di qualsiasi paese UE avere conti in un altro paese: gli adempimenti fiscali diretti cui e’ soggetto impongono una reportistica ed una attenzione alla gestione che solo gli intermediari del suo stesso paese possono avere. E’ di questi giorni la notizia che la camera di Commercio USA-Svizzera ha contestato al Tesoro USA l’impossibilita’ tecnica per un americano residente in Svizzera di avere un conto bancario o postale in Svizzera grazie agli adempimenti imposti dalla famigerata FATCA.
Il sistema delle ritenute aveva dato ottima prova di se fino a che, con la nascita dell’euromercato negli anni ‘70, erano nati i centri offshore (Londra in primis). Bastava chiudere qualche loop-hole e aggiornarlo. Cosi’ facendo, invece, obbligano le persone, invece dei capitali, a spostarsi per restare libere. E da alcuni paesi, come la Francia, gia’ e’ difficile farlo, come si e’ visto.
Il movimento internazionale dei capitali resta quindi appannaggio di investitori istituzionali, quindi, con l’esclusione forse solo degli HF, diretto da burocrazie e sottratto alle scelte discrezionali individuali. Dubito che questo migliori la produttivita’ del capitale e quindi le prospettive di crescita del mondo…
C’e’ di buono che un monitoraggio cosi’ estensivo e pesante, in Italia, dubito che potra’ mai funzionare. Perche’, grazie a Dio, la PA e’ inefficiente. Mi hanno parlato di stanzette perfino in Banca d’Italia dove hanno accumulato i dischetti mai letti delle segnalazioni delle operazioni sospette…