di Pietro Ichino
A Pomigliano i fatti confermano le buone ragioni di una rivendicazione storica della CGIL: quella di un sistema di misurazione della rappresentatività nelle aziende, che realizzi il principio di democrazia sindacale – oggi quella riforma, attuaa con accordo interconfederale o in via sussidiaria per legge, consentirebbe alla FIAT di attuare il suo piano e alla CGIL di rimanere parte del sistema di relazioni industriali nello stabilimento campano, pur non sottoscrivendo l’accordo
Quando, nel 2001, Fim-Cisl e Uilm-Uil firmarono senza la Fiom-Cgil il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, Sergio Cofferati – allora segretario generale della Cgil – disse: “Non contesto la firma separata in sé; contesto che il contratto firmato da una parte soltanto dei rappresentanti dei lavoratori si applichi a tutti i lavoratori interessati, senza che venga misurata la rappresentatività di chi firma e quindi senza che si applichi un elementare principio di democrazia sindacale”.
Quella dell’introduzione di un meccanismo di misurazione precisa della rappresentatività è una rivendicazione storica della Cgil.
Ora, a Pomigliano i fatti confermano le buone ragioni di quella rivendicazione: in assenza di una regola che attui il principio di democrazia sindacale, l’accordo non può funzionare (rinvio in proposito ai miei interventi delle settimane scorse, tutti agevolmente reperibili nella sezione “Sindacato” di questo sito; v. ora anche la sentenza della Corte d’Appello di Brescia su di un caso analogo a quello dello stabilimento Fiat campano). E paradossalmente – ma il paradosso è solo apparente – è proprio la rivendicazione storica della Cgil quella che può indicare la strada per uscire dall’impasse: se, come la Cgil chiede da gran tempo, venisse posta una regola che dia attuazione al principio di democrazia sindacale, il piano industriale proposto da Marchionne potrebbe essere attuato con una sufficiente regolarità anche senza la firma della Cgil: è infatti pacifico che a Pomigliano l’accordo è stato firmato da una coalizione sindacale che rappresenta la maggioranza dei lavoratori interessati, e per di più confermato dal voto referendario favorevole del 62 per cento dei lavoratori stessi.
Così stando le cose, sembra delinearsi una convergenza degli interessi della Fiat, della coalizione sindacale che ha sottoscritto il piano industriale per il rilancio di Pomigliano e della Cgil su di un “meta-accordo”, ovvero un “accordo sulle regole”, che, accogliendo la rivendicazione storica della stessa Cgil, spianerebbe la strada all’attuazione del piano industriale.
Questo “meta-accordo” potrebbe concretarsi in un accordo interconfederale, nel quale tutte le associazioni sindacali e imprenditoriali si dessero reciprocamente atto dell’idoneità dei contratti sottoscritti da una coalizione sindacale maggioritaria – anche se contenenti deroghe a contratti precedenti – ad applicarsi a tutti i lavoratori della categoria o azienda interessata. Una soluzione come questa, tutta interna al sistema delle relazioni industriali, sarebbe sicuramente la migliore dal punto di vista istituzionale. Se tuttavia un accordo interconfederale di questo genere stentasse a maturare, logica vorrebbe che fosse il legislatore statuale a provvedere in via sussidiaria, con una norma semplice e snella, a carattere “recessivo”: destinata, cioè, fin dalla sua formulazione iniziale a perdere efficacia nel caso in cui il sistema delle relazioni industriali riuscisse a produrre l’accordo sui criteri di misurazione della rappresentatività e sulle relative conseguenze in materia di efficacia dei contratti collettivi. È on line su questo sito una possibile formulazione di questa nuova norma legislativa, in larga parte tratta dal testo unificato dei disegni di legge sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese, elaborato su mandato bi-partisan della Commissione Lavoro del Senato nella primavera del 2009 e da allora “congelato” presso la stessa Commissione.
Una soluzione di questo genere offrirebbe alla Cgil un modo per rientrare nel gioco, anche senza apporre la propria firma al piano industriale proposto dalla Fiat. La confederazione di Corso d’Italia – oggi in grave imbarazzo, dopo che la sua struttura di settore ha preso posizione contro il piano industriale della Fiat, mentre la sua struttura confederale di Napoli e la Segreteria generale nazionale hanno preso una posizione significativamente diversa, sostanzialmente aperta all’attuazione del piano pur con qualche distinguo – potrebbe ricomporre le proprie contraddizioni interne presentandosi alla Fiat e al Paese con un discorso di questo genere: “Noi non approviamo il piano industriale proposto da Marchionne; tuttavia, poiché quel piano è stato sottoscritto da una coalizione sindacale maggioritaria, noi riconosciamo che l’impresa e quella coalizione hanno il diritto di dargli attuazione anche senza la nostra firma; ancorché dissenzienti, siamo a tutti gli effetti parte integrante del sistema di relazioni industriali vigente nello stabilimento di Pomigliano, e come tali abbiamo il diritto di partecipare a tutte le consultazioni e future negoziazioni”.
Un discorso di questo genere è perfettamente compatibile con la denuncia dei contrasti che la Cgil ravvisa, tra il piano industriale proposto dalla Fiat e le leggi vigenti. Ma, se illegittimità effettivamente ci fosse (cosa che insisto a ritenere non vera: rinvio in proposito ai miei interventi precedenti sul punto), sarebbe compito del giudice del lavoro accertarlo; l’accordo potrebbe sopravvivere anche alla dichiarazione di nullità di una sua clausola. E diventerebbe l’atto di nascita di un sistema di relazioni industriali nuovo e assai più efficiente rispetto a quello che alla ha operato finora: davvero un modello per il resto del Paese, nel senso più positivo del termine.
ARTICOLI CORRELATI
Il PD incartato a Pomigliano
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 11 luglio 2010
luglio 12, 2010