Appello finale a Berlusconi per una potente frustata all’economia
Onorevole presidente del Consiglio, la “storica frustata per lo sviluppo”, da Lei stessa annunciata a gennaio sul Corriere della Sera, è – ora più che mai – improcrastinabile. La premessa per tornare a “fare”, però, è innanzitutto la fuoriuscita dal paradigma fatalista e catastrofista che deprime gli spiriti animali di imprenditori e lavoratori e costringe la politica economica nel sonno dell’immobilismo.
D’altronde perfino gli schiamazzi del circo mediatico-finanziario che ha piantato le tende in Europa sin da questa estate non riescono a sovrastare del tutto le voci dei tanti analisti che all’Italia riconoscono i suoi “buoni fondamentali”: dal cammino virtuoso del deficit pubblico a un livello di disoccupazione tutt’altro che apocalittico – a giudicare dagli standard europei – passando per le forze vitali delle imprese italiane che esportano e finendo con la saggia gestione della ricchezza privata da parte delle famiglie.
Il blocco mentale declinista si supera con campagne culturali e d’informazione, poi si batte definitivamente con il “fare”. Che i soldi per lo sviluppo non ci siano, quindi, non può essere una scusante. Primo, perché di sola austerity sono lastricate le vie che portano al rigor mortis di un intero tessuto produttivo. Secondo, perché i soldi si possono trovare, sia abbattendo una spesa pubblica che – al di là degli allarmismi che vanno bene al massimo per riempire malamente una piazza – continua a crescere, sia valorizzando e offrendo al mercato la ricchezza di uno stato che da sola basterebbe a coprire l’intero debito pubblico o quasi. Infine perché le stesse riforme liberali che Lei nel 1994 ha prospettato all’elettorato italiano, quasi un ventennio prima dei consigli arrivati dalla Banca centrale europea o degli ultimatum di Confindustria, sono allo stesso tempo levatrici di risorse pubbliche e di dinamismo privato. La lista è sempre attuale quanto in larga parte inattuata: liberalizzazioni e privatizzazioni, contrattazione decentrata e flessibilità, diritto al lavoro oltre ogni soglia burocratica o anagrafica e riequilibrio del welfare, deregolamentazioni e incentivi all’innovazione. D’altronde la politica, anche ai tempi del coordinamento europeo, non è fatta di soli parametri ragionieristici con cui gingillarsi o patti stupidi da rispettare: dare al paese la possibilità di crescere vuol dire innanzitutto fare fiducia agli italiani, garantire a imprenditori e lavoratori i mezzi per onorare al meglio il proprio mestiere e gareggiare con i concorrenti stranieri, offrire possibilità ai giovani che le vorranno sfruttare.
I blocchi sociali corporativi e il tappo alla crescita devono saltare – come direbbe qualcuno è pure questione di “giustizia sociale” – e farlo è solo un problema di volontà politica. Se non ora quando?
Bernabò Bocca, Carlo Andrea Bollino, Stefano Cingolani, Alessandro Corneli, Raimondo Cubeddu, Ernesto Felli, Francesco Forte, Riccardo Gallo, Cesare Imbriani, Domenico Lombardi, Nicola Maccanico, Cosimo Magazzino, Antonio Martino, Rainer Masera, Edoardo Narduzzi, Fabio Padovano, Pietro Maria Paolucci, Carlo Pelanda, Giuseppe Pennisi, Gustavo Piga, Gianfranco Polillo, Mario Preve, Salvatore Rebecchini, Guido Salerno Aletta, Stefano Scabbio, Pasquale Lucio Scandizzo, Corrado Sforza Fogliani, Giovanni Somogyi, Carlo Stagnaro, Graziano Tarantini, Adriano Teso, Giovanni Tria.
Tweet
ottobre 20, 2011